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Dato che sono stato richiesto da più parti in Italia di un’opinione sulle modalità più congrue di prevenzione dell’embolia polmonare (EP) in pazienti ricoverati per infezione legata al COVID-19, vorrei fare alcune considerazioni.

Premetto che la prevenzione è necessaria solo per i ricoverati, non per chi – meno grave – rimane a casa. Ma nei ricoverati va fatta in tutti, prescindendo dall’età e dalle condizioni generali, ad eccezione che per i rari casi di controindicazione ai farmaci antitrombotici. Basta applicare il Padua Prediction Score per rendersene conto. La dose di enoxaparina testata con successo per finalità di questo tipo è 4000 U/die, riducibile della metà in caso di insufficienza renale severa. Che dire allora delle segnalazioni che sto ricevendo di inefficacia (vera o presunta), di questo approccio, per cui ne vengono arbitrariamente aumentati i dosaggi? Ritengo che sia pericoloso, dato che questi pazienti hanno anche un rischio emorragico non sottovalutabile. Qualche eccezione si può fare, ad esempio darne 6000 in soggetti obesi, ma si tratta di eccezioni. L’apparente inefficacia potrebbe essere spiegata dal fatto che in alcuni casi l’embolia potrebbe essere maturata già prima del ricovero (ne parlo più sotto). Devo però anche rassegnarmi all’evidenza – se questo è il caso – che in alcuni soggetti possa essere inefficace o meno efficace. Succede, come con tutti i farmaci. D’altra parte la durata stimata della protezione conferita (14-16 ore) potrebbe non coprire adeguatamente l’intera giornata, cosa che potrebbe esporre una parte degli individui ad un rischio indesiderabile. A ciò si aggiunge il timore della piastrinopenia da eparina.

In numerosi studi di confronto tra enoxaparina e fondaparinux (2,5 mg/die, riducibili ad 1,5 in caso di insufficienza renale grave) per la prevenzione del TEV in condizioni ad alto rischio (quale la chirurgia sostitutiva dell’anca e del ginocchio) il fondaparinux ha dimostrato una significativa superiorità sull’enoxaparina a parità di rischio emorragico. Il fondaparinux, oltre ad essere totalmente privo di interferenza con le piastrine, garantisce una copertura stabile per tutte le 24 ore. Non escludo pertanto che in una condizione a così alto rischio tromboembolico quale l’infezione da COVID-19 il fondaparinux possa esplicare un’efficacia superiore. Non resta che provare. Ed è comunque preferibile fare ciò che aumentare arbitrariamente le dosi di enoxaparina. Qualunque sia la scelta, ricordo che la prevenzione va iniziata immediatamente e va praticata per l’intera durata della degenza e comunque per un periodo non inferiore a due settimane (se anche il paziente viene dimesso prima). Ne approfitto per fare altre considerazioni:

  1. Il D-dimero (DD) perde virtualmente valore ai fini della diagnosi di EP. Vale la pena di richiederlo solo per acquisire un valore basale, al quale fare riferimento per valutazioni successive, tenendo però ben presente che il test si alza sensibilmente anche in stati infettivi, e quindi ha scarsa specificità. Anche i criteri di probabilità clinica pre-test (Wells o analoghi) perdono significato in circostanze come questa.
  2. È teoricamente possibile che alcuni pazienti abbiano già un’EP maturata nelle ore/giorni precedenti il ricovero. Questo può spiegare l’inefficacia dell’enoxaparina a dosi profilattiche. Il sospetto diagnostico di EP all’esordio dell’infezione (così come quando insorge più avanti nel corso della stessa) è arduo perchè è mascherato dall’affezione di base. Solo a fronte di un rapido ed inspiegabile peggioramento dell’insufficienza respiratoria associato a tachi/aritmia, manifestazioni cliniche/ECG di scompenso ventricolare destro (meglio se suffragate da un’ecocardio), dolore toracico anteriore o di tipo pleuritico, un quadro radiologico che improvvisamente muta dimostrando il sollevamento di un emidiaframma, un versamento pleurico che prima non c’era od una opacizzazione triangolariforme a base pleurica, un forte ed inatteso rialzo del DD nei confronti di un valore precedentemente acquisito, tanto più se ci sono sintomi di TVP, il sospetto è così forte che, anche in assenza di angioTC (da richiedere poi appena possibile), è giustificato trattare con dosi piene di eparina (standard od a basso pm, la prima preferibile in caso di disfunzioni d’organo e quando sia comunque richiesta una flessibilità di dosaggio), anche sin dall’esordio. Solo in queste circostanze.
  3. Esorto a diffidare della presunta efficacia antivirale dell’eparina (mi fa venire in mente quella antineoplastica, successivamente decaduta a fronte di ricerche scientifiche adeguate). Se l’avesse avuta ce ne saremmo accorti da tempo. Tutto ciò che si può dire è che l’eparina (la standard più che quella a basso pm) ha un discreto potere antiflogistico. Dato però che questo obiettivo può essere raggiunto con farmaci più adeguati e meno pericolosi, non è proprio il caso di aumentare le dosi di eparina in soggetti che non abbiano sviluppato complicazioni tromboemboliche.
  4. I DOAC non vanno usati in chi richiede farmaci antivirali (potenti inibitori della glicoproteina P). Vanno pertanto sospesi in chi li stava già usando. Troppo alto il rischio di emorragia determinato da un incontrollabile aumento della loro concentrazione plasmatica. È in corso una segnalazione, concertata con la Dottoressa Sophie Testa di Cremona, che lo dimostra in modo inconfutabile. Si deve ripiegare su dosi terapeutiche di enoxaparina per tutto il tempo in cui sono richiesti farmaci antivirali.