Ho letto con molto interesse, ma anche con il dispiacere di vedere l’arretratezza dello stato attuale delle cose, la lettera e l’intervista delle studentesse in terapia anticoagulante che descrivono le difficoltà incontrate per il monitoraggio della terapia (con farmaco anti-vitamina K, AVK). Da loro emerge in maniera chiara il danno per la qualità della vita e le rinunce che spesso i pazienti devono accettare a causa del necessario periodico controllo dell’INR. Il legame con il laboratorio o centro di riferimento è fondamentale per la qualità del trattamento anticoagulante; tuttavia, può anche comportare problemi (facilmente superabili però) quando il personale si rifiuti di utilizzare i moderni sistemi informatici. Il loro rifiuto può costituire un importante fattore limitante la qualità di vita dei pazienti (incluso i soggiorni all’estero – come l’esempio dell’Erasmus, cui una di loro ha dovuto rinunciare), e i lunghi viaggi per svago o per lavoro, sempre più necessari e frequenti, in particolare per i giovani.

Il motivo del mio dispiacere sta nel vedere che a tutt’oggi, nel 2023, non siano ancora recepiti dalla struttura sanitaria nazionale (e quelle regionali) due punti di fondamentale importanza per la salute e qualità di vita dei pazienti anticoagulati, specialmente quelli in terapia con AVK:
a) la necessità di avere dei Centri di riferimento che usino davvero la tanto reclamizzata (ma in realtà non sempre accettata) informatizzazione sanitaria, e cioè che consentono di ricevere il risultato di INR fatto in altre sedi oppure mediante coagulometri portatili (i point-of-care, POC) e di inviare la prescrizione terapeutica usando i moderni mezzi informatici;
b) la possibilità di impiegare quanto da decenni è noto e supportato sia dalla pratica clinica in molti paesi che da numerosi studi scientifici, e cioè che l’uso dei POC consente un’ottima qualità del trattamento anticoagulante e un notevole miglioramento della qualità di vita dei pazienti.

Il panorama dei pazienti trattati con farmaci AVK è cambiato profondamente negli anni recenti per la loro riduzione dovuta al largo passaggio all’uso degli anticoagulanti orali diretti (DOAC). Questa trasformazione è ormai compiuta. Rimane però uno “zoccolo duro” di pazienti che non possono passare ai DOAC a causa di indicazioni cliniche che non consentono questo passaggio. È prevedibile che fra questi pazienti aumenteranno proprio i giovani, cioè proprio quelli che hanno più problemi di tempo per il monitoraggio della terapia, a causa della necessità di viaggiare, anche per lunghi periodi (per istruzione, lavoro o svago) e che avranno sempre più bisogno dei POC. Inoltre, come è possibile che alcuni professionisti (medici, laboratoristi, personale dei Centri, ecc.) siano ancora contrari all’uso dei POC, ignorando la mole dei lavori scientifici che negli anni scorsi hanno confermato la validità del loro uso nella pratica quotidiana? Si tratta di vincere la loro pigrizia nell’accettare i risultati scientifici e nel promuovere quelle modifiche organizzative e tecniche necessarie per l’innovazione informatica.