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Come alcune intuizioni scaturite dalla curiosità e dall’impegno degli scienziati hanno portato a compiere passi avanti nel mondo dell’emostasi e trombosi, ma anche dell’emofilia.

Il sangue circola fluido all’interno del sistema vascolare, portando ossigeno e nutrimento agli organi e liberandoli contemporaneamente dall’anidride carbonica e dai prodotti di scarto, che si generano a seguito dei processi metabolici. Tutto ciò avviene quando il sistema vascolare è integro. Allorché si verifica una lesione dei vasi (ad esempio in seguito a trauma), il sangue e la parete del vaso stesso (arteria e vena) modificano repentinamente le loro caratteristiche e innescano alcuni meccanismi di difesa, che portano alla coagulazione del sangue, nel tentativo arrestare l’emorragia e riparare la lesione vascolare.

La selezione naturale, che ha operato nei milioni di anni da quando l’essere vivente è presente sulla terra, ha goduto di tutto il tempo necessario per sperimentare, attraverso il caso (mutazioni casuali) e la necessità (adattamento alla circostanze ambientali), affinando i meccanismi della coagulazione. Essi dipendono principalmente da alcune proteine circolanti (fattori pro- e anti-coagulanti) e da piccole unità cellulari (piastrine). In occasione di una lesione della parete vascolare (trauma), le piastrine sono le prime a riconoscere la nuova situazione che si viene a creare e aderisco prontamente alla parete vascolare lesa, determinando il primo tappo emostatico che, pur opponendosi all’emorragia, non è da solo in grado di contrastarla efficacemente. L’adesione dei fattori pro-coagulanti sulla superficie delle piastrine del tappo emostatico porta, attraverso una serie complessa di reazioni, alla stabilizzazione del processo, arrestando l’emorragia e riportando la parete vascolare alla sua integrità.

In condizioni normali tutti questi processi sono impediti dai meccanismi di regolazione insiti nel sistema. Il meccanismo della coagulazione è talmente specializzato che consente di far coagulare il sangue solo nel punto dove è avvenuta la lesione vascolare, lasciando il resto del circolo imperturbato. Questo mirabile meccanismo può essere a volte perturbato e il sangue coagulare anche se il vaso è apparentemente integro. Si parla allora di occlusione vascolare o trombosi.
I motivi che portano alla trombosi sono molteplici e non ancora tutti noti. In molti casi la trombosi può essere dovuta a un rallentamento del flusso, a una modificazione strutturale della parete interna dei vasi, a una iperattività delle piastrine o alla presenza di disfunzione nei fattori della coagulazione (aumento dei pro-coagulanti e/o diminuzione degli anticoagulanti naturali), o ancora alla presenza di formazioni sulla parete interna del vaso a contatto del sangue (placche aterosclerotiche), che cambiano la sua conformazione, innescando la coagulazione.

Si potrebbe pensare che la comprensione dei meccanismi di regolazione della coagulazione sia solo una curiosità dello scienziato. Nulla di più errato! Essa rappresenta un’arma formidabile nelle mani del ricercatore che, attraverso la sua comprensione, può sviluppare farmaci capaci di aiutare il medico nel trattamento delle malattie della coagulazione. Due esempi sono sufficienti per illustrare i fondamenti di questo semplice concetto generale, che ha cambiato la qualità di vita di molti.

Il paziente a rischio di trombosi (eccesso della coagulazione) è stato curato con successo negli ultimi 50 anni mediante i farmaci anti-piastrinici (aspirina e altri) o anticoagulanti orali (coumadin, sintrom) o iniettivi (eparine) e più recentemente con i farmaci anticoagulanti orali diretti (dabigatran, rivaroxaban, apixaban, edoxaban, etc.), che hanno permesso di migliorare la qualità di vita di milioni di pazienti nel mondo. Tutto ciò è stato reso possibile dalla comprensione del meccanismo di azione di questi farmaci. Sarà ancora possibile in futuro sviluppare altri farmaci anticoagulanti capaci di inibire la forza procoagulante dei fattori XII e XI. Anche in quest’ultimo caso la comprensione dei meccanismi d’azione dei due fattori è stata fondamentale. Il FXI, ma soprattutto il FXII, hanno una modesta azione procoagulante, ma se opportunamente inibiti esercitano una potente funzione antitrombotica.

Un altro esempio importante è il paziente con emofilia grave, che manca sin dalla nascita del fattore VIII della coagulazione (emofilia A) o del fattore IX (emofilia B), fra i più importanti fattori della coagulazione. Il fattore VIII facilita la coagulazione del sangue favorendo il contatto fra due dei fattori fondamentali nel processo (il fattore IXa e il fattore X). A causa della mancanza del fattore VIII, nell’emofilico A questo processo è fortemente ritardato e il paziente non è in grado di arrestare eventuali emorragie spontanee o conseguenti a trauma. Pochi anni or sono un ricercatore geniale, dopo aver compreso la funzione del fattore VIII, ha sviluppato una famiglia di anticorpi monoclonali capaci di riconoscere e legare contemporaneamente i fattori IXa e X, mimando così la funzione del fattore VIII. Il lavoro di ricerca è stato ovviamente molto più lungo di quanto brevemente descritto, ma ha infine portato alla selezione del migliore fra i tanti anticorpi prodotti. L’anticorpo è stato denominato emicizumab; è diventato un farmaco; ha superato la fase degli studi clinici ed è adesso uno dei farmaci di scelta per il trattamento dell’emofilia A.

Altri esempi di farmaci innovativi, sempre nel campo dell’emofilia, sono concizumab e fitusiran. Sono anch’essi figli della comprensione dei meccanismi di regolazione della coagulazione. Si basano ambedue sul semplice concetto che i pro-coagulanti in vivo sono antagonizzati dagli anticoagulanti naturali (antitrombina, proteina C, TFPI, ecc.). In condizioni normali l’equilibrio fra le due forze è pressoché perfetto. I ricercatori, dopo aver capito questo meccanismo, hanno pensato che la perturbazione controllata del loro equilibrio naturale (abbassando artificiosamente la forza degli anti-coagulanti naturali) potesse portare a un vantaggio dei pro-coagulanti, bypassando così la carenza dei fattori procoagulanti, tipica dell’emofilia. È nata quindi l’idea di concizumab e fitusiran. Il primo è un anticorpo monoclonale che, iniettato nell’emofilico, inibisce in maniera controllata il TFPI. Fitusiran è capace di inibire con meccanismo diverso, ma analogo, l’antitrombina. Ambedue si sono rivelati efficaci nel trattamento dell’emofilia e sono attualmente nella fase finale della loro sperimentazione.

Qual è il valore aggiunto di questi nuovi approcci terapeutici per l’emofilia? Enorme! Gli emofilici sono stati storicamente trattati mediante terapia sostitutiva, iniettando in vena un concentrato del fattore mancante, derivato dal plasma umano o da tecniche biomolecolari. Questi trattamenti, sebbene efficaci, si sono rivelati poco sicuri, a causa del rischio di trasmettere malattie infettive (v. infezione da HIV, epatite C, nel caso dei prodotti derivati dal plasma umano), ma anche poco pratici; hanno una sopravvivenza in circolo di pochi giorni ed è pertanto necessario iniettarli molto frequentemente con notevole disagio per i pazienti, che hanno spesso un accesso venoso difficile.
I farmaci innovativi (emicizumab, concizumab, fitusiran e altri, che sicuramente seguiranno) si possono iniettare sotto cute e hanno una sopravvivenza in circolo di settimane, riducendo così la frequenza del trattamento. Vantaggi che possono cambiare in maniera drastica la qualità di vita di questi pazienti. Bene! Tutto ciò è stato reso possibile e lo sarà ancora di più in futuro grazie alla comprensione dei meccanismi di regolazione della coagulazione.

Altro che mera curiosità dei ricercatori!