La segnalazione avvenuta in questi giorni di un importante contributo alla identificazione dei pazienti con embolia polmonare (EP) a rischio di evoluzione sfavorevole mi dà l’opportunità di affrontare un argomento di grande attualità e ricco di implicazioni pratiche. Ma come sempre preferisco far precedere alla descrizione dell’articolo alcune premesse, utili alla sua corretta interpretazione.

Le premesse
Fino ad una decina di anni fa la stratificazione del rischio di EP, vale a dire la capacità di individuare i pazienti a prognosi più sfavorevole sulla base delle caratteristiche presenti all’esordio, si basava su un principio molto semplice. I pazienti in shock, o comunque con una PAO inferiore a 90 mmHg, venivano candidati alla trombolisi, gli altri no. Si era ben consapevoli del rischio emorragico dei trombolitici, ma non c’era scelta se si voleva ridurre la mortalità (peraltro sorprendentemente mai dimostrata in modo conclusivo…). Questo principio non ha perso il suo valore. Anche oggi i pazienti in shock o ad alto rischio di shock rimangono candidati elettivi alla trombolisi quando non vi siano controindicazioni assolute alla stessa. Quello che negli ultimi 10 anni è stato rimesso in discussione è la scelta più adeguata da adottare nei rimanenti pazienti, che fortunatamente rappresentano la larga maggioranza.

Oggi sappiamo che tra i pazienti con PAO normale, o di poco abbassata rispetto al normale, si annida un consistente gruppo di soggetti ad alto rischio di evoluzione sfavorevole, e numerosi sforzi sono stati fatti per identificarli. Sono i cosiddetti pazienti “a rischio intermedio”. Oggi disponiamo di indici che consentono di stratificare il rischio in modo ben più accurato rispetto al passato. Al contempo abbiamo anche acquisito la consapevolezza della pericolosità della terapia trombolitica. Lo studio PEITHO (Meyer G et al. Fibrinolysis for patients with intermediate-risk pulmonary embolism. N Engl J Med 2014;370:1402-11) ha tolto infatti ogni illusione sulla innocuità della trombolisi in pazienti a rischio intermedio, anche se molti colleghi ancora si comportano in maniera totalmente inescusabile come se non fosse stato pubblicato. L’impiego di un trombolitico (il tenecteplase in singola iniezione endovenosa), per giunta ritenuto più sicuro dell’alteplase raccomandato dalla FDA, ha si ridotto il rischio di evoluzione sfavorevole dell’EP, ma al prezzo di un rischio di emorragia cerebrale e fatale inaccettabile! Soprattutto negli individui al di sopra dei 75 anni, nei quali quindi tale presidio va considerato solo dopo una attenta valutazione del rapporto beneficio/rischio.

L’attenzione si sposta dunque sui pazienti con PAO ancora soddisfacente. Come predirne il rischio? Esistono molti criteri. Un score comunemente impiegato è lo score PESI, di cui esiste una variante estesa ed una semplificata che sta incontrando un vasto successo in quanto si basa solo su parametri clinici e consente di classificare i pazienti in due sole categorie di rischio: basso e alto (Jiménez D et al, Am J Respir Crit Care Med 2014;189:718-26; Jiménez D et al, Thromb Haemost 2016;115:827-34). Lo score PESI semplificato assegna 1 punto ciascuno a sei parametri: – età > 80 anni, – malattia neoplastica, – insufficienza cardiaca e/o respiratoria, – frequenza cardiaca > 110, – PAO < 100 mm Hg; – saturazione ossiemoglobinica < 90. I pazienti che non hanno nessuna di questa caratteristiche hanno un rischio basso, ma è sufficiente avere anche 1 solo punto per essere etichettati ad alto rischio.

Da solo però uno score clinico è insufficiente. E’ indispensabile associarlo a parametri di danno miocardico (elevazione della troponina) ed a parametri di insufficienza cardiaca destra (ecocardiografici o radiologici – quali scaturiscono dalla semplice misurazione del rapporto tra dimensioni del ventricolo destro e sinistro all’angioTC). In questa direzione si è mosso Carlo Bova di Cosenza, che ha dapprima individuato e successivamente validato uno score applicabile a pazienti normotesi (Bova C et al, Eur Respir J 2014;44:694-703; Fernàndez C et al, Chest 2015;148:211-8). Assegnando 2 punti ciascuno a – PAO tra 90 e 100 mmHg, – elevazione della troponina, – insufficienza ventricolare destra (valutata come sopra ricordato) ed 1 punto ad una frequenza cardiaca > 110, Bova ha identificato una categoria di pazienti (punteggio 0-2) a basso rischio, una (punteggio 3-4) a rischio moderato, ed una terza (punteggio 5-7) ad alto rischio di evoluzione sfavorevole durante la sola terapia anticoagulante.
L’algoritmo oggi più utilizzato per la stratificazione del rischio è quello raccomandato dall’ESC (Konstantinides SV et al. 2014 ESC Guidelines on the diagnosis and management of acute pulmonary embolism. Eur Heart J 2014;35:3145-6), che classifica i pazienti normotesi come aventi un rischio basso (PESI score semplificato = 0) od intermedio (PESI score semplificato = almeno 1), e riclassifica questi ultimi come aventi un rischio intermedio/alto od intermedio/basso come segue: intermedio/alto in presenza di manifestazioni (ecocardiografiche o radiologiche) di insufficienza ventricolare destra e di manifestazioni di danno miocardico (elevazione della troponina); intermedio/basso in assenza di entrambe od in presenza di una sola di esse. C’è la crescente dimostrazione che un elevato livello plasmatico di pro-BNP possa rappresentare una alternativa ai criteri ecocardiografici e radiologici data la sua elevata sensibilità alla presenza di insufficienza ventricolare destra, ma qualche dubbio permane sulla sua specificità.

La raccomandazione che ne scaturisce è di considerare la terapia trombolitica (in assenza di controindicazioni) in soggetti con rischio intermedio/alto, privilegiando gli individui di età inferiore ai 75 anni; e di adottare la sola terapia anticoagulante nei soggetti con rischio intermedio/basso. Resta però il fatto che in quest’ultima categoria di pazienti l’evoluzione è imprevedibile, e c’è pertanto la necessità di acquisire ulteriori informazioni a sostegno della valutazione del rischio.
L’articolo in oggetto (Quezada CA et al. Assessment of coexisting deep vein thrombosis for risk stratification of acute pulmonary embolism. Thromb Res 2018;164:40-44). Questi autori hanno analizzato il follow-up di 848 pazienti normotesi con EP in buone condizioni cliniche inclusi nello studio prospettico di coorte spagnolo PROTECT. Questi pazienti erano stati classificati in base alla procedura raccomandata dall’ESC in soggetti a rischio basso (313, 37%), intermedio/basso (478, 56%) ed intermedio/alto (57, 6.7%); avevano ricevuto una valutazione ecoDoppler del circolo venoso profondo di entrambi gli arti inferiori prescindendo dalla coesistenza di manifestazioni cliniche; ed avevano ricevuto terapia anticoagulante, non preceduta da terapia trombolitica.
L’end-point primario era lo sviluppo di complicanze entro un mese dall’esordio, definite come l’aggregazione di mortalità totale, collasso cardiocircolatorio o recidiva di EP. L’ecoDoppler aveva dimostrato la coesistenza di trombosi venosa profonda (TVP) nel 44% dei pazienti. Nei 313 soggetti giudicati a rischio basso la frequenza di eventi non differì tra pazienti con e senza TVP (2.8% vs 0.6%; P=0.18); e neppure nei 57 a rischio intermedio/alto (17% vs 18%; P=1.0). Viceversa, nei 478 pazienti a rischio intermedio/basso la frequenza di eventi risultò decisamente superiore tra coloro che avevano una concomitante TVP rispetto a coloro che non l’avevano (14% vs 6.8%; P=0.01).

Il commento
I risultati dell’articolo spagnolo confermano quelli già ottenuti da altri su casistiche meno numerose (vedi meta-analisi a cura di Becattini C et al, Chest 2016;149:192-200). Credo che sia arrivato il momento di conferire alla coesistenza di TVP, sin qui inaspettatamente ignorata, il ruolo che le spetta nella stratificazione del rischio in pazienti con presentazione embolica ad incerta evoluzione. Se difatti gli attuali orientamenti lasciano pochi dubbi sui comportamenti da adottare nei pazienti a rischio alto (trombolisi laddove non controindicata) e basso (anticoagulazione e trattamento su base domiciliare), qualche incertezza ancora persiste in quelli a rischio intermedio. Benchè le esperienze disponibili siano infatti contradditorie, cresce la consapevolezza che una corsa trombolitica iniziale possa scongiurare una evoluzione sfavorevole anche nei pazienti a rischio intermedio/alto, per lo meno in quelli con età inferiore ai 75 anni esenti da qualsiasi controindicazione, anche relativa, alla trombolisi stessa.

Ora abbiamo aggiunto un’altra tessera alla composizione del puzzle. Ora sappiamo che la coesistenza di una TVP degli arti inferiori, la cui presenza va pertanto ricercata in modo sistematico prescindendo dalla sintomatologia clinica, aiuta a stratificare il rischio in pazienti a rischio intermedio/basso identificando un sottogruppo a maggiore probabilità di evoluzione sfavorevole verosimilmente imputabile alla recidiva embolica.
Però attenzione, in questo sottogruppo la probabilità di eventi indesiderabili è inferiore a quella attesa in pazienti a rischio alto o intermedio/alto.
In altre parole credo che al di là delle conclusioni ineccepibili di questo e di studi analoghi eseguiti in passato sia veramente prematuro candidare questi soggetti ad una terapia, quale quella trombolitica, gravata da un così alto rischio di emorragia cerebrale.
Secondo la mia opinione ciò che si richiede in pazienti con EP a rischio intermedio/basso e coesistente TVP, alla luce delle conoscenze che si sono rese recentemente disponibili, è un alto grado di vigilanza. La terapia di scelta rimane la terapia anticoagulante convenzionale, ma questi pazienti vanno trattenuti in ospedale monitorandone attentamente l’evoluzione clinica, pronti ad intervenire con farmaci aggressivi nel caso di scadimento della funzione cardiorespiratoria e/o di un abbassamento della PAO.

Bibliografia

  1. Meyer G et al. Fibrinolysis for patients with intermediate-risk pulmonary embolism. N Engl J Med 2014;370:1402-11.
    Jiménez D et al. Derivation and validation of multimarker prognostication for normotensive patients with acute symptomatic pulmonary embolism. Am J Respir Crit Care Med 2014;189:718-26.
  2. Jiménez D et al. Effectiveness of prognosticating pulmonary embolism using the ESC algorithm and the Bova score. Thromb Haemost 2016;115:827-34.
  3. Bova C et al. Identification of intermediate-risk patients with acute symptomatic pulmonary embolism. Eur Respir J 2014;44:694-703.
  4. Fernàndez C et al. Validation of a model for identification of patients at intermediate to high risk for complications associated with acute symptomatic pulmonary embolism. Chest 2015;148:211-8.
  5. Konstantinides SV et al. 2014 ESC Guidelines on the diagnosis and management of acute pulmonary embolism. Eur Heart J 2014;35:3145-6.
  6. Quezada CA et al. Assessment of coexisting deep vein thrombosis for risk stratification of acute pulmonary embolism. Thromb Res 2018;164:40-44.
  7. Becattini C et al. Risk stratification of patients with acute symptomatic pulmonary embolism based on presence or absence of lower extremity DVT: systematic review and meta-analysis. Chest 2016;149:192-200.