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In Italia l’utilizzo di questi dispositivi è molto limitato per un problema economico: il device costa circa 800 euro, cui vanno aggiunte le strisce reagenti necessarie per effettuare il test. Un papà ci ha raccontato la sua esperienza.

Letizia è una bimba di 8 anni che abita in Toscana ed è in terapia anticoagulante con warfarin. È affetta da una grave disabilità e per limitare stress e spostamenti il papà, Giovanni D’Onofrio, ha deciso di acquistare un coagulometro portatile, in modo da poter monitorare la propria figlia senza portarla al centro prelievi. “Non ce la facevo a vederle bucare continuamente le braccia – sospira – Uso il dispositivo da circa 5 anni e ho pagato di tasca mia 800 euro. Purtroppo nel nostro Paese non è rimborsabile”.

Per il test dell’INR normalmente serve un prelievo di sangue che nei bambini può essere particolarmente ostico per i vasi deboli o che non si vedono. “Con il coagulometro basta una gocciolina di sangue per inviare l’INR via fax e ricevere il piano terapeutico via mail – prosegue D’Onofrio – Tuttavia, non nascondo che a volte vorrei monitorare meglio Letizia ma non lo faccio per il costo delle cartine”. Sei strisce reagenti – necessarie per effettuare il test – costano quasi 40 euro.
Prima dell’acquisto provai a fare richiesta al’ASL di Arezzo, ma non ho mai ottenuto risposta – sospira il papà di Letizia – Sono tornato alla carica nel mio distretto chiedendo almeno la rimborsabilità delle strisce, ma mi hanno detto che non è possibile. Così, continuo a pagarle pensando a quelle famiglie che ne avrebbero bisogno e non possono permettersele”.

Il fattore economico è tutt’altro che ininfluente: un’indagine condotta dall’Associazione dei pazienti anticoagulati (AIPA) di Firenze ha evidenziato come lo scarso utilizzo di questi dispositivi in Italia sia dovuto principalmente al loro costo elevato.

In questi anni di utilizzo D’Onofrio non ha riscontrato alcun problema particolare, salvo un episodio: “L’anno scorso mia figlia ha avuto un’emorragia. Il dispositivo mi ha restituito un valore di 8. Il rischio emorragico è presente con un valore superiore a 4,5. Quando siamo arrivati in ospedale l’esame in laboratorio ha dato come risultato 11 e i medici mi hanno spiegato che queste macchinette sono tarate fino a un valore massimo che nel mio caso era appunto di 8”. La sostanza non cambia: il dispositivo stava segnalando un rischio emorragico e la differenza tra le due cifre non era significativa. Tuttavia lo spavento è stato tanto. “Adesso che lo so, potrò gestire meglio – anche dal punto di vista emotivo – eventuali emergenze future”, conclude D’Onofrio.