Che cosa succede quando un medico si trova ad essere anche un paziente? Riceviamo e pubblichiamo la testimonianza di una nostra lettrice che sottolinea come la medicina non sempre possa fornire risposte certe e immediate a casi personali che possono essere molto complessi.

Questa esperienza tuttavia insegna che rivolgersi agli specialisti dà i suoi frutti, anche se magari non nei tempi desiderati.

Non tutto in medicina si capisce.

Lo dico da medico e da paziente, un’accoppiata che non è mai un buon affare!
Ecco la mia storia: dopo una trombosi venosa grave con conseguente embolia polmonare (tutto tardivamente diagnosticato ma per fortuna risolto), dopo una quindicina di anni di benessere mi ritrovo con una seccante malattia autoimmune, la polimialgia reumatica, che mi auto diagnostico e curo con cortisone il cui dosaggio mi viene consigliato da un collega reumatologo.

Durante il trattamento insorge un dolore acutissimo all’anca tale da invalidarmi. Con l’ausilio di una risonanza magnetica mi diagnostico una osteonecrosi della testa del femore e resto in attesa, tra varie vicende che complicano il tutto e che mi fanno pensare che non so come me la sarei cavata se non fossi primario fisiatra.
Resto quindi in attesa di un intervento di protesi. Contemporaneamente fatico a respirare. Cerco di ignorare la cosa, ma il malessere si aggrava. Vado a fare una scintigrafia che conferma il mio triste sospetto: embolia polmonare.

Finisco d’urgenza in ospedale la sera della vigilia di Natale, sera nella quale la mia figliola più piccola avrebbe annunciato le nozze. Eparina e poi Coumadin e ringrazio ancora il cielo di avercela fatta, ma nessuno si capacita del perché di questa embolia. Sono stata sottoposta a esami di ogni genere: dalla ricerca di LE, al mieloma, passando per la trombosi venosa e tutto ciò che già per conto mio meditavo in cuore ormai rassegnata a finirla lì.
Tutto negativo.

Vado a casa col mio Coumadin, sempre con mente e cuore pieni di interrogativi. Cerco in internet come ogni misero mortale ed ecco che m’imbatto nell’indicazione di uno specialista ematologo e mi precipito (assieme alla figliola che ha già avuto anche lei una trombosi venosa…). Il professore ci illumina: abbiamo entrambe una trombofilia, chissà di che tipo (per ora non si conosce la causa), ma la clinica è chiara.

Il grilletto per me sono stati i farmaci: nel primo episodio gli estroprogestinici assunti per la menopausa, nel secondo il cortisone (avrei dovuto assumere cortisone ed eparina. Il mio illuminato prof. mi fa un regalo prescrivendomi i NAO, che posso assumere perché la mia insufficienza renale cronica è di modesta entità.
Arriviamo quindi al giorno in cui vado a fare gli esami pre operatori per la protesi d’anca. Quando li vede l’anestesista impallidisce perché ho un’insufficienza renale acuta in atto (in realtà mi sentivo male, ero anche andata dal medico di base ma pareva avessi solo una intossicazione alimentare).
Finisco nuovamente in ospedale qualche giorno prima di Natale, evento che ormai in casa prendiamo con filosofia, e penso che non ne uscirò.
Poi, grazie al cielo, la acuzie regredisce, forse è la visita di Babbo Natale che viene a salutare gli ammalati. Mi tolgono immediatamente i NAO e ritorno al Coumadin. Anche le cause dell’insufficienza renale non sono note. Si riparte con le ricerche, cercando le cose più brutte che uno possa immaginare, ma poi è ancora tutto a posto e allora avanti!

Sono stata operata di protesi e ora il nefrologo, dopo un anno circa, mi ha ridato i NAO e controllo la clearance della creatinina ogni tre mesi (avevano anche sospettato dei NAO per la acuzie renale). Spero che la mia esperienza possa essere utile.
Non tutto in medicina si capisce. I NAO non sono ancora ben conosciuti e le ricerche sulla trombofilia hanno ancora molta strada da percorrere.

In bocca al lupo a tutti!


La risposta del Prof. Gualtiero Palareti

Gentile Collega,

grazie per la sua lettera che descrive sinteticamente una storia clinica complessa, con la comparsa di diverse e importanti patologie e con conseguenti rilevanti problemi di necessità terapeutiche. È assolutamente vero che “non tutto in medicina si capisce”, come lei scrive, ma alcune cose sono note e con queste bisogna farci i conti.
È noto ad esempio che eventi tromboembolici venosi (trombosi venosa e/o embolia polmonare) hanno una forte tendenza a recidivare ed è per questo che alcuni clinici si riferiscono a questa patologia come una patologia cronica. È noto anche che numerosi fattori personali (incluse alcune patologie) o “esterni” (come l’uso di alcuni farmaci o chirurgia ecc.) si associano ad un aumentato rischio di tromboembolismo venoso. Se ho inteso correttamente, il suo primo problema trombotico venoso è avvenuto mentre era in corso una terapia ormonale (probabilmente estro-progestinica), il secondo in corso di terapia cortisonica per una malattia autoimmune. Tutte queste condizioni e terapie favoriscono la comparsa di tromboembolia venosa. Inoltre, è molto probabile che vi sia anche una tendenza famigliare (potremmo chiamarla “trombofilica”) visto che anche sua figlia ha avuto una trombosi venosa.

In generale, possiamo dire che in tutte queste condizioni lei è stata curata adeguatamente (salvo forse un ritardo diagnostico per il primo evento trombotico). Ritengo che per lei vi sia indicazione ad una terapia anticoagulante a tempo indefinito. Certamente la scelta del farmaco anticoagulante dipende da varie cose, ma in particolare dalla funzione renale. L’improvvisa comparsa di insufficienza renale acuta ha rappresentato una complicazione seria e inattesa, che ha comportato decisioni terapeutiche, a mio avviso corrette. Fortunatamente questa patologia è ora regredita e conseguentemente è stata modificata la scelta dell’anticoagulante.

In conclusione, alcune cose in medicina sono già chiare, ma molto altro è ancora da capire e per questo è indispensabile stimolare, favorire e realizzare una ricerca clinica seria e approfondita che consenta di prevenire (quando possibile), diagnosticare tempestivamente e adeguatamente e infine curate in modo idoneo le patologie che si presentano nel corso della vita.

Abbiamo costituito la Fondazione Arianna Anticoagulazione, che sostiene il portale web Anticoagulazione.it, anche al fine di promuovere e realizzare studi clinici, in particolare focalizzati alle patologie trombotiche e alle terapie anticoagulanti e antitrombotiche.
Partecipi al nostro Convegno nazionale (Bologna 7-8 febbraio 2019), dove discuteremo con professionisti e pazienti di queste ricerche e dei problemi di cui ci ha scritto.
Cordiali saluti

Gualtiero Palareti