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Un recente articolo comparso sul J Thromb Haemost a cura di alcuni ricercatori olandesi (1) mi dà l’occasione per affrontare una tematica di grande attualità, ricca di implicazioni cliniche.

Che la donna, soprattutto negli anni della sua fertilità, sia meno esposta dell’uomo al rischio di sviluppare complicanze cardiovascolari è noto sin dai tempi più remoti. Contrasta l’accresciuto rischio di stroke nella donna con fibrillazione atriale rispetto all’uomo (difatti il CHADSVASC include un punto per il genere femminile!), fenomeno che non ha sinora trovato alcuna spiegazione, anche perchè in sensibile controtendenza con quanto succede non solo in campo arterioso ma anche (come vedremo) in campo venoso.

Quando agli inizi del secolo in corso un gruppo di ricercatori viennesi segnalò per la prima volta che la donna è meno esposta dell’uomo al rischio di recidiva tromboembolica (2), il fatto destò sorpresa. Nessuno se n’era accorto. Neppure noi che avevamo fornito per la prima volta al mondo una accurata descrizione del decorso clinico della trombosi venosa profonda (TVP) in un’ampia casistica (3). Fummo sfortunati. Il disegno del nostro studio escludeva i pazienti con embolia polmonare (EP), e ciò ci impedì di accorgercene (vedremo perché). Per intanto va detto che il risultato dei ricercatori austriaci ha avuto in seguito numerosi autorevoli conferme.

Oggi è dato da tutti per scontato che la donna ha un rischio all’incirca dimezzato rispetto all’uomo di sviluppare recidive tromboemboliche (4). Al punto che tutti i modelli che negli ultimi anni sono stati proposti per stratificare il rischio di recidiva dopo il primo episodio di tromboembolismo venoso (TEV) idiopatico assegnano una chance più alta di recidiva, e di conseguenza un punteggio più alto, al sesso maschile; ed uno di questi molto adottato in Nordamerica (HERD002) addirittura non è riuscito ad identificare tra gli uomini un sottogruppo in cui la terapia anticoagulante possa essere interrotta con ragionevole sicurezza (5,6).

E’ rimasto a lungo misterioso perché le donne esibiscano un rischio del ‘primo’ episodio di TEV paragonabile a quello dell’uomo. La cosa ha avuto recentemente una spiegazione semplice. Il rischio del primo episodio appare a prima vista sovrapponibile tra i due generi, ma quando si escludono dal computo i tromboembolismi specifici del sesso femminile (legati ad ormoni, gravidanza, parto), ecco che anche il rischio del primo episodio appare all’incirca due volte superiore nell’uomo rispetto alla donna (7).  Esattamente come il rischio di recidiva!

Dove sta l’originalità dell’articolo che mi avvio a descrivere? Nell’avere dimostrato che le differenze non finiscono qui. C’è dell’altro, e tutt’altro che di scarso rilievo. Gli autori hanno analizzato la tipologia di presentazione tromboembolica quale risultava in tre autorevoli fonti: lo studio caso-controllo olandese MEGA che includeva 4953 soggetti; il trial clinico HOKUSAI-VTE di confronto tra edoxaban e terapia convenzionale per il trattamento del TEV, che ne includeva 6720; ed il registro internazionale RIETE (che ne includeva al tempo dell’indagine 40.028). Nello studio MEGA la presentazione primaria era embolica nel 35.5% delle donne e nel 29.5% degli uomini; nel trial HOKUSAI-VTE rispettivamente nel 35.1% e nel 25.2%; e nel registro RIETE rispettivamente nel 53.3% e nel 47.7%. La differenza prescindeva dall’età ed era più pronunciata nei pazienti con TEV idiopatico.

Commento

Da questo articolo scaturisce quindi con tutta evidenza che la donna ha una probabilità più alta rispetto all’uomo di esordire con EP quando sviluppa un episodio tromboembolico. Tale rilievo ha trovato una recente conferma anche nella sub-analisi dello studio italiano DULCIS (8). Dato che la differenza prescinde dall’età ed è più pronunciata quando il confronto si esegue tra individui con TEV idiopatico, ne consegue che non è imputabile alla tipologia dei fattori di rischio.

In altre parole, non sono (come si poteva ipotizzare) ormoni, gravidanza o parto a conferire questa peculiare modalità di presentazione primariamente embolica; è proprio la natura femminile. E la spiegazione è ovviamente del tutto sconosciuta.

La discussione dell’articolo in oggetto ne prospetta una più inverosimile dell’altra (della serie che essendo gli uomini mediamente più alti ed avendo di conseguenza le gambe più lunghe sarebbero più propensi a sviluppare TVP degli arti rispetto alle donne). Io piuttosto che dire queste sciocchezze preferisco dire che la causa è sconosciuta. E preferisco richiamare l’attenzione sulla necessità che il sospetto clinico di EP venga formulato (e le relative indagini diagnostiche avviate) pur in assenza di segni clinici di TVP in tutti, ma con un occhio di riguardo per le donne. Se Wells fosse stato a conoscenza di ciò quando ha elaborato il suo famoso score di probabilità clinica forse avrebbe dato un mezzo punticino in più al sesso femminile! Tant’é, ormai é tardi. Ma ciò non ci deve impedire di tenerne conto.

Ciò detto, mi permetto di riassumere brevemente le differenze principali tra i due generi quando si parla di TEV.

Se si escludono i rischi connessi con l’uso di ormoni, con la gravidanza ed il parto, la donna è in assoluto meno esposta dell’uomo al rischio di TEV. Quando lo sviluppa, tende a presentarlo come EP in assenza di segni clinici di TVP più comunemente dell’uomo. Alla sospensione della terapia anticoagulante, dopo i primi canonici 3-6 mesi, ha un rischio di recidiva tromboembolica sensibilmente inferiore all’uomo. Aggiungo che quando una donna fa una TVP, il suo rischio di sviluppare PTS, a parità di condizioni, è più alto che nell’uomo, e che probabilmente proprio per questo appare giovarsi di più dell’elasto-compressione.

Sono rimasto in debito con i miei lettori di una spiegazione. Più sopra dissi che fummo sfortunati quando nel ’96 pubblicammo il mitico studio sul decorso clinico della TVP e non fummo in grado di rilevare significative differenze nel rischio di recidiva tra i due sessi (solo un trend, ma lontano dalla significatività). In quanto arruolammo solo TVP e non EP primarie, ci privammo di donne con EP che, in quanto tali, avrebbero recidivato di meno. Dovevamo pure lasciare qualcosa agli altri!

Bibliografia

  1. Scheres LJJ et al. Sex-specific differences in the presenting location of a first venous thromboembolism. J Thromb Haemost 2017;15:1344-50
  2. Kyrle PA et al. The risk of recurrent venous thromboembolism in men and women. N Engl J Med 2004;350:2558-63.
  3. Prandoni P et al. The long-term clinical course of acute deep venous thrombosis. Ann Intern Med 1996;125:1-7
  4. McRae S et al. Effect on patient’s sex on risk of recurrent venous thromboembolism: a meta-analysis. Lancet 2006;368:371-8.
  5. Rodger MA et al. Identifying unprovoked thromboembolism patients at low risk for recurrence who can discontinue anticoagulant therapy. CMAJ 2008;179:417-26.</li>
  6. Rodger MA et al. Validating the HERDOO2 rule to guide treatment duration for women with unprovoked venous thrombosis: multinational prospective cohort management study. BMJ 2017:356:j1065.
  7. Roach RE et al. Sex difference in risk of second but not of first venous thrombosis. Circulation 2014;129:51ñ6.
  8. Palareti G et al. D-dimer to guide the duration of anticoagulation in patients with venous thromboembolism: a management study. Blood 2014;124:196-203.