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Una revisione sistematica presentata al recente Congresso ISTH2023 di Montreal, ha messo in luce la necessità di una maggiore attenzione a questo “nuovo” aspetto dell’emofilia.

Se il rischio di trombosi venosa non è la preoccupazione principale quando si parla di pazienti emofilici, non è detto che l’attenzione a questo aspetto non debba aumentare ora che l’epidemiologia dell’emofilia sta cambiando. Infatti, l’aspettativa di vita sempre più lunga con le conseguenti patologie dell’età anziana e, soprattutto, le attuali terapie (sostitutive e non sostitutive) per l’emofilia, che consentono un controllo dello stato coagulativo sempre migliore e prolungato nel tempo, potrebbero far emergere la necessità ad una maggiore attenzione per quanto riguarda la diagnosi e lo studio delle complicanze tromboemboliche anche in questa popolazione.

L’attuale estensione della problematica  nell’ambito della chirurgica ortopedica maggiore, alla quale non di rado possono andare incontro i pazienti emofilici e che espone generalmente ad un alto rischio di trombosi venosa, è stata indagata in una  revisione sistematica (non ancora pubblicata) presentata dal dott. Davide Santagata, dell’Università degli Studi dell’Insubria, nell’ambito del recente Congresso ISTH di Montreal.

La revisione ha incluso 26 studi che avessero tra gli outcome l’incidenza di tromboembolismo venoso (TEV) dopo un intervento di sostituzione articolare agli arti inferiori in pazienti affetti da emofilia A o B. Sono state incluse nell’analisi 1177  operazioni di artroprotesi, principalmente a carico di ginocchio (75,4%) o anca (21,4); il 60% degli interventi è stato in pazienti affetti da emofilia A. Nel complesso si sono verificati 17 episodi di tromboembolismo venoso (1,4% 95% CI 0,9-2,23). Quando l’analisi è stata ristretta agli studi che hanno riportato il TEV come outcome primario, l’incidenza è stata del 2,6% (95% CI 1,4-4,8), con un ulteriore incremento a 5,3% (8/151) (95%CI 2,7-10,2) se la trombosi venosa profonda era ricercata attivamente tramite screening ecografico. In totale solo 15 pazienti (1,3%) sono stati sottoposti a profilassi farmacologica nel periodo post-operatorio (in tutti i casi è stata utilizzata eparina a basso peso molecolare), di intensità e durata molto variabile.

In conclusione, nonostante raramente i pazienti affetti da emofilia A o B siano sottoposti a tromboprofilassi farmacologica dopo intervento di chirurgica ortopedica maggiore, gli studi considerati riportano una bassa incidenza di TEV. Tuttavia, va sottolineato come, a causa della mancanza dell’outcome di interesse, molti lavori siano stati esclusi dall’analisi e la definizione degli eventi tromboembolici e i metodi per la loro valutazione molto spesso non erano presenti negli articoli inclusi.

Pertanto, ”il nostro lavoro ha messo in luce la carenza di dati di qualità elevata e una mancanza di standardizzazione nel riportare l’incidenza di tromboembolismo venoso nel paziente emofilico sottoposto a chirurgica ortopedica maggiore” –ha spiegato il dott. Santagata– “evidenziando la necessità di ulteriori studi che possano indagare il rischio di TEV in questo setting e di una maggiore attenzione al report dell’outcome tromboembolico, in modo da meglio identificare la popolazione che potrebbe beneficiare di tromboprofilassi farmacologica.”