È trascorso un secolo da quando (nel 1916) è stata scoperta l’eparina, un po’ per caso, quando un giovane studente (Jay McLean) a cui era stato dato l’incarico di estrarre dal fegato di cane un estratto ad azione procoagulante si accorse che la sostanza estratta (eparina, perché ricavata dal fegato) possedeva invece uno spiccato effetto anticoagulante.

Pochi anni dopo (nel 1933) da un trifoglio dei pascoli del Wisconsin venne ricavata una sostanza dotata di spiccato effetto anticoagulante, che venne per molti anni impiegata come topicida, la warfarina, prima di rendersi conto che un suo uso accorto poteva farne un prezioso presidio antitrombotico. Dovettero passare molti anni perché l’una e l’altra trovassero impiego corrente come farmaci antitrombotici nella pratica clinica. In particolare, per quanto riguarda la warfarina, deve in gran parte la sua fortuna al fatto che verso la metà degli anni ’50 venne impiegata con successo nella cura dell’infarto miocardico del Presidente americano Eisenhower. Successivamente l’impiego di entrambe le sostanze venne elettivamente indirizzato verso la cura delle malattie tromboemboliche venose (TEV): la trombosi venosa profonda (TVP) e l’embolia polmonare (EP).

Per alcuni decenni l’eparina non frazionata (sostanza dotata di un effetto anticoagulante immediato) e la warfarina (sostanza capace di inibire la sintesi della vitamina K e come tale capace di esplicare un effetto anticoagulante ritardato) hanno rappresentato la pietra miliare della terapia delle malattie tromboemboliche. La cura consisteva nella somministrazione endovenosa di eparina a dosi capaci di prolungare l’APTT, seguita dopo pochi giorni dalla somministrazione di warfarina per os a dosi che andavano anch’esse monitorate con un test di laboratorio, il PT, a cui dopo alcuni anni è subentrato l’INR. L’eparina veniva interrotta solo quando, per effetto della terapia con il dicumarolico, era stato raggiunto l’effetto anticoagulante desiderato con la sola terapia orale. Va subito specificato che questa, che sembra Storia della Medicina, forma ancora la sola modalità di trattamento attuabile del TEV in pazienti con insufficienza renale severa ed in quelli con sindrome da anticorpi antifosfolipidi.

Va da sé che tale modalità di trattamento richiedeva indispensabilmente il ricovero ospedaliero. Venne fatto in Olanda, paese di grandi tradizioni per la gestione ed il monitoraggio delle terapie anticoagulanti, un tentativo di breve durata per trattare i pazienti con TVP direttamente a domicilio con l’impiego della sola warfarina, non preceduta da eparina. Ma tale tentativo si interruppe quando lo studio ATHOS fornì la prova convincente e definitiva della necessità di far precedere la warfarina da alcuni giorni di terapia eparinica1.

Dovevano trascorrere molti anni prima che venissero estratte o sintetizzate sostanze in grado di rimpiazzare l’eparina non frazionata: le eparine a basso peso molecolare ed il fondaparinux, somministrabili per via sottocutanea a dosi fisse, senza necessità di controllo di laboratorio, tenendo solamente conto del peso corporeo degli individui a cui venivano somministrate. Mentre il meccanismo d’azione delle eparine a basso peso molecolare riproduce sostanzialmente quello dell’eparina standard, il fondaparinux si può considerare un antesignano dei nuovi anticoagulanti diretti, in quanto condivide con essi il meccanismo d’azione, trattandosi di un inibitore potente e selettivo (sebbene indiretto) del fattore Xa. Tutte le esperienze accumulate nel corso di almeno due decadi sulle eparine e sul fondaparinux hanno permesso di concludere che posseggono una efficacia ed una sicurezza almeno confrontabili a quelle dell’eparina non frazionata2,3, ma una superiore praticità e maneggevolezza. Inoltre il fondaparinux è, al pari dei nuovi farmaci, del tutto destituito del rischio di indurre la rara ma temibile piastrinopenia da eparina. In quanto non richiedono l’iniezione endovenosa e non necessitano di controllo di laboratorio, rendono a determinate condizioni possibile il trattamento domiciliare di pazienti selezionati. Dal fondaparinux sono state successivamente ricavate sostanze ad azione ritardata che ne consentivano la somministrazione una volta alla settimana (idraparinux ed idrabiotaparinux), che però non hanno avuto fortuna.

Benchè abbiano rappresentato un avanzamento sostanziale rispetto all’eparina standard, le eparine a basso peso molecolare non hanno però tolto di mezzo la warfarina, ad eccezione che per la cura dei pazienti neoplastici4. Essendo impraticabile una terapia parenterale per mesi od anni, era ineludibile il ricorso ad un farmaco orale per consentire il prolungamento della terapia antitrombotica. E dato che la warfarina richiede tempo per esplicare il suo effetto antitrombotico, ciò che comporta la necessità di un frequente monitoraggio dell’INR, ciò si è tradotto per la maggior parte dei pazienti in un prolungamento della degenza ospedaliera per tutto il tempo indispensabile alla individuazione del dosaggio più appropriato. Il salto di qualità poteva essere compiuto solo con l’individuazione di farmaci orali capaci di determinare rapidamente un effetto antitrombotico, così da rendere superfluo il ricorso sia alle eparine che agli inibitori della vitamina K.

Da pochi anni il sogno è diventato realtà. Siamo ora in possesso di una serie di nuovi farmaci anticoagulanti orali, inibitori diretti della trombina (dabigatran) o del fattore Xa (rivaroxaban, apixaban, edoxaban), che possono essere somministrati sin dall’esordio dell’affezione a dose di carico (rivaroxaban ed apixaban) od a dose di mantenimento preceduti da qualche giorno di eparina o fondaparinux per via parenterale (dabigatran ed edoxaban). Vanno somministrati a dose fissa, prescindendo sia dal monitoraggio di laboratorio che dal peso corporeo. Sono controindicati solo nell’insufficienza renale severa, in gravidanza, in portatori di protesi meccaniche cardiache e di sindrome da anticorpi antifosfolipidi. Per l’indicazione della terapia del TEV solo per l’edoxaban è prevista una riduzione del dosaggio in soggetti fragili, mentre per tutti gli altri è prevista la somministrazione a dosi piene senza che per tale motivo si assista ad una variazione del profilo beneficio/rischio. Nel confronto diretto con la terapia convenzionale hanno dimostrato un’efficacia confrontabile ed una rilevante riduzione del rischio di emorragie maggiori, soprattutto delle emorragie intracraniche5. Facilitano il trattamento domiciliare anche di pazienti con EP a basso rischio6. In un confronto diretto con le eparine a basso peso molecolare hanno dimostrato un soddisfacente profilo benefico/rischio anche in pazienti neoplastici7. Infine, a basse dosi consentono il prolungamento indefinito dell’anticoagulazione con basso rischio di emorragia in soggetti con TEV idiopatico od associato a fattori di rischio minori, siano essi di natura persistente o transitoria8.


Bibliografia

  1. Brandjes DP, Heijboer H, Büller HR, de Rijk M, Jagt H, ten Cate JW. Acenocoumarol and heparin compared with acenocoumarol alone in the initial treatment of proximal-vein thrombosis. N Engl J Med 1992;327:1485-9.
  2. Gould MK, Dembitzer AD, Doyle RL, Hastie TJ, Garber AM. Low-molecular-weight heparins compared with unfractionated heparin for treatment of acute deep venous thrombosis. A meta-analysis of randomized, controlled trials. Ann Intern Med 1999;130:800-9.
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  4. Carrier M, Prandoni P. Controversies in the management of cancer-associated thrombosis. Expert Rev Hematol 2017;10:15-22.
  5. van Es N, Coppens M, Schulman S, Middeldorp S, Büller HR. Direct oral anticoagulants compared with vitamin K antagonists for acute venous thromboembolism: evidence from phase 3 trials. Blood 2014;124:1968-75.
  6. Barco S, Schmidtmann I, Ageno W, Bauersachs RM, Becattini C, Bernardi E, et al; HoT-PE Investigators. Early discharge and home treatment of patients with low-risk pulmonary embolism with the oral factor Xa inhibitor rivaroxaban: an international multicentre single-arm clinical trial. Eur Heart J 2019 [Epub ahead of print]
  7. Li A, Garcia DA, Lyman GH, Carrier M. Direct oral anticoagulant (DOAC) versus low-molecular-weight heparin (LMWH) for treatment of cancer associated thrombosis (CAT): A systematic review and meta-analysis. Thromb Res 2019;173:158-63.
  8. Prins MH, Lensing AWA, Prandoni P, Wells PS, Verhamme P, Beyer-Westendorf J, et al. Risk of recurrent venous thromboembolism according to baseline risk factor profiles. Blood Adv 2018;2:788-96.