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EDIT: Questa lettera scritta da un nostro lettore ha dato il via a un proficuo scambio tra il Prof. Gualtiero Palareti, coordinatore nazionale dello studio Apidulcis e presidente di Fondazione Arianna Anticoagulazione, e il paziente stesso.
Ricordando a tutte le persone che ci leggono che le vostre domande e i vostri racconti sono i benvenuti, trovate tra i commenti il prosieguo della conversazione tra i due.
Chi volesse comunicare con la redazione può scriverci a info@anticoagulazione.it

Ho avuto un’embolia polmonare, devo continuare la terapia anticoagulante per sempre? Il basso dosaggio del farmaco mi protegge? Un nostro lettore, dopo avere partecipato allo studio Apidulcis, ci interroga sulle implicazioni delle indicazioni emerse dall’aver preso parte alla ricerca.

Il nostro lettore ci scrive:
“Buongiorno,
sono in terapia anticoagulante da giugno 2018 dopo embolia polmonare senza fattori predisponenti. Inserito in studio Apidulcis presso centro emostasi dell’ospedale di Bergamo mi è stato consigliato di continuare l’assunzione di Eliquis a dosi ridotte. Ho notato che alcuni cardiologi e pneumologi da me incontrati a distanza di qualche anno dall’ evento polmonare dimostrano una certa perplessità nella prosecuzione sine die dell’assunzioni dell’anticoagulante. I rischi emorragici potrebbero superare gli eventuali rischi di recidiva! Noto d’altro canto che non vi è un sicuro parametro, rilevabile da prelievo di sangue, che possa essere predittivo di un possibile, imminente evento di anomalia coagulativa. Almeno questo mi è stato detto alla fine del periodo in cui sono stato inserito nello studio Apidulcis.
Tutte le osservazioni cliniche sono concordanti su questo aspetto? Dovrei praticamente andare avanti per sempre con la terapia continuandomi a esporre al rischio di emorragie e eventualmente a quello di una possibile recidiva visto che la posologia attuale è in fondo ridotta e potrebbe non impedire un evento embolico? Potrei avere un suo parere in merito?
Ho 70 anni, senza problemi particolari tranne la Ferritina alta, probabilmente per costituzione.
Grazie”

La Redazione risponde:
“Gentile Lettore,
Lo studio Apiducis, che Lei ha contribuito a realizzare, ha documentato, in linea con studi precedenti, che continuare con un basso dosaggio di anticoagulante, dopo un primo ciclo di terapia a dose piena, per un episodio di trombosi venosa profonda o embolia polmonare non provocata, è efficace e sicuro (rare le recidive di trombosi e le complicanze emorragiche). Nello studio Apidulcis sono stati selezionati per continuare la terapia solo i pazienti con D-dimero positivo al momento della sospensione della terapia (o nei due mesi successivi) che, in base a ricerche precedenti, sono risultati essere a più alto rischio di recidiva. La particolarità dello studio è stata evidenziare che anche in questi pazienti ad “alto rischio”, continuare con un basso dosaggio di anticoagulante è risultato protettivo. Non è stato invece possibile confermare, molto probabilmente a causa del contesto pandemico, che avere un D-dimero negativo ai controlli fosse garanzia di andare incontro ad un basso rischio di un nuovo episodio di tromboembolismo venoso.

Proprio la mancanza di un criterio che possa identificare con sicurezza chi è a basso rischio di recidiva e quindi può interrompere il trattamento fa sì che le principali linee guida internazionali consiglino, per chi ha avuto un primo episodio di trombosi venosa profonda o embolia polmonare non provocata, di proseguire la terapia anticoagulante “a tempo indeterminato”. Questo non significa necessariamente “per sempre” ma significa che il rapporto rischio\benefico del trattamento va periodicamente rivalutato poiché cambia nel tempo (ad esempio il rischio emorragico aumenta con l’età, in particolare dopo i 75 anni) ed in base alle condizioni cliniche. Per questa ragione è molto importante che la visita per il rinnovo del piano terapeutico sia un reale momento di rivalutazione clinica in cui verranno presi in esame i diversi fattori di rischio di recidiva trombotica e di complicanza emorragica e verrà deciso se per lei è più sicuro continuare la terapia o sospenderla. E’ una valutazione complessa e una decisione non semplice (ulteriori ricerche sono in corso per fornire elementi che la rendano più facile) ma che i clinici italiani sono in grado di effettuare con accuratezza, arrivando ad avere pochissime recidive in chi interrompe e rare complicanze emorragiche in chi continua. Ciò è probabilmente legato anche alla forte sensibilizzazione dei medici italiani su questo argomento che li porta a effettuare numerosi studi clinici (l’Italia è uno dei paesi dove si fa più ricerca sul tromboembolismo venoso) e ad essere di conseguenza molto informati.”