Daniela Poli, presidente FCSA, ha introdotto la tavola rotonda condotta da Massimo Cirri “Quello che serve. Riflessioni in difesa del Servizio Sanitario Nazionale”. Il dibattito ha visto la partecipazione di  Nicola Magrini, direttore del Governo Clinico dell’AUSL Romagna, Michele Bocci, giornalista, Gualtiero Palareti, direttore di Fondazione Arianna Anticoagulazione, Pier Mannuccio Mannucci professore emerito dell’Università Statale di Milano, e Alessandro Nobili, direttore del dipartimento di Politiche per la salute dell’ Istituto Mario Negri.

Nonostante l’incontestabile sotto-finanziamento del SSN, a Firenze non si è parlato solo di questo, perché i motivi per cui il servizio pubblico sta scivolando verso l’incapacità di rispondere alle esigenze di salute dei cittadini sono molto più profonde e richiedono un cambiamento culturale.

Il tempo per seguire i pazienti e seguire i pazienti nel tempo: la base della qualità delle cure

Noi abbiamo il problema della sopravvivenza del SSN ma non siamo garantiti dal suo finanziamento”- ha detto Gualtiero Palareti, direttore di Fondazione Arianna Anticoagulazione – “Non si fa una buona sanità se non c’è una costanza assistenziale;  nonostante le liste di attesa siano un problema importante, non si fa la sanità sulle singole prestazioni, si fa una buona sanità solo quando il paziente è seguito, quando abbiamo la possibilità di vedere il risultato dell’intervento medico e di imparare da quello che succede nel tempo ai nostri pazienti – ha sottolineato Palareti – e questa è la ricerca clinica, che non deve essere fatta solo nelle Università, ma nei Centri che fanno assistenza”

E’ da questo tipo di ricerca clinica, indipendente, integrata nel territorio, diversa dai grandi studi “globalizzati” registrativi dei farmaci, che si possono avere le informazioni necessarie per ottimizzare le cure, “altrimenti faremo solo gli esecutori di ricerche fatte dalle ditte”- ha spiegato Palareti.

La ricerca indipendente, e voi ne fate tanta, in Italia è poco finanziata e chi dovrebbe fare potrebbe fare di più in ambiti di interesse pubblico” – ha  evidenziato Magrini. Infatti, negli ultimi dieci anni oltre 20 000 pazienti sono stati seguiti dai Centri FCSA nell’ambito del registro START, in collaborazione Fondazione Arianna Anticoagulazione, per capire gli effetti delle cure. Un lavoro spontaneo e gratuito quello dei professionisti dei Centri che, tuttavia, necessitano “del tempo per seguire cosa succede, e questo non è un elemento secondario, non è un di più per cui si fa la ricerca, è la base della qualità della prestazioneha spiegato Palareti.

Dalla “malattia” al “malato”

Un “cambio di paradigma”, dalla gestione della “malattia” alla gestione del “malato”, è uno dei punti decisivi individuati dall’Istituto Mario Negri per ottimizzare le cure. Un cambiamento che richiede risorse culturali più che economiche. Se, come è stato fatto fin ora, “pratichiamo un modello di medicina o di sanità che è basato sulla singola malattia e non sul paziente nella sua complessità, il rischio è sempre quello di aggiungere (farmaci N.d.R.), nessuno si domanda se c’è qualche cosa da togliere -ha spiegato Alessandro Nobili, dell’Istituto Mario Negri. Questo comporta una “sommatoria di farmaci” (polifarmacoterapia), aggiunti dai vari specialisti in assenza di una “visone d’insieme”, che può essere di detrimento per il paziente.

“Più andremo avanti più avremo malati cronici, ma tutti noi siamo stati formati sulla cura della singola malattia, non sul gestire i problemi delle persone; tuttavia questa è una rivoluzione che si deve fare e che può portare a dei cambiamenti” – ha continuato Nobili – “bisogna passare alla presa in carico del paziente e non delle singole prestazioni”.

Infatti, dai dati del registro REPOSI, avviato una quindicina di anni fa dall’Istituto Mario Negri insieme al prof. Mannucci e alla Medicina Interna dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, è emerso come, in assenza di una rete che si faccia carico del paziente dimesso dall’ospedale dopo un ricovero per patologia acuta, “nel 30% dei casi dopo un mese il paziente ve lo ritrovate in ospedale”, ha spiegato Nobili.

Troppi farmaci usati male

Secondo l’OMS la metà dei farmaci sono usati male o in modo inappropriato, risultando quindi inutili o addirittura di detrimento per i pazienti. Ma qualcosa si può fare, ne è convinto Magrini rivolgendosi ad FCSA, una comunità di professionisti, clinici e laboratoristi, che da oltre trent’anni si dà regole condivise per ottimizzare la cura dei pazienti che necessitano di terapie anticoagulanti. “In questo senso credo che proprio voi possiate avviare anche programmi modello come comunità qualificata in un ambito in forte crescita” – ha detto Magrini, riferendosi ai farmaci che agiscono sulla coagulazione del sangue. “Considerando solo i nuovi anticoagulanti orali (DAOC), ben tre sono tra i primi dieci farmaci per spesa in Italia” – ha spiegato l’ex direttore di AIFA-“ è una terapia efficace e più sicura del warfarin però forse ci sono anche pazienti che potrebbero anche interromperla”.

Una riflessione condivisa dal prof. Palareti che ha evidenziato come, attualmente, la tendenza ad anticoagulare cronicamente (“a vita”) i pazienti con tromboembolismo venoso si basi su studi durati solo un anno e di come, alla luce dei potenziali rischi emorragici, ci sia la necessità di approfondire le informazioni in questo ambito.

Il problema della formazione

Ma se l’appropriatezza delle terapie e degli accertamenti diagnostici è di fondamentale importanza per ottimizzare le cure e le risorse disponibili, è evidente che il problema passa dalla formazione dei medici.

Un problema molto rilevante secondo quanto evidenziato da Valerio De Stefano, presidente SISET, il quale ha spiegato come la carenza di medici negli ospedali abbia fatto sì che  venissero assunti medici non adeguatamente formati per non aver effettuato il necessario periodo di affiancamento ad un tutor. Una situazione simile è quella dei medici di medicina generale, che si trovano a gestire i pazienti “in solitaria” dopo i tre anni di corso.

I clinici richiedono una maggiore attenzione della politica su questi temi che, secondo Nobili, non può prescindere dal superamento del numero chiuso alla Facoltà di Medicina, come evidenziato da una analisi dell’Istituto Mario Negri.

Un primo passo per superare le attuali criticità che riguardano la copertura dei posti disponibili nelle scuole di specializzazione. “Anche nella scelta della specialità pesa il rapporto pubblico-privato ”-ha detto Michele Bocci, il quale, dati alla mano, ha sottolineato come le specialità che riescono ad assegnare meno della metà delle borse di studio sono tutte di ambito prettamente ospedaliero con poco sbocco nel privato. Infatti sono stati assegnati solo il 30% dei posti  in scuola di specializzazione in Emergenza Urgenza ed il 50% di quelli a disposizione delle scuole chirurgiche, a fronte di un 100% di quelli a disposizione della chirurgia plastica e dalla dermatologia. “E questo non è solo un problema di soldi che mancano “- ha sottolineato Bocci.

Ma di fronte ad una società che sta cambiando l’appello dei clinici è ad una politica che deve intervenire per rendere più flessibili (e compatibili con una buona qualità di vita) le condizioni  di lavoro negli ospedali.