“All’inizio ti spaventi!”. Inizia così il racconto di Raffaella che all’età di soli 45 anni, dopo un breve viaggio aereo di ritorno da una vacanza in Grecia, si accorge di un formicolio che coinvolge il lato destro del corpo, “dal piede fino alla fronte; stavo masticando un chewingum ed ho avuto l’istinto di toglierlo perché non lo sentivo più in bocca ma non l’ho subito trovato”, non riuscendo a coordinare bene la mano, “poi ho provato a dire cosa succede? E non mi è uscito. Subito dopo mi è tornata la parola e sono regrediti i sintomi, sarà durato 30-40 secondi” – ha raccontato Raffaella, che ha subito realizzato l’importanza di quanto le era successo e, sebbene non avesse nessun altro problema di salute (non era ipertesa, diabetica, sovrappeso o fumatrice), si è subito recata in ospedale dove le è stato diagnosticato un forame ovale pervio (un forellino che mette in comunicazione la parte destra col quella sinistra del cuore permettendo a piccoli trombi di raggiungere il cervello N.D.R) .

“Hanno subito detto è questo qui e bisogna chiuderlo” -ha spiegato- “subito mi è venuto un colpo….nel frattempo hanno continuato a farmi degli accertamenti ed è emersa questa sindrome (da anticorpi antifosfolipidi N.d.R.) con doppia positività (degli anticorpi anti-beta2 glicoproteina e anti cardiolipina) ma solo delle IgM (a più basso rischio) con IgG e Lupus Anticoagulant (LAC negativo)”. La risonanza magnetica cerebrale (RMN) documentava una piccolissima lesione ischemica.

A quel punto inizia un po’ di confusione: chiudere o non chiudere il forame ovale pervio (FOP)? Iniziare una terapia anticoagulante o antiaggregante? Il parere dei medici, davanti una condizione (il FOP) che si riscontra in circa un quarto della popolazione e la cui procedura interventistica di chiusura non è certo scevra da rischi, si divide. E se i medici sono in confusione, figuriamoci Raffaella…sempre più preoccupata. Alla fine, dopo un’attenta analisi delle caratteristiche del forame ovale e del profilo di rischio della paziente, sia sierologico (tipo, combinazione e persistenza degli anticorpi antifosfolipidi) che clinico (assenza di altri fattori di rischio cardiovascolare o di patologie della gravidanza) viene deciso di non chiudere il piccolo forame ovale e di continuare con una terapia antitrombotica.

Da allora sono passati quasi dieci anni e Raffaella, mamma (dieci anni prima aveva avuto una gravidanza senza complicanze) ed impegnata professionista conduce una vita attiva e dinamica, improntata ad una intensa attività sportiva, facendo controlli annuali. “Certo, mi ascolto dalla mattina alla sera e appena ho un formicolio mi chiedo subito cosa sta succedendo?”-ha raccontato Raffaella- “ma sto bene, ho avuto solo, dopo due o tre anni un episodio in cui ho avuto una strana sensazione di trazione ad una parte del labbro, durato pochi secondi; ho chiamato subito il mio specialista che mi ha fatto fare una risonanza che era negativa e da lì più nulla”- ha raccontato- “Chiaramente sono sempre sotto stretto controllo  e appena mi si è mossa la pressione o il colesterolo ho iniziato subito un trattamento”- ha spiegato.

Infatti, recenti studi, tra i quali lo START2 Antifosfolipidi di Fondazione Arianna Anticoagulazione, hanno messo in evidenzia come il controllo dei fattori di rischio cardiovascolare “classici” (come ipertensione e dislipidemia), a lungo sottovalutato nella APS, sia invece di fondamentale importanza nella prevenzione degli eventi arteriosi correlati alla sindrome e vada perseguito con una attenzione particolare in questi pazienti.

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