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Riceviamo e pubblichiamo una lettera di Maurizio, in terapia anticoagulante da un anno e mezzo, con una valvola aortica meccanica.

La sua esperienza è particolarmente preziosa perché racconta di quanto possa essere complicata la quotidianità per un paziente anticoagulato giudicato stabile e propone anche, forse non troppo provocatoriamente, una soluzione tutta da valutare ma interessante: l’automonitoraggio.

Di seguito pubblichiamo la risposta di Alberto Tosetto, Dirigente medico della Divisione di Ematologia dell’Ospedale S. Bortolo di Vicenza, alle questioni sollevate dal nostro lettore. È intenzione di Anticoagulazione.it promuovere questo “filo diretto” con i pazienti, ospitando anche le risposte che i centri o i singoli medici vorranno farci pervenire. Se anche voi volete raccontarci che cosa non va nella vostra esperienza di pazienti anticoagulati, scriveteci a info@anticoagulazione.it

 


Porto la personale esperienza in qualità di paziente in terapia anticoagulante (portatore di valvola aortica meccanica). Sono stato operato un anno e mezzo fa all’età di 47 anni e sono in totale automonitoraggio e autogestione da circa un anno. Quello che mi ha sbigottito è la mancanza di coordinamento tra centri specializzati TAO e medico di base. Essere stato definito paziente stabile e quindi secondo normativa indirizzato al medico di base… mi ha fatto aprire gli occhi: medico di base non è all’altezza, nessuna cartella personale del paziente dove consultare la storicità, solo la richiesta di conoscere il dosaggio della settimana precedente per tarare quello nuovo in funzione dell’INR rilevato. Credo che non sia corretto caricare il medico di base anche di questa incombenza a prescindere dalla capacita/voglia/competenza di quest’ultimo di attrezzarsi per gestire al meglio questo compito. Poi… un paziente stabile passa ad un controllo ogni 4/5 settimane… ma scherziamo? Da utente… dico che è veramente troppo: sono in autogestione e con un controllo a settimana riesco ad essere in target costante da mesi.

A proposito di target e quindi di range in cui mantenere i valori… devo essere io paziente a scoprire che il range suggerito non era quello giusto? I primi 3 mesi li ho fatti seguendo le linee guida della lettera di dimissioni dell’ospedale dove per valvola meccanica aortica si indica il range 3/4 con target 3,5. Avvallo di questi valori del mio cardiologo personale, dei medici del centro TAO e ovviamente del mio medico di medicina generale. La curiosità però mi ha spinto a conoscere meglio chi ha costruito quel piccolo congegno che batte “instancabilmente” dentro di me… e allora risalgo facilmente all’azienda produttrice, l’americana St. John (ad ogni paziente viene rilasciata una tessera con il numero seriale e il modello della valvola installata). Scopro che si tratta di un modello bileaflet, diciamo di nuova generazione (ma già ampiamente in commercio) dove grazie alla particolare conformazione a emidisco il range terapeutico può essere abbassato a 2/3 con target 2,5. Tutto ampiamente già verificato e ufficializzato. Non mi sembra un dettaglio di poco conto. Un target a 2,5 e ben altra cosa rispetto ad un 3,5 e mette ancor più in sicurezza il paziente! Fatta mia questa informazione ho dovuto trasmetterla a mia volta al centro TAO che dopo le dovute verifiche ha iniziato a rilasciare i nuovi piani terapeutici in funzione di questo nuovo dato.

La domanda che mi faccio quindi è: cosa c’è che non funziona in questa filiera gestionale? Stiamo parlando della vita di persone… perché questa leggerezza e non tempestività nell’essere aggiornati? Al centro trombosi di Padova a cui mi appoggiavo inizialmente, alla mia domanda “mi aiutate a capire come usare un coagulometro?” mi hanno risposto che non hanno tempo per queste cose… e non a torto, oberati come sono di lavoro. Ho dovuto cercare attivamente sinché ho finalmente trovato un cardiologo rivelatosi incredibilmente disponibile nell’aiutarmi ad imparare l’autodosaggio. Il suo tutoring è stato decisivo, vuoi per il corretto apprendimento, quanto per la fiducia trasmessami. Il tutto è durato 3/4 mesi: condividevo al telefono o via email il valore dell’esame e in meno di un minuto mi confrontavo sul nuovo dosaggio. Questo mi ha permesso di imparare. Come tutti noi sappiamo, il punto fondamentale è l’aderenza alla terapia e un esame ogni 4 settimane non mi sembra la strategia più efficace. Non ho dubbi sul fatto che l’autodosaggio non sia per tutti ma magari si potrebbero iniziare a fare degli incontri mirati a questo… Si “formerebbero” un certo numero di pazienti (ritenuti ovviamente idonei) alla totale indipendenza: minori costi sanitari e maggiori benefici per i pazienti (mi sembra che i dati di questa pratica ormai radicata in Nord Europa lo dimostrino chiaramente). Inoltre la libertà che permette questa indipendenza è impagabile: sono spesso in viaggio (in particolare all’estero) e senza questa autogestione non saprei proprio come fare.

Il mio non vuole essere uno sfogo, ma un punto di partenza, di riflessione, da cui iniziare un piano d’azione; si potrebbe, su base territoriale e poi locale, raccogliere i nominativi di quali pazienti sono interessati ad iniziare un percorso che li porti all’autogestione (in concerto anche con i bacini d’utenza dei centri TAO)  Seguono poi delle serate a tema formative. Gli stessi pazienti già autonomi possono fare da supporter (non c’è ovviamente la presunzione di sostituirsi ad un medico) e portare il loro aiuto concreto ai “nuovi arrivati”. Questo può essere un modo per creare rapidamente un circuito virtuoso.

Maurizio Marano


La risposta del Dr. Tosetto

Il nostro lettore pone giustamente in evidenza il grande problema di fornire sempre al paziente la migliore terapia anticoagulante possibile. E per “migliore” non si deve intendere solo quella che utilizza il farmaco più nuovo, o quello maggiormente pubblicizzato. La “migliore” terapia è sempre quella in cui il paziente viene adeguatamente seguito nel tempo e aiutato nel caso ci siano delle complicanze di tale terapia. È ben documentato dalla letteratura scientifica che i pazienti seguiti da Centri dedicati a questo hanno un miglior controllo e minori complicanze. Questo è sicuramente vero per i pazienti in terapia warfarinica, ma l’esperienza medica fa ritenere che processi di informazione e follow-up adeguati possano essere di beneficio a lungo termine anche per i pazienti che ricevono i nuovi anticoagulanti orali diretti.

Detto questo, resta il problema di quali strutture possano dare un supporto per i pazienti. Il dato epidemiologico è che in Italia abbiamo circa un milione di pazienti in terapia anticoagulante orale, a fronte di circa duecento Centri riconosciuti da FCSA (la Federazione dei Centri di Terapia Anticoagulante); questo significherebbe una media di 5.000 pazienti per Centro! Nessun Centro in Italia ha la capacità di seguire tutti questi pazienti, ovviamente.

La soluzione proposta da alcune Regioni (tra cui la Regione Veneto) è proprio quella di coinvolgere i Medici di Medicina Generale nella gestione delle terapia anticoagulanti, essendo questi i Colleghi che sempre più saranno gli attori principali nella gestione del paziente cronico sul territorio. La vera sfida per il futuro è dunque quella di diffondere l’assistenza sul territorio, integrando tra loro Centri e Medicina Generale. Esistono già esperienze virtuose in questo senso (vedi realtà come Cremona o Parma) che potrebbero essere prese a modello. Ma anche queste esperienze richiedono grande volontà e tenacia per diventare realtà: la spinta di associazioni locali di pazienti spesso risulta fondamentale per sensibilizzare gli amministratori ad investire in questa direzione. Il lettore propone l’auto-monitoraggio come possibile soluzione. È una strada allettante, ovviamente, specie in un Paese come il nostro più incline a soluzioni individuali che “di sistema”. Ma non sempre valida per tutti: pensiamo ad esempio agli anziani che rappresentano l’assoluta maggioranza dei pazienti anticoagulati. E resta il problema di fondo: l’esperienza dello stesso lettore è che per riuscire nell’auto monitoraggio occorre essere formati per un tempo anche lungo, e comunque avere un riferimento costante. Gli stessi coagulometri portatili necessitano di essere periodicamente controllati presso laboratori di riferimento. E non dimentichiamo che (tranne per alcune situazioni molto particolari) non esiste la rimborsabilità per i coagulometri e i loro reattivi, con costi anche alti a carico del paziente.

In conclusione: esistono tanti modi con i quali seguire i pazienti in terapia anticoagulante. Lo scopo di anticoagulazione.it è proprio quello di essere un punto di incontro di esperienze – a volte positive, a volte negative – per tutti: a cominciare dai pazienti, per poi passare a tutti i professionisti sanitari. E ben vengano lettere stimolanti come queste!