Se la prevenzione del tromboembolismo venoso (TEV) nella popolazione generale passa attraverso il controllo di fattori di rischio (come l’obesità, la sedentarietà, il fumo e l’alimentazione), la corretta idratazione e l’adeguata attività motoria, esistono situazioni, come gli interventi chirurgici, le fratture o le patologie mediche acute (soprattutto se con immobilizzazione o in presenza di neoplasia) in cui il rischio di trombosi venosa aumenta decisamente e possono rendersi necessarie misure di profilassi, ovvero di interventi “attivi” volti a ridurre o prevenire l’insorgenza della malattia che possono essere di natura “meccanica” (come le calze elastiche a compressione graduata o la compressione pneumatica intermittente) o farmacologica.
In Italia, i farmaci che vengono utilizzati per la profilassi sono le eparine, a basso peso molecolare (EBPM) e non frazionata (ENF) ed il fondaparinux. Attualmente gli anticoagulanti orali diretti (apixaban, rivaroxaban e dabigatran) sono autorizzati solo per la profilassi dopo chirurgia sostitutiva (artroprotesi) di anca o ginocchio. L’utilizzo dell’acido acetilsalicilico (aspirina) per la prevenzione in chirurgia ortopedica, pur previsto da alcune linee guida americane, rimane ancora discusso e di rara applicazione nella realtà italiana.
I farmaci anticoagulanti per via iniettiva come le EBPM, spesso prescritti al domicilio (come nel caso della frattura di un arto), possono presentare delle difficoltà di somministrazione per il paziente inesperto. Inoltre, possono verificarsi effetti indesiderati come ematomi, specialmente se l’iniezione non è eseguita adeguatamente. Non da ultimo, la prescrivibilità delle EBPM utilizzate per la profilassi è rigidamente regolamentata a livello regionale ed ospedaliero, al punto che può risultare difficoltoso per il paziente accedere al farmaco.
Al fine di individuare le difficoltà a cui possono andare incontro non solo i pazienti ed i caregivers che devono affrontare una profilassi farmacologica, ma anche i professionisti alle prese con linee guida e normative (a volte carenti, altre troppo stringenti), anticoagulazione.it ha condotto un’indagine (survey) alla quale hanno risposto lettori, professionisti e non, distribuiti su tutto il territorio nazionale. La survey è stata resa possibile grazie al supporto non condizionante di Sanofi.
I risultati del questionario rivolto ai pazienti
I non professionisti che hanno risposto all’indagine sono stati 177 (154 pazienti e 23 caregivers), distribuiti su tutto il territorio.
Nonostante il 96% delle persone (170/177) abbia risposto di avere portato a termine la profilassi prescritta dal medico, in undici casi (6%) sono stati segnalati disturbi legati alla formazione di ematomi e/o dolore nella sede di iniezione. Inoltre, in tre casi il paziente o caregiver non è stato in grado di somministrare autonomamente il farmaco, dovendo ricorrere a personale infermieristico, generalmente per la mancanza di informazioni sulla corretta procedura dell’iniezione.
Solo sette pazienti (4%) hanno riferito non aver portato a termine la profilassi con EBPM prescritta. In quasi un terzo dei casi di mancato completamento del trattamento, questo era associato a difficoltà nel reperimento del farmaco. Fortunatamente, la difficoltà dell’iniezione non è stato un problema determinante nella decisione di interrompere precocemente la profilassi in quanto è stata riferita solo da un paziente.
La stringente normativa che regola la prescrivibilità delle EBPM ha reso necessario, per alcuni pazienti, assumersi l’onere dell’acquisto del medicinale che, in alcune regioni, prevede un percorso esclusivamente specialistico con distribuzione diretta ospedaliera per alcune indicazioni (gravidanza, bridging, paziente oncologico).
Più lineare (anche come rimborsabilità da parte del Sevizio Sanitario Regionale) il percorso del paziente al quale viene prescritta la profilassi con EBPM/fondaparinux dopo un intervento chirurgico, che è risultato il motivo della profilassi per il 42% dei pazienti che hanno risposto al questionario, mentre nel 29% dei casi si è trattato di un problema medico che non ha richiesto il ricovero (es. infezione, immobilizzazione ecc.). Il 19% delle persone che hanno risposto alla domanda ha proseguito la profilassi iniziata durante un ricovero in reparto medico, ed il 10% l’ha effettuata per una patologia ortopedica (trauma o gesso).
Nella maggioranza dei casi (87%) la profilassi farmacologica è stata prescritta dallo specialista ospedaliero. Infatti, due terzi dei pazienti hanno proseguito una terapia iniziata durante il ricovero in reparto medico o chirurgico, mentre il 10% ha iniziato la profilassi verosimilmente dopo un accesso al pronto soccorso ortopedico per un trauma.
Un aspetto di particolare rilievo è che solo 10 pazienti (6%) hanno ricevuto l’indicazione alla profilassi dal proprio medico di medicina generale (MMG), nonostante quasi un terzo di loro l’abbia effettuata per un problema medico che non ha richiesto il ricovero. Ciò sembra indicare una mancanza di chiarezza nell’ambito della medicina domiciliare circa le indicazioni alla profilassi farmacologica nel paziente acuto ad alto rischio di TEV, ed anche una difficoltà a districarsi nel groviglio di normative che regolamentano la distribuzione delle eparine al di fuori dell’ambito ospedaliero.
Nonostante molti dei pazienti con patologia acuta (scompenso cardiaco, polmonite ecc) che un tempo venivano ricoverati, vengano attualmente gestiti al domicilio, mancano studi e relative indicazioni delle linee guida sull’opportuno trattamento di profilassi domiciliare. Ciò può tradursi in una mancata prevenzione in pazienti che ne avrebbero invece necessità (problema peraltro evidenziatosi durante la pandemia di COVID-19).
Da ultimo, dall’indagine è emerso come sia piuttosto comune effettuare una profilassi molto prolungata (oltre i 40 giorni), riferita da quasi un quarto dei pazienti\caregivers (in oltre la metà dei casi per un problema medico che non ha richiesto il ricovero). Questi pazienti, trattati a lungo, sono stati coloro che più spesso hanno riferito disturbi legati alla somministrazione (ematomi e\o dolore); in uno di questi casi è stata riferita una emorragia maggiore, ma non è stato possibile stabilire con certezza che si trattasse dell’uso di dosi profilattiche e non terapeutiche, per curare, ad esempio, una flebite.
I risultati del questionario rivolto ai professionisti
All’ indagine hanno risposto 153 professionisti, prevalentemente specialisti ospedalieri di area medica (solo il 4,5% era chirurgo e il 10% medico di medicina generale), provenienti da 17 regioni italiane.
A differenza di quanto ci si sarebbe potuti aspettare dalle risposte dei pazienti, quasi il 40% dei professionisti ha osservato una sospensione arbitraria della profilassi da parte dei pazienti ai quali era stata prescritta. Percentuale che potrebbe essere sottostimata dato l’elevato numero di internisti ospedalieri (59/153) che ha risposto alla survey i quali raramente, come da essi stessi segnalato, rivedono il paziente dopo la dimissione.
Di fronte alla discrepanza tra le percentuali di sospensione arbitraria della terapia riferita da pazienti\caregivers o dai medici va sottolineato come, inevitabilmente, i pazienti che hanno risposto alla survey di anticoagulazione.it sono particolarmente attenti al problema ed informati mentre quanto osservato dai professionisti si riferisce alla totalità dei pazienti, estremamente eterogenea come alfabetizzazione sanitaria, la cosiddetta “health literacy”.
In ogni caso, l’elevata percentuale di professionisti che riscontra una bassa aderenza dei pazienti alla profilassi antitrombotica evidenzia un problema di particolare gravità, specie quando si tratta di profilassi prescritta dopo situazioni ad alto rischio come un intervento di chirurgia ortopedica e chirurgia generale.
Il motivo principale dell’auto-sospensione è stato ritenuto essere, dal 74% dei clinici, la mancata percezione del rischio tromboembolico da parte del paziente, in parte imputabile ad una deficitaria comunicazione medico-paziente, problema peraltro già rilevato nelle risposte dei pazienti\caregivers. Il 17% dei clinici ritiene che i pazienti che interrompono (o non iniziano) il trattamento preventivo lo faccia perché incontra difficoltà nell’eseguire l’iniezione e il 9% perché ha timore dell’emorragia.
Per quanto tempo prescrivo la profilassi antitrombotica?
Come atteso, la netta maggioranza (70%) dei clinici che hanno risposto all’indagine prescrive generalmente l’EBPM fino ad un massimo di 14 giorni, in linea con le linee guida sulla profilassi antitrombotica nel paziente medico ospedalizzato.
Se e quando continuare la profilassi farmacologica dopo il ricovero per patologia acuta rimane un tema sul quale vi è una sostanziale mancanza di indicazioni, che si riflette in comportamenti molto eterogenei, come sottolineato dai commenti che hanno lasciato i professionisti stessi. Vi è infatti chi continua “a tempo indefinito” la somministrazione di EBPM (o di fondaparinux) dopo la dimissione in caso di patologia con esiti neurologici (es. esiti di ictus o patologia neurologica con immobilizzazione) e chi invece raramente prescrive la prosecuzione della profilassi in dimissione.
Infatti, nonostante siano stati pubblicati diversi studi negli ultimi anni sulla opportunità di proseguire la prolassi domiciliare fino a quattro settimane in alcune categorie di pazienti a rischio, non vi è ancora accordo tra gli esperti, e le linee guida disponibili non forniscono questa indicazione (1,2). Fa eccezione il caso del soggetto che subisce un trauma spinale con successiva immobilità, nel qual caso vi è consenso tra gli esperti sulla prosecuzione della profilassi con EBPM per tre mesi associata ad elasto-compressione (quest’ultima da continuare a tempo indeterminato), sebbene la forza della raccomandazione sia debole per il basso livello delle evidenze disponibili (3).
La prosecuzione, invece, a tempo indeterminato di EBPM o di fondaparinux nel soggetto allettato cronico viene sconsigliata dalle linee guida, ma lo scarso livello delle evidenze disponibili non sembra convincere i clinici poiché quasi un terzo (il 27%) dei rispondenti ha segnalato che l’indicazione più frequente per cui prescrive la profilassi farmacologica è proprio il paziente anziano, cronico e\o ipomobile; anche se solo l’8% dei professionisti ha riferito di prescrivere EBPM generalmente per più di 5 settimane. Proprio il “paziente cronico” è considerata la principale area grigia dalla maggioranza dei clinici (54%).
Il paziente cronico
Va comunque tenuto presente che c’è paziente cronico e paziente cronico. Se consideriamo cronico il paziente “cronicizzato”, portatore di una patologia ematologica o neoplastica, le cose si complicano. Infatti, non solo le indicazioni internazionali sulla profilassi nel paziente oncologico si basano sostanzialmente su score per la valutazione del rischio (soprattutto il Khorana score) che non vengono ritenuti ottimali in molte condizioni, ma la rigida regolamentazione regionale sulla prescrivibilità e distribuzione delle EBPM/fondaparinux nel nostro paese può rendere estremamente difficoltoso l’accesso a questi trattamenti in alcune situazioni.
A questo proposito l’estrema disomogeneità territoriale nell’accesso ai farmaci ed i limiti di prescrivibilità imposti ai medici in molte regioni sono problemi sottolineati da diversi professionisti che hanno risposto alla survey e che abbiamo approfondito nell’intervista al dott. Marco Marietta, presidente della Federazione dei Centri per la Sorveglianza dei trattamenti Antitrombotici (FCSA), che sarà disponibile a breve.
Le “aree grigie” delle linee guida
La carenza di chiare indicazioni nelle linee guida emersa dalla survey riguarda molti ambiti, tra cui la profilassi domiciliare nel paziente acuto ad alto rischio di tromboembolismo venoso, evidenziata dal 30% dei clinici, ed alcuni ambiti chirurgici specialistici come la chirurgia toracica e quella urologica. Ma non mancano i dubbi sulla patologia ortopedica “minore”, come i traumi agli arti inferiori e gli interventi in artroscopia.
Queste carenze certamente pesano nella pratica clinica poiché il 72% dei professionisti ha riferito di attenersi principalmente alle linee guida quando si tratta di prescrivere la profilassi. Meno del 20% dei rispondenti si attiene principalmente alle direttive aziendali o alle indicazioni dello specialista, mentre solo dodici professionisti (l’8%) hanno riferito di affidarsi in primo luogo alla propria esperienza.
Ma al di là delle “indicazioni” delle linee guida, sono molti gli aspetti di gestione delle eparine che ancora preoccupano il clinico alle prese con pazienti acuti che spesso hanno una compromissione della funzionalità renale oppure rientrano in quelli che vengono definiti “estremi di peso”.
Prossimamente su anticoagulazione.it
Allo scopo di fornire alcune informazioni utili ai professionisti negli ambiti di “incertezza” che sono stati segnalati dai rispondenti all’indagine, la Redazione di anticogulazione.it tratterà gli argomenti emersi dall’indagine negli articoli di prossima pubblicazione. Inoltre, ogni settimana verrà inserita nella newsletter di anticoagulazione.it una “pillola di clinica” contenente una delle domande emerse durante la survey e la relativa breve risposta. Tutte le “pillole di clinica” pubblicate verranno riassunte successivamente in un opuscolo scaricabile.
Infine, poiché è emersa l’esigenza da parte dei pazienti e dei caregivers di maggiori informazioni circa la corretta procedura di somministrazione delle EBPM, la Redazione ha preparato una scheda illustrata, scaricabile al seguente link.
Bibliografia
- Kahn SR, Lim W, Dunn AS, et al. Prevention of VTE in nonsurgical patients: Antithrombotic Therapy and Prevention of Thrombosis, 9th ed: American College of Chest Physicians Evidence-Based Clinical Practice Guidelines. Chest 2012 ;141:e195S-e226S.
- Schunemann HJ, Cushman M, Burnett AE, et al. American Society of Hematology 2018 guidelines for management of venous thromboembolism: prophylaxis for hospitalized and nonhospitalized medical patients. Blood Adv 2018;2:3198-3225.
- Nicolaides AN, Fareed J, Spyropoulos AC, et al. Prevention and management of venous thromboembolism. International Consensus Statement. Guidelines according to scientific evidence. Int Angiol. 2024;43(1):1-222. doi:10.23736/S0392-9590.23.05177-5