Dodici anni non sono tantissimi. So bene che ci sono persone che convivono serenamente con gli anticoagulanti da ben più lungo tempo. Io però in questi dodici anni ho fatto anche una vita attivissima.
All’inizio sembrava tutto molto complicato dopo l’impianto di un così detto “tubo valvolato” (sostituzione di una valvola cardiaca e di un “pezzo di aorta”) ho cominciato a prendere l’anticoagulante….una convivenza che si è andata via via evolvendo.
Ricordo che nei primi mesi l’andare frequentemente al mio ospedale (lo stesso in cui ero stata operata) era rassicurante. Spesso: si aspettava il proprio turno per un tempo molto lungo che tuttavia permetteva di scambiare qualche informazione e qualche dubbio con le altre persone in attesa. E poi potevi porre domande all’infermiera addetta al prelievo. Per me stare nell’ospedale è sempre stato rassicurante…Il resto lo faceva AIPA…
Mi sentivo in po’ vincolata, bloccata a stare il più possibile nei pressi dell’ospedale che mi conosceva, ma poi ho presto scoperto che la sigla INR mi consentiva di girare il mondo. Anche questo è stato rassicurante.
Ovunque io andassi e comunque la pronunciassi (AI, EN, ER, così dicevano a Providence, negli USA dove andavo molto spesso) ti indicava l’accesso ad una rete internazionale di protezione in cui tutti (medici e pazienti) si capiscono, usano lo stesso linguaggio, perché conoscono e usano le stesse tecniche di analisi.
Ricordo anche come mi sentii confortata quando all’ospedale di Trapani, a cui ero ricorsa per l’analisi della coagulazione durante un periodo di vacanza in zona, la dottoressa che mi accolse per il prelievo mi raccontò di essere una allieva del professor Palareti, il responsabile del Centro di Bologna. Dunque si stava costituendo una rete di protezione e di aiuto anche nel nostro Paese.
Oggi sono cambiate molte cose: uso il Coaguchek e lo porto con me in giro per il mondo come una coperta di Linus…(per chi non se lo ricorda era una pezzuola che il personaggio del fumetto teneva sempre con se, come fanno tanti bambini, per rassicurarsi).
Ma questo ve lo racconto un’altra volta.
A cura di Flavia Franzoni Prodi