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Secondo un vasto studio osservazionale retrospettivo, la somministrazione di andexanet alfa (AA) per un sanguinamento maggiore avvenuto in corso di terapia con apixaban o rivaroxaban ridurrebbe in maniera significativa il rischio di morte intraospedaliera rispetto alla somministrazione di concentrato del complesso protrombinico a quattro fattori (4F PCC) .

Lo studio, promosso e finanziato dall’azienda produttrice dell’antidoto e non ancora pubblicato, è stato presentato al recente Congresso ISTH di Montreal da Paul Dobesh.

Lo studio si è avvalso dai dati relativi ai ricoveri ospedalieri di 4395 pazienti che sono stati assistiti presso 354 istituti di cura, tutti nordamericani, dal 2018 (anno in cui è stato autorizzato in USA l’utilizzo di andexanet alfa) al 2022, per il verificarsi di una emorragia maggiore in corso di terapia con rivaroxaban o apixaban. 2122 pazienti sono stati trattati con andexanet alfa e 2273 con 4F PCC. In entrambi i gruppi le emorragie più frequenti erano quelle gastrointestinali (rispettivamente il 56 e 59%) mentre le intracraniche erano il 30%. Non sono state fornite indicazioni relative ai criteri che hanno portato alla scelta dell’uno o dell’altro farmaco, apparentemente disponibili entrambi nella maggior parte delle strutture ospedaliere coinvolte nello studio, ma sappiamo che in USA la scelta potrebbe essere stata influenzata da fattori come le condizioni generali economico-sociali del paziente.  È inoltre verosimile che, nell’arco dei quattro anni considerati, i pazienti inclusi più di recente nello studio abbiano avuto più facilmente accesso all’antidoto. In ogni caso, caratteristiche come età, sesso, presenza di diabete, insufficienza cardiaca, insufficienza renale o epatopatia cronica erano simili tra i due gruppi.

Il tempo trascorso dall’ultima somministrazione dell’anticoagulante orale diretto (DOAC) è stato inferiore alle 8 ore in circa il 40% dei pazienti, mentre per il 14% dei trattati con andexanet alfa ed il 17,5% dei pazienti trattati con 4F PCC erano passate più di 18 h. Il tempo mediano trascorso dall’ingresso in pronto soccorso (PS) alla somministrazione del farmaco è stato di circa 2,5 ore in entrambi i gruppi.

Come outcome primario, è stato considerato la morte intraospedaliera, che si è verificata nel 6% dei pazienti trattati con andexanet alfa e nel 10,6% di quelli trattai con 4F PCC, il che si è tradotto, all’analisi multivariata, in una riduzione del rischio di mortalità intraospedaliera del 50% nei pazienti trattati con l’antidoto (OR 0,50 95% CI 0,39-0,65 p<0,01). Il vantaggio si è mantenuto all’analisi dei sottogruppi: analizzando solo i pazienti con emorragia intracranica la mortalità intraospedaliera è stata 12,6% nel primo gruppo e 23,3% nel secondo (OR: 0,55 95% CI 0,39-0,76 p<0,01,). Fattori associati ad una aumentata mortalità sono stati la presenza di stato mentale alterato e un’attesa superiore ai 30 min prima della somministrazione del farmaco (AA o 4F PCC). Anche quando l’emorragia maggiore era a carico del tratto gastrointestinale, l’utilizzo dell’antidoto ha ridotto di circa la metà il rischio di morte intraospedaliera (2,5% vs 4,3%; OR 0,49, 95% CI 0,29-0,81 p=0,01).

Tuttavia, il disegno dello studio (osservazionale retrospettivo su record clinici) ed il fatto che ha coinvolto un’unica nazione con un particolare tipo di assistenza sanitaria lo espone ad un alto rischio di bias di selezione.

A questo proposito va segnalato che è stato recentemente interrotto, per il raggiungimento di criteri pre specificati di efficacia, lo studio randomizzato multicentrico ANNEXA-I che ha lo scopo di valutare l’efficacia e la sicurezza di andexanet alfa rispetto allo “standard of care” (compreso 4F PCC) nei pazienti con emorragia cerebrale.