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Negli ultimi 20 anni si è assistito ad una progressiva riduzione delle indicazioni per il ricovero di soggetti di area medica, ed anche in caso di ricovero la durata della degenza si è progressivamente ridotta. Sono subentrate strutture come l’Assistenza Domiciliare Integrata, che vicariano molte delle funzioni un tempo espletate durante il ricovero. In conclusione, è stato trasferito al medico di base il compito di decidere se e quando instaurare la prevenzione del tromboembolismo venoso (TEV) in circostanze in cui in ospedale sarebbe stata probabilmente effettuata.

Premetto che non mi sto riferendo all’immobilizzato cronico. Questa figura è stata ripetutamente esplorata da studi che hanno portato alla conclusione che in tali casi, a patto che non subentrino circostanze che la richiedono, la profilassi non è generalmente necessaria. Mi sto riferendo al soggetto che sviluppa una condizione clinica di varia tipologia (da uno stato infettivo ad uno infiammatorio, dal riacutizzarsi di una BPCO al subentrare di uno scompenso cardiaco, solo per fare alcuni esempi) che un tempo avrebbe richiesto il ricovero in ospedale, mentre oggi viene generalmente gestita nel territorio. A ciò potrei aggiungere anche situazioni al confine con l’area chirurgica, ad esempio un’artroscopia del ginocchio, uno stripping delle safene, una laparoscopia ed altre indicazioni per una day-surgery che prevede il rientro del soggetto in giornata ed il suo riaffidamento al medico di famiglia.

Orbene, per quanto sorprendente possa sembrare, mentre la letteratura è ricca di indicazioni per il paziente ricoverato, nulla è disponibile per il paziente gestito ambulatorialmente, cosicché nella maggior parte dei casi pazienti che, se ricoverati, avrebbero ricevuto una tromboprofilassi, al proprio domicilio ne sono esentati. Quasi come se fosse l’aria dell’ospedale a provocare la complicanza tromboembolica.

Si sono fatti alcuni progetti al tempo dell’infuriare del COVID-19, ma sono abortiti precocemente per una serie di motivi che vanno dalla tardività dei progetti stessi alla difficoltà di collaborazione con i medici di famiglia e di raggiungere la numerosità campionaria richiesta. Ricordo di avere anch’io una decina di anni fa progettato uno studio per rispondere a questi quesiti, ma ho dovuto arrendermi dopo poco tempo alle difficoltà che ne precludevano la realizzazione.

In conclusione, un quesito così importante rimane ancora senza risposta. Che fare? Ricevo spesso telefonate di medici di famiglia che mi chiedono consigli al riguardo, e la mia risposta è sempre la medesima, quella che cercherò brevemente di illustrare, con la consapevolezza di esprimere un’opinione personale, proprio per la mancanza di supporti scientifici al riguardo.

Bisogna partire da una considerazione. Lo sviluppo del TEV richiede il concorso di fattori predisponenti e di fattori scatenanti. I soggetti anziani sono a maggior rischio, così come i soggetti ipomobili, gli obesi, i portatori di stati trombofilici o neoplastici, i soggetti con insufficienza renale, con storia di pregresso TEV, con cardiopatie o broncopneumopatie croniche, i soggetti in cura con farmaci ormonali, steroidi od antidepressivi. Se su una o più di queste condizioni si innesta un fattore di rischio scatenante, quale uno stato infettivo od infiammatorio, la riacutizzazione di una broncopneumopatia o di uno scompenso cardiaco, la necessità di una degenza a letto prolungata (cioè, di più di 3-4 giorni) si creano le condizioni per lo sviluppo di TEV anche a domicilio. La letteratura ci ha offerto numerosi scores che possono aiutare ad identificare i soggetti a maggior rischio. Tra quelli più comunemente impiegati in Ospedale figura il Padua Prediction Score, di cui allego a beneficio dei lettori una tabella che ne consente la facile consultazione (1). Usiamolo anche a domicilio. Va da sé che nei pazienti già in trattamento con anticoagulanti od antiaggreganti piastrinici per altre indicazioni il problema non si pone; e che è preferibile astenersi da provvedimenti farmacologici anche in pazienti che, pur se rispondenti ai criteri anzidetti, hanno un rischio emorragico elevato (per comorbidità, storia di emorragie, piastrinopenia, insufficienza epatica, ecc.).

I farmaci registrati per indicazioni di profilassi, anche ambulatoriale, nel nostro paese sono essenzialmente due: le eparine a basso pm ed il fondaparinux, da usare ovviamente a dosi preventive per tutto il tempo che il paziente è giudicato a rischio, e comunque per non meno di 1-2 settimane. Ricordo che l’inizio di una terapia con eparine (anche a dosaggio di profilassi) richiede il controllo delle piastrine circolanti, da effettuare almeno una volta (dopo 4-5 giorni), meglio due (dopo 8-10 giorni) se le indicazioni per la profilassi si prolungano. Nei soggetti ad elevato rischio emorragico si potrà ripiegare sull’impiego di calze elastiche anti-trombo, pur con la consapevolezza che loro efficacia non è paragonabile a quella dei farmaci.

Nessuno rimprovererà mai ad un medico di aver seguito un comportamento dettato dal buon senso, anche e soprattutto per la mancanza di linee guida e di indicazioni ufficiali al riguardo. Lo sviluppo di un episodio grave o fatale di TEV, altrimenti prevenibile, anche se difendibile sul piano medico-legale, può creare un indesiderabile problema di coscienza.

 

PADUA PREDICTION SCORE

 

Parametro Punteggio
Neoplasia attiva 3
Precedente TEV 3
Mobilità ridotta o assente 3
Stato trombofilico noto 3
Recente trauma o chirurgia 2
Età avanzata (> 70 anni) 2
Insufficienza cardiaca e/o respiratoria 1
Stato infettivo o reumatologico 1
Cardiopatia ischemica o stroke 1
Obesità (BMI > 30) 1
Terapia ormonale 1

 

Alto rischio di TEV: punteggio > 4

Bibliografia:

Barbar S, Noventa F, Rossetto V, Ferrari A, Brandolin B, Perlati M, De Bon E, Tormene D, Pagnan A, Prandoni P. A risk assessment model for the identification of hospitalized medical patients at risk for venous thromboembolism: The Padua Prediction Score. J Thromb Haemost 2010; 8: 2450-2457.