Che cos’è, chi sono le persone che vi si devono sottoporre, quali sono i rischi… Sono solo alcune delle risposte che abbiamo collezionato per fornire una panoramica completa di questa terapia antiaggregante.

Cosa si intende per triplice terapia antitrombotica?
Si parla di triplice terapia antitrombotica quando ad un anticoagulante orale (inibitore della vitamina K o diretto) si aggiungono due farmaci antiaggreganti: aspirina e clopidogrel. Nella formazione del coagulo intervengono diversi meccanismi che coinvolgono i fattori della coagulazione e le piastrine. Da quando questi meccanismi sono noti, sono stati scoperti una serie di farmaci che possono intervenire bloccando questa cascata a diversi livelli. In generale i farmaci anticoagulanti impediscono la formazione del trombo intervenendo sui fattori della coagulazione, mentre i farmaci antiaggreganti inibiscono l’unione tra loro delle piastrine.

Quali sono i pazienti candidati a questa terapia? Ma se il meccanismo è unico a cosa servono farmaci diversi? E come si sceglie quello giusto per il singolo paziente?
Ormai da molti anni studi randomizzati e di registro hanno dimostrato come a seconda della patologia di base che determina un aumentato rischio di formazione di coaguli, una categoria di farmaci sia più efficace dell’altra. Per questo la triplice terapia antitrombotica può essere presa in considerazione quando nello stesso paziente coesistano due patologie che richiedano una terapia specifica. In particolare:

  1. La terapia anticoagulante è generalmente indicata quando il paziente presenta un elevato rischio trombotico nei distretti a basso flusso come il sistema venoso oppure gli atri cardiaci. Le principali indicazioni in questo contesto sono la presenza di fibrillazione atriale e una storia di tromboembolismo venoso; un altro caso in cui questa terapia è necessaria è la presenza di protesi valvolari meccaniche.
  2. La doppia terapia antiaggregante invece previene la trombosi arteriosa. È indicata per questo dopo impianto di uno stent vascolare.

Nella nostra pratica clinica la maggior parte dei pazienti che richiedono questo tipo di terapia sono coloro che hanno una storia di fibrillazione atriale con un elevato rischio cardioembolico (stimato con lo score di rischio CHA2DS2VASc) e sono stati sottoposti ad un’angioplastica coronarica con impianto di stent. L’associazione tra queste due condizioni cliniche non è casuale: infatti fibrillazione atriale e aterosclerosi coronarica condividono molti fattori di rischio come l’ipertensione, il diabete, l’età avanzata, il fumo. Si stima che delle 33 milioni di persone affette da fibrillazione atriale in tutto il mondo, il 5-10% sia sottoposto ad angioplastica per una concomitante coronaropatia.

Quali sono i rischi e i benefici di questa terapia?
Questa associazione farmacologica rappresenta la massima protezione che possiamo offrire al paziente per proteggerlo dal rischio di eventi ischemici, quindi nello specifico di ictus e infarto miocardico. D’altro canto, il prezzo da pagare, proprio per l’effetto di questi farmaci, è legato a un aumentato rischio di eventi emorragici. Per questo il medico ha la possibilità di prescrivere la combinazione di farmaci più opportuna per il singolo paziente in base al suo specifico rischio. In questo senso è molto importante valutare se nel soggetto prevalga il rischio ischemico o quello emorragico. La triplice terapia è riservata ai pazienti che, per i loro fattori di rischio cardiovascolare, le loro caratteristiche cliniche e il tipo di procedura coronarica a cui sono stati sottoposti, presentano un rischio di trombosi superiore al rischio di sanguinamento. Viceversa, nel caso in cui il rischio di sanguinamenti sia molto elevato ed ecceda il rischio ischemico (per esempio nel caso in cui il paziente abbia già avuto un evento emorragico significativo), è preferibile una terapia meno aggressiva con anticoagulante e un solo antiaggregante (duplice terapia antitrombotica).

È una terapia che deve essere assunta vita natural durante?
Proprio per le caratteristiche di questa terapia, essa ha sempre una durata limitata. Il medico, allo stesso modo in cui valuta la combinazione di farmaci più idonea, stabilisce anche la durata della triplice terapia, che di solito non eccede i 6 mesi. La combinazione di un farmaco antiaggregante e uno anticoagulante può essere proseguita fino ad un anno, dopodiché generalmente è sufficiente assumere la sola terapia anticoagulante.

Un’alleanza tra medico e paziente
Per quanto detto questa combinazione terapeutica è riservata a un paziente complesso. È necessario che il paziente sia consapevole del percorso che il medico curante ritiene più idoneo rispetto alle sue caratteristiche e che la decisione di modificarlo non venga presa in autonomia, ma sia condivisa con lui. Per questo, qualora nell’assunzione della terapia il paziente dovesse sperimentare eventi avversi, è fondamentale parlarne con il medico prima di interrompere la terapia, onde evitare l’insorgenza di complicanze cardiovascolari.