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È uno dei modi per riscontrare la positività per la sindrome da anticorpi antifosfolipidi, ma non è così semplice da effettuare se il paziente ha già assunto anticoagulanti.

La positività persistente per la sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS) sintomatica è una condizione che richiede un trattamento anticoagulante a lungo termine e pertanto la ricerca di laboratorio è di fondamentale importanza. Dal punto di vista del laboratorio l’APS è caratterizzata dal riscontro di almeno uno dei seguenti criteri: positività per anticorpi antifosfolipidi in fase solida (anti-cardiolipina e/o anti-Beta2-GPI), presenza dell’anticoagulante lupico (LA).

Succede spesso che la richiesta diagnostica arrivi al laboratorio quando il paziente è già stato anticoagulato. In questa circostanza la misura degli anticorpi in fase solida non costituisce alcun problema, perché gli anticoagulanti di qualsiasi natura non interferiscono con i test in fase solida. Il problema esiste per la ricerca del LA. I test per quest’ultimo sono basati su test funzionali coagulanti, i quali sono fortemente influenzati dalla presenza del LA, ma anche dagli anticoagulanti. Ad esempio, molti dei test per il LA quali il tempo di veleno di vipera Russell diluito (dRVVT) e il tempo di tromboplastina parziale attivato (APTT), nonché il silica clotting time (SCT) sono prolungati sia dal LA sia dagli anticoagulanti.

Nel paziente anticoagulato è quindi difficile interpretare il risultato del test, che è basato sul prolungamento del tempo di coagulazione, che persiste anche nella miscela con il plasma normale, ma si normalizza a seguito della ripetizione del test con fosfolipidi ad alta concentrazione. La difficoltà interpretativa è relativamente modesta quando l’anticoagulante è l’eparina (frazionata e non) perché molti dei reagenti disegnati per la ricerca del LA contengono sostanze capaci di neutralizzare l’eparina. Le difficoltà sono intermedie quando il farmaco anticoagulante è un antagonista della vitamina K (AVK) e sono praticamente insormontabili quando il farmaco anticoagulante è un inibitore diretto del fattore Xa o della trombina (DOAC o NAO).

Per ovviare all’inconveniente causato dagli AVK, è stato storicamente valutato, in maniera piuttosto empirica, il test eseguito sulla miscela del plasma paziente con un plasma normale (1:1), nella presunzione che il plasma normale fosse in grado di correggere il difetto coagulatorio indotto dagli AVK, ma lasciando intatto quello causato dal LA. Nessuna delle due situazioni è stata verificata. Difatti, non sempre il plasma normale è in grado di correggere il difetto indotto dagli AVK, o quando lo è, la correzione è parziale e spesso dipendente dal reagente usato, rendendo di fatto difficile l’interpretazione del risultato. D’altro canto, la diluzione del plasma paziente nel plasma normale dimezza per definizione il titolo del LA e pertanto se il titolo del paziente fosse basso nel plasma indiluito, lo sarà ancor di più nel plasma diluito e potrebbe quindi sfuggire alla diagnosi.

Le ultime raccomandazioni dell’ISTH, la società internazionale di emostasi e trombosi (v. Tripodi et al, in pubblicazione su J Thromb Heamostconsigliano di non eseguire la diagnostica del LA nel paziente anticoagulato con AVK e se questo fosse fondamentale per la gestione del paziente, di esercitare la massima attenzione nell’interpretazione del risultato, tenendo presente che la probabilità di falsi positivi e falsi negativi è relativamente alta. Per i plasmi da pazienti in DOAC le cose son ancora più complicate. La diagnostica su plasma indiluito è gravata da un’altissima probabilità di falsi positivi, mentre la miscela del plasma paziente in plasma normale non sortisce l’effetto desiderato e la probabilità di falsi positivi resta relativamente alta. Recentemente sono state approntate delle resine di carbone attivo, capaci di assorbire sulla loro superficie i DOAC, lasciando i fattori della coagulazione e anche il LA (se presente) praticamente inalterati.
Queste resine (DOAC-Stop e DOAC-remove) sono commercialmente disponibili e in valutazione in molti laboratori. Dagli articoli finora pubblicati si può essere moderatamente ottimisti sulla loro efficacia, anche se esistono ancora alcuni problemi da risolvere. Quasi tutti i lavori della letteratura riportano una buona efficacia nella rimozione dei DOAC, molti riportano anche una buona capacità diagnostica, almeno per identificare i veri negativi per il LA, ma non esistono a tutt’oggi esperienze di conferma su plasmi da pazienti in DOAC sicuramente positivi per il LA.