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Un test di laboratorio, il dosaggio del D-dimero, è sempre più frequentemente richiesto dai medici italiani (sia in ospedale che nel territorio), molto spesso però senza una giusta indicazione.  Infatti, l’esecuzione del test in questo contesto è giustificata solo nel caso di sospetto clinico di tromboembolismo venoso o nell’ambito di score per la valutazione del rischio tromboembolico in casi particolari come il paziente neoplastico o con pregressa trombosi venosa, nei quali deve essere valutata la necessità di una profilassi primaria o secondaria.

I risultati del test del D-dimero possono essere alterati in molti casi e per diversi motivi. Il problema è che molti medici ritengono -erroneamente- che un risultato alterato sia espressione di un problema trombotico. Da ciò consegue la frequente richiesta di approfondimenti, l’inevitabile ansia per i “pazienti” che sospettano di aver qualcosa di rischioso, e perfino l’uso del tutto improprio (se non giustificata da altri motivi) di farmaci: la “D-dimerite”.

Il livello del D-dimero nel sangue aumenta fisiologicamente col crescere dell’età e in tutte le gravidanze, ma cresce anche in tutte le condizioni cliniche in cui vi sia un’attivazione della coagulazione del sangue, o in occasione di processi infettivi o infiammatori. Particolarmente in questo periodo di pandemia, l’infezione virale di COVID-19 ha provocato un notevole aumento del D-dimero nella popolazione affetta, come pure – ma meno frequentemente – anche la vaccinazione anti-COVID può aver indotto aumenti del D-dimero. Inoltre, il test può risultare alterato in modo aspecifico a causa di problemi tecnici di laboratorio o per interazioni con altre sostanze presenti nel sangue.

In realtà, la principale – se non unica – indicazione ad eseguire il test riguarda i soggetti ambulatoriali nei quali vi sia il sospetto della presenza di trombosi venosa e/o embolia polmonare. In questi casi, in relazione all’entità del sospetto clinico, il dosaggio del D-dimero viene eseguito per escludere la presenza della suddetta patologia se il risultato rientra nei valori normali, evitando in questo modo di dover eseguire ulteriori test diagnostici (non sempre esenti da qualche rischio per i pazienti). In sostanza il test è eseguito in pazienti ambulatoriali nei quali vi sia un sospetto clinico di trombosi o embolia; se il risultato è normale è molto poco probabile che la patologia trombotica sia presente, mentre se il risultato è alterato occorre procedere con ulteriori approfondimenti diagnostici (come ecodoppler venoso o angio-TC polmonare) per raggiungere la diagnosi di esclusione o di conferma della patologia.

È evidente quindi che: 1) il test non deve essere eseguito in soggetti ambulatoriali  senza un sospetto clinico di tromboembolia venosa; 2) se comunque, erroneamente, il test viene effettuato in soggetti asintomatici, i risultati non hanno valore clinico; 3) un risultato normale in un soggetto con un sospetto di trombosi indica una bassa probabilità della presenza della patologia; 4) un risultato anormale in caso di sospetta trombosi indica esclusivamente la necessità di ulteriori indagini per arrivare alla diagnosi definitiva.

Una notevole quantità di lavori scientifici ha utilizzato e tuttora utilizza il test del D-dimero in numerose altre condizioni patologiche, ma tutto ciò viene fatto nell’ambito esclusivo di studi scientifici, prima che i risultati abbiano effetti pratici nella pratica clinica.