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A giugno 2020 l’AIFA ha introdotto la possibilità per i MMG di prescrivere la terapia anticoagulante orale con i DOAC (anticoagulanti orali diretti) per i pazienti affetti da fibrillazione atriale non valvolare. I diretti interessati hanno accolto con entusiasmo questa apertura, pensata anche per alleggerire in Centri di secondo livello.

A giugno 2020 l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) ha diramato la Nota 97, un documento con cui ha allargato ai medici di medicina generale la possibilità di prescrivere la terapia anticoagulante orale con i DOACs (rivaroxaban, apixaban, edoxaban e dabigatran) ai pazienti affetti da fibrillazione atriale non valvolare.

L’intenzione era quella di alleggerire il carico dei Centri specializzati in un momento – quello della pandemia da COVID-19 – in cui erano molto sovraccarichi.
La Nota, inizialmente pensata come una norma transitoria, è diventata disposizione definitiva a partire dal mese di ottobre 2020. Oggi, quindi, i medici di medicina generale possono effettuare la prima prescrizione e seguire i vari follow-up del paziente affetto da fibrillazione atriale senza che questi abbia più bisogno di recarsi in un Centro di secondo livello per ottenere il piano terapeutico o il suo rinnovo.

Sui piani terapeutici la SIMG, la Società italiana di Medicina Generale, ha una posizione ben precisa, riassunta dal suo presidente, Claudio Cricelli: “Noi troviamo irrazionali i piani terapeutici che riguardano l’anticoagulazione, la broncopneumopatia cronica ostruttiva e il diabete mellito, tutte terapie che sarebbero gestibili dal medico di medicina generale. La scelta di impedire ai MMG la prescrizione di questi farmaci priva i cittadini di una risorsa importante, i medici di medicina generale della possibilità di prendere in carico e di curare adeguatamente i pazienti e impedisce ai MMG di avere una formazione adeguata per farmaci usati in terapie che sono ormai accettate da 15-20 anni”.

Nel merito, Damiano Parretti, responsabile dell’area cronica e cardiovascolare per la SIMG, nota che “prima dell’introduzione della Nota 97 i medici di medicina generale si occupavano già della gestione dei pazienti in DOAC per tutti quegli aspetti che riguardano la vita quotidiana. La Nota ci permette ora di seguire anche la parte prescrittiva, liberando i Centri di secondo livello da un carico di lavoro amministrativo importante”. Il fatto che il medico di medicina generale possa effettuare anche la prima prescrizione non significa che lo faccia sempre o che non comunichi con gli specialisti: “La fibrillazione è una patologia a gestione integrata, per cui c’è sempre una comunicazione tra noi e i colleghi – assicura Parretti – che sia per il tracciato ECG necessario alla diagnosi o per la gestione del paziente acuto o instabile, il canale è aperto. La medicina generale, però, può e deve seguire i pazienti stabili”.

Per farlo al meglio, la SIMG ha organizzato molti webinar sulla patologia e sugli aspetti normativi della Nota per fornire tutte le informazioni necessarie a utilizzare al meglio gli strumenti a disposizione. “La gran parte dei colleghi ha iniziato utilizzando la scheda di follow-up per poi passare progressivamente anche a quella di prima prescrizione”, ripercorre Parretti.

Tuttavia, la Nota 97 ha reso possibile la prescrizione dei DOAC da parte dei MMG solo per quanto riguarda la fibrillazione atriale, generando non poca confusione nei pazienti affetti da altre patologie, come il tromboembolismo venoso, che devono continuare a rivolgersi ai centri specialistici ospedalieri sia per la prima prescrizione della terapia che per l’eventuale rinnovo del piano terapeutico. “È vero, questa incongruenza esiste – conferma Parretti – tuttavia, è importante ricordare che la Nota 97 riguarda la gestione di una patologia, la fibrillazione atriale non valvolare, e non la terapia anticoagulante. Detto questo, se si rimuovono le barriere per la gestione della FA, a mio avviso sarebbe corretto farlo anche per il tromboembolismo venoso, che sarebbe comunque sempre trattato in modo integrato con la medicina specialistica”.

Infatti, l’indicazione a proseguire o meno la terapia anticoagulante dopo un primo episodio di trombosi venosa profonda o embolia polmonare, è frutto di una complessa valutazione specialistica tesa ad evitare che, chi si trova nelle condizioni di poterla sospendere, continui ad assumere una terapia gravata da un rischio non sottovalutabile di emorragia severa (1-2% anno). Tuttavia, l’attuale impossibilità per un medico impegnato sul territorio (compresi gli specialisti che lavorano in ambulatori convenzionati: guarda l‘intervista alla Dr.ssa Lucia Angeloni proprio a questo proposito) di prescrivere i DOAC ha risvolti pratici non trascurabili qualora il professionista si trovi di fronte ad una diagnosi di tromboembolismo venoso, o ad una necessità di rinnovo, e debba inviare il paziente ad un centro ospedaliero di secondo livello, non sempre facilmente accessibile, per la prescrizione della terapia.