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Ben prima dell’introduzione in Italia degli anticoagulanti orali diretti (DOAC o NAO), la Federazione Centri per la diagnosi della trombosi e per la Sorveglianza delle terapie Antitrombotiche (FCSA) pubblicò un consensus document che si proponeva di dare delle regole da seguire nella gestione dei DOAC. Nonostante il documento fosse finalizzato all’uso del dabigatran, il primo NAO disponibile e utilizzato nei confronti del warfarin nella fibrillazione atriale, in realtà si poteva estendere anche agli altri (NAO).

Riguardo al follow-up, sono state poste due domande: quale sarà  “l’aderenza” dei pazienti ai nuovi trattamenti in assenza di un sistematico controllo di laboratorio? Cosa si può fare per migliorare l’aderenza e la persistenza a questi farmaci?

Per aderenza s’intende un atteggiamento cooperante del paziente nell’assumere correttamente le dosi prescritte di un farmaco e per persistenza il fatto che l’assunzione delle terapie prescritte sia regolare nel tempo. Il termine inglese compliance è ugualmente utilizzato, ma indica un comportamento del paziente più passivo, inteso come adattamento a qualcosa che subisce, cioè un trattamento farmacologico. In generale, l‘aderenza alle terapie orali cala in maniera drammatica dopo circa sei mesi nelle condizioni patologiche croniche potendo arrivare a percentuali dell’80%. In realtà non c’è accordo sulla percentuale dell’aderenza ritenuta accettabile per uno studio clinico. Per alcuni non dovrebbe scendere al di sotto dell’ 80 % per altri è essenziale che stia al di sopra del 95%.

Ma quali sono le cause della scarsa aderenza? Le più rilevanti sono le seguenti:

  • scarsa comunicazione medico-paziente
  • assenza di visite di controllo periodiche
  • difetti cognitivi
  • trattamento cronico in profilassi primaria (ad esempio fibrillazione atriale in chi non ha mai subito un evento cardioembolico)
  • non conoscenza del perchè si sta facendo quel trattamento farmacologico

Solo queste? No, sono da prendere in considerazione anche altre cause. Nella vita di tutti i giorni i pazienti, soprattutto quelli anziani, sono spesso prigionieri all’interno di una ruota che abbiamo definito “infernale” costituita da un numero notevole di visite specialistiche e dalla prescrizioni di un gran numero di farmaci. Il risultato finale è una qualità di vita scadente e una politerapia che può arrivare a ben più di 10 farmaci al giorno.

In uno studio italiano pubblicato nel 2011 la politerapia, cioè l’assunzione giornaliera di 5 o più farmaci, era presente nel 51.9 % al momento del ricovero dei pazienti, ma saliva al 67 % al momento della dimissione.

Per combattere la scarsa aderenza la prima cosa da fare è eliminare i farmaci inutili, per esempio quelli a totale carico del paziente, o quelli la cui prescrizione non è appropriata. L’altro aspetto importante è il follow-up, cioè la visita periodica di un paziente, dopo 1, 3, e 6 mesi dall’inizio dell’assunzione della terapia. A questo si può aggiungere l’introduzione di programmi educazionali specifici disegnati in modo semplice unitamente all’utilizzo di questionari che hanno dimostrato, almeno nella nostra esperienza riferita agli AVK, di risvegliare il ruolo attivo dei pazienti che in questo modo si sono sentiti maggiormente considerati dai medici e dagli infermieri del Centro Trombosi. I questionari su diversi aspetti della terapia anticoagulante orale con AVK si sono dimostrati superiori alla distribuzione di materiale illustrato o a un corso dedicato nell’aumentare l’efficacia della terapia.

Anche il contatto telefonico, pur se ancora acerbo come metodo, potrebbe essere efficace nel ricordare al paziente i suoi appuntamenti. Qualche anno fa, proponemmo di inserire il follow-up per via telematica, in modo tale da consentire ai pazienti di rispondere dal proprio domicilio a delle domande circa la loro condizione di salute, l’aderenza, eventuali eventi avversi, introduzione di altri farmaci etc. Un figlio, un nipote, un amico di famiglia potrebbero facilmente essere coinvolti nel caso di pazienti anziani, che ormai sono la maggioranza.

Nel settembre del 2014 FCSA ha chiesto formalmente ad AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) di introdurre una nota con la quale un follow-up fosse raccomandato nella gestione dei NAO dal momento che non è contemplato nelle schede tecniche di questi farmaci. AIFA non ha accettato la proposta di FCSA, rinviando il tutto a un momento in cui sia il follow-up sia la possibilità di utilizzare test dedicati alla misurazione dell’attività anticoagulante dei NAO, (anche questo richiesto da FCSA), avrà una connotazione europea solida. FCSA ha comunque deciso di continuare a raccomandare ai propri Centri Trombosi di eseguire il follow-up periodico di questi pazienti. Uno strumento adatto a questo scopo  certamente il Registro START (Survey on Anticoagulated Patients Register), dedicato agli AVK ma soprattutto ai NAO, nel quale è possibile inserire i dati dei pazienti e le loro visite periodiche annotando quanto è riferibile ad eventi avversi e aderenza alla terapia.

In conclusione la gestione dei NAO dovrebbe passare attraverso un controllo periodico dei pazienti da un punto di vista clinico e di laboratorio, quando questo sia richiesto (interventi chirurgici, manovre invasive etc). I Centri Trombosi italiani sono chiamati a questo compito, forse non facile, ma certamente essenziale per la sicurezza dei pazienti.

A cura di

Doris Barcellona Università di Cagliari

Francesco Marongiu Università di Cagliari

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