Uno studio sottolinea l’importanza del coinvolgimento attivo del paziente nel percorso di cura: una persona più consapevole assumerà con maggiore continuità i farmaci riducendo, tra le altre cose, il rischio di ictus e di morte per tutte le cause.

La fibrillazione atriale non valvolare (FANV) rappresenta l’aritmia più comune nella popolazione; la sua più temibile complicanza è l’ictus ischemico, una condizione associata a significativa morbilità e mortalità, che è possibile prevenire mediante un’adeguata terapia anticoagulante orale. Nell’ultimo decennio abbiamo assistito a una vera e propria rivoluzione dell’anticoagulazione dei pazienti con FANV grazie all’introduzione nella pratica clinica di quattro farmaci, dabigatran etexilato, rivaroxaban, apixaban e edoxaban (i cosiddetti anticoagulanti orali diretti, i DOAC).

Gli studi clinici hanno dimostrato che questi farmaci sono efficaci almeno quanto gli antagonisti della vitamina K (AVK) e associati a minor rischio di morte e di emorragie intracraniche per cui, come raccomandato dalle attuali linee guida, costituiscono la prima scelta terapeutica per la prevenzione del cardioembolismo nei pazienti con FANV. Oltre al loro vantaggioso profilo di sicurezza rispetto agli AVK, queste molecole hanno anche altri benefici, tra cui una breve emivita (un parametro che misura in quanto tempo la concentrazione di un farmaco nel sangue si riduca della metà), analoga a quella dell’eparina a basso peso molecolare, scarse interazioni con altri medicinali e un profilo che non rende necessario il monitoraggio di laboratorio in corso di terapia. Quest’ultimo aspetto è cruciale: se da un lato ha migliorato la qualità della vita dei pazienti anticoagulati, dall’altro ha posto in primo piano il problema dell’aderenza alla terapia.

È stato dimostrato che circa il 40-60% dei pazienti in terapia con DOAC a lungo termine hanno un tasso di aderenza non ottimale, con percentuali crescenti in maniera proporzionale alla durata del trattamento. Del resto, è stato ampiamente documentato che il rischio di ictus e di morte per tutte le cause aumentano del 13% per ogni calo del 10% dell’aderenza alla terapia. Ma quali sono i fattori che condizionano l’assunzione corretta della terapia da parte dei pazienti?

Vi sono evidenze in letteratura secondo le quali non solo il farmaco stesso ma anche altri aspetti, come il background clinico del paziente, il livello socio-economico e di istruzione, lo stato psicologico, e, non ultima, la qualità della relazione medico-paziente, influenzano l’aderenza al trattamento con DOAC. Infatti, per aumentare la consapevolezza del paziente sui rischi e i benefici della terapia che sta assumendo, le linee guida raccomandano che ad ogni visita di follow-up gli operatori sanitari verifichino gli eventuali problemi di comprensione o conoscenza e forniscano un supporto su misura alle esigenze del paziente.
Recentemente, sono stati resi noti i risultati di uno studio1 condotto in Olanda per analizzare l’entità del problema e valutare i fattori determinanti per l’aderenza subottimale alla terapia con DOAC. I pazienti arruolati hanno completato vari questionari tramite i quali sono stati testati la loro consapevolezza sulla necessità della terapia anticoagulante, i rischi e i benefici dei DOAC, eventuali problemi pratici e la qualità della vita percepita in corso di terapia. L’aderenza alla terapia è stata misurata mediante la Morisky Medication Adherence Scale (MMAS-8): un punteggio di 8 è stato classificato come ad alta aderenza mentre i punteggi inferiori a 8 sono stati considerati come aderenza subottimale. L’analisi ha coinvolto 398 pazienti, di età media 70.6 ± 9.2 anni, la maggioranza di sesso maschile. Complessivamente, il 24,9% dei pazienti è risultato non pienamente aderente al trattamento anticoagulante: in particolare, i soggetti che hanno ricevuto informazioni contrastanti sulla propria condizione clinica o sul trattamento da parte degli operatori sanitari hanno avuto una probabilità più alta di non assumere correttamente la terapia, così come coloro che hanno percepito di non essere stati coinvolti nel processo decisionale, e, dato inatteso, i pazienti con un livello di istruzione superiore.

In conclusione, lo studio evidenzia come il problema dell’aderenza al trattamento anticoagulante con DOAC sia di notevole rilevanza clinica in quanto circa un paziente su quattro non assume correttamente la terapia. Pertanto, è necessario investire maggiormente nell’informazione dei pazienti riguardo ai vantaggi e agli svantaggi delle terapie proposte coinvolgendoli attivamente nel processo decisionale: la scelta terapeutica finale potrebbe non essere la più appropriata secondo il medico, ma dovrebbe coincidere con quella che il paziente si impegna a seguire.


Bibliografia

  1. Moudallel S, van den Bemt BJF, Zwikker H, et al. Association of conflicting information from healthcare providers and poor shared decision making with suboptimal adherence in direct oral anticoagulant treatment: A cross-sectional study in patients with atrial fibrillation. Patient Educ Couns 2021;104:155-162.