Un articolo di questi giorni ripropone in termini nuovi un problema antico, e forse riuscirà a convincere anche i più scettici che i farmaci antipsicotici vanno considerati, alla stregua di altre categorie di farmaci (in primis i farmaci ormonali), un fattore di rischio tutt’altro che trascurabile di eventi tromboembolici venosi (TEV) e forse, chissà, anche arteriosi.
E’ sorprendente vedere gli stessi colleghi che si preoccupano dei preparati ormonali, siano essi per finalità contraccettive o sostitutive nella menopausa, al punto da sospenderli immediatamente in modo totalmente incongruo ed immotivato al subentrare di un episodio tromboembolico (difatti la copertura antitrombotica mette ampiamente al riparo da qualsiasi inconveniente, come è stato più volte convincentemente dimostrato!) non farsi nessun problema quando un episodio di TEV subentra in una persona in trattamento con farmaci antipsicotici. E’ ovviamente del tutto giustificato il loro proseguimento durante la terapia anticoagulante (similmente alla terapia ormonale!), ma che fare dopo la sua sospensione? Naturalmente, a differenza dei farmaci ormonali, gli antipsicotici non possono se non con rare eccezioni essere sospesi dopo il completamento della terapia anticoagulante. Ed allora il problema diventa un altro: è giustificato sospendere la terapia anticoagulante dopo alcuni mesi nei pazienti che in numero crescente – grazie ai progressi della neuropsichiatria – vengono posti in trattamento continuativo con questi farmaci? Qual è il rischio di recidiva? C’è differenza, a parità di condizioni, nel rischio di recidiva tra pazienti con e senza farmaci antipsicotici? Il rischio di recidiva permane dopo l’aggiustamento per tutti i numerosi fattori confondenti? E soprattutto, qual è la sua entità? É quanto affrontano gli autori di questo eccellente articolo. Ma prima di descriverlo e commentarlo facciamo un passo indietro.
Rischio di TEV in pazienti in terapia con farmaci antipsicotici
Premetto fin da subito che non stiamo parlando delle benzodiazepine o di altri blandi ansiolitici di comune impiego. Pariamo degli antipsicotici maggiori, in primis dei farmaci antidepessivi di vecchia e di nuova generazione. Orbene, fin dalla metà del secolo scorso sono comparse segnalazioni di eventi tromboembolici sia a carico del settore venoso che arterioso della circolazione in soggetti in cura con farmaci antipsicotici. Per molti decenni si è assistito alla pubblicazione di dati frammentati, spesso aneddotici o non controllati, talvolta contraddittori. Si è dovuto attendere il 2011 per la pubblicazione del primo risultato di un certo rilievo. Allenett et al. hanno pubblicato i risultati di un’analisi retrospettiva ottenuta esaminando i dati di un database americano (il ‘Premier’s Perspective’) disponibili a partire dal 20061. Con un’analisi di regressione logistica destinata a quasi 29.000.000 di individui, di cui quasi 451.000 (1.6%) in trattamento antipsicotico, dopo aggiustamento per età, sesso, componenti dell’indice di comorbidità di Charlson, diagnosi di infezione o sepsi, malattie infiammatorie intestinali, tipologia di disordini psicotici e setting dell’osservazione (intra o extraospedaliera), il rischio di embolia polmonare (EP) fu trovato significativamente più alto tra i soggetti in trattamento antispicotico che tra gli individui di controllo (OR=1.17; 95%CI: 1.13-1.21). Il rischio cresceva all’aumentare dei dosaggi. Al di là della significatività, tuttavia, l’OR appariva solo modicamente aumentato. Inoltre l’analisi non comprendeva il rischio di TVP.
Si deve ad un gruppo italiano, grazie ad uno spettacolare uno/due nel corso del 2014, il primo contributo serio alla definizione dei rischi legati all’uso continuativo dei farmaci antipsicotici. I colleghi lombardi dapprima pubblicarono i risultati di una meta-analisi di 17 studi2, dalla quale emergeva un aumento significativo del rischio di TEV (OR=1.54; 95% CI: 1.28-1.86). Il rischio appariva più alto con l’impiego degli antipsicotici di seconda generazione, ma non raggiungeva la significatività quando il calcolo era limitato ai soli episodi di EP. Successivamente pubblicarono i risultati di uno studio caso-controllo condotto in alcune realtà italiane3. Furono identificati 84.253 individui in trattamento continuativo con farmaci antipsicotici, e per ogni caso ospedalizzato per EP durante il follow-up furono selezionati 20 controlli paragonabili per età e sesso. Il trattamento aumentava di oltre due volte la probabilità di EP (OR=2.31; 95% CI: 1.16-4.59), e si applicava sia agli antipsicotici convenzionali che a quelli atipici.
A risultati analoghi giunse un altro studio caso-controllo condotto nell’area di Boston (Clinical Practice Research Datalink) tra il 1998 ed il 2012 e pubblicato anch’esso nel 20144. Furono identificati 868 casi con TEV idiopatico nella fascia d’età tra i 20 ed i 59 anni e 3158 controlli paragonabili per età, sesso e lunghezza del follow-up. Usando un modello di regressione logistica, l’OR aggiustato di TEV nei soggetti esposti nei confronti dei controlli risultò ai limiti della significatività (OR=1.26; 95%CI: 0.97-1.63). Il risultato però raggiungeva valori allarmanti quando l’analisi era limitata ai soli soggetti che erano da poco tempo in terapia con tali farmaci (OR=3.21; 95%CI: 1.64-6.29).
Nel 2017 sono stati pubblicati i risultati di due studi condotti nel solo sesso femminile. Una subanalisi del ben noto Million Women Study condotto in Inghilterra e Scozia su oltre 1.300.000 donne ha potuto indagare in oltre 734.000 donne di età media 60 anni la frequenza di assunzione di farmaci antidepressivi od antipsicotici di altra natura, risultata sorprendentemente dell’ordine di grandezza di quasi il 10%5. Durante un follow-up medio di 7.3 anni, quasi 4.000 donne erano state ospedalizzate per un episodio di TEV. Il rischio risultò significativamente più alto nelle donne che assumevano farmaci antipsicotici (HR=1.39; 95% CI: 1.23-1.56).
In un importante studio caso-controllo condotto sull’intera popolazione femminile di Taiwan in età post-menopausale (oltre 316.000 donne) nel periodo compreso tra il 2000 ed il 2011, la frequenza di episodi tromboembolici nelle donne che assumevano farmaci antipsicotici (oltre 2500) risultò considerevolmente più alta di quella registrata in quasi 25.000 donne di controllo paragonabili per età, sesso e la maggior parte dei fattori di rischio di trombosi venosa (OR=1.90; 95 % CI: 1.64-2.19)6. In questo, che rappresenta probabilmente lo studio con più elevato rigore metodologico tra quelli sin qui condotti, il rischio cresceva in relazione alla dose assunta (p per il trend <0.001), superando le 4 volte nei soggetti in terapia con alte dosi (OR=4.60; 95 % CI: 2.88-7.33). E’ di rilievo il fatto che il rischio si estingueva quando i farmaci antipsicotici erano stati sospesi da più di un mese.
Dal complesso degli studi sin qui pubblicati, ed in particolare da quello particolarmente ben condotto in donne in età post-menopausale nella realtà di Taiwan, emerge un profilo di farmaci associati ad un rischio di TEV paragonabile a quello ben più noto conferito dai farmaci ormonali, con i quali condividono parecchi aspetti. Difatti il rischio predilige il periodo iniziale della loro assunzione, cresce al crescere del dosaggio e si estingue a distanza di circa un mese dalla loro sospensione. Paragonabilmente ai farmaci ormonali rappresentano una concausa di TEV in individui esposti ad altri fattori di rischio, e con elevata probabilità ne rappresentano la causa quando non sono identificabili altri fattori di rischio (le cosiddette trombosi idiopatiche). Se così stanno le cose, il rischio legato alla sospensione della terapia anticoagulante in soggetti che necessitano del proseguimento dei farmaci antipsicotici potrebbe essere allarmante. Sin qui nessuno aveva indagato questo aspetto. Vediamo quindi con grande interesse i risultati dello studio pubblicato in questi giorni.
Articolo recente
Trattasi di un eccellente studio prospettico di coorte eseguito in Francia7. 736 pazienti consecutivamente arruolati nell’area di Brest a seguito del primo episodio di TEV di natura idiopatica tra il 2000 ed il 2012 (età media 66 anni, 55% di sesso maschile) furono seguiti per una mediana di 27 mesi dopo l’interruzione della terapia anticoagulante. Di questi, terapia antipsicotica convenzionale o atipica fu prescritta dopo l’interruzione della terapia anticoagulante in 61 pazienti (8.3%): in 46 si trattava della continuazione del trattamento in corso, nei rimanenti 15 della erogazione successiva di uno o più cicli di tali farmaci. Durante il follow-up recidiva tromboembolica si manifestò in 16/61 pazienti (26.2%) esposti ai farmaci antipsicotici (pari ad una frequenza annuale di ben 12.1%, ed in 145/675 pazienti (21.5%) non esposti (pari ad una frequenza annuale di 8.3%) [vedi figura]. Dopo aggiustamento per età, sesso, BMI, durata della terapia anticoagulante, tipologia dell’episodio trombotico inziale e storia familiare di TEV il rischio di recidiva tromboembolica nei primi risultò significativamente più alto che nei secondi (HR=1.9; 95% CI 1.1-3.3).
Commento
I farmaci antipsicotici sono un fattore di rischio indipendente sia di TEV che di recidiva di TEV. L’entità del rischio non è rilevante, ma è di un ordine di grandezza paragonabile a quello della terapia ormonale. Quindi merita almeno la stessa considerazione, a maggior ragione per una continuità terapeutica che nella maggior parte dei casi interessa molti anni o decenni. I soggetti in terapia antipsicotica dovrebbero ricevere una sorveglianza finalizzata alla protezione da rischi tromboembolici, paragonabilmente a quanto si fa in soggetti trombofilici. Quindi la profilassi farmacologica del TEV dovrebbe essere estesa a coprire anche situazioni a ‘basso rischio’ (quali traumatologia minore degli arti, artroscopia del ginocchio, chirurgia a basso rischio, periodi di immobilizzazione connessi a malattie infettive o infiammatorie, lunghi viaggi, gravidanza e puerperio, ecc.). Dato inoltre che, a differenza degli ormoni, i farmaci antipsicotici ben raramente possono essere discontinuati dopo un episodio tromboembolico, tale elemento deve entrare tra quelli da vagliare al momento di stabilire la durata ottimale della terapia anticoagulante dopo un episodio di TEV. Ad eccezione che per eventi indotti da fattori rimovibili maggiori (traumatologia o chirurgia maggiore), in tutti gli altri casi se non esistono controindicazioni è opportuno considerare il proseguimento della stessa privilegiando le basse dosi dei nuovi farmaci anticoagulanti diretti, il cui profilo terapeutico garantisce una rassicurante efficacia e sicurezza.
Siamo ben lontani dall’aver individuato il meccanismo che sta all’origine dell’effetto protrombotico che questa categoria di farmaci possiede, in misura maggiore o minore, prescindendo dalla classe di appartenenza. Ma dobbiamo comportarci come se lo conoscessimo. Forse conosciamo quello dei farmaci ormonali?
Bibliografia:
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- Barbui C, Conti V, Cipriani A. Antipsychotic drug exposure and risk of venous thromboembolism: a systematic review and meta-analysis of observational studies. Drug Saf 2014;37:79-90.
- Conti V, Venegoni M, Cocci A, Fortino I, Lora A, Barbui C. Antipsychotic drug exposure and risk of pulmonary embolism: a population-based, nested case-control study. BMC Psychiatr 2015;15:92. doi: 10.1186/s12888-015-0479-9.
- Ishiguro C, Wang X, Li L, Jick S. Antipsychotic drugs and risk of idiopathic venous thromboembolism: a nested case-control study using the CPRD. Pharmacoepidemiol Drug Saf 2014;23:1168-75.
- Parkin L, Balkwill A, Sweetland S, Reeves GK, Green J, Beral V; Million Women Study Collaborators. Antidepressants, depression, and venous thromboembolism risk: large prospective study of UK women. J Am Heart Assoc 2017;6(5). pii: e005316. doi: 10.1161/JAHA.116.005316.
- Wang MT, Liou JT, Huang YW, et al. Use of antipsychotics and risk of venous thromboembolism in postmenopausal women. A population-based nested case-control study. Thromb Haemost 2016;115:1209-19.
- Mollard LM, Le Mao R, Tromeur C, et al. Antipsychotic drugs and the risk of recurrent venous thromboembolism: A prospective cohort study. Eur J Intern Med 2018 Mar 13. pii: S0953-6205(18)30090-6. doi: 10.1016/j.ejim.2018.02.030.