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A oltre 30 anni dalla loro istituzione, le strutture sono mutate adattandosi ai progressi della medicina: molte seguono anche i pazienti in DOAC e fanno ricerca clinica indipendente, oltre a salvaguardare le competenze necessarie per la gestione delle persone in AVK.

Hanno oltre trent’anni, ma cercano di adattarsi al mondo che cambia mutando a loro volta pelle. Sono i Centri che afferiscono alla rete FCSA, la Federazione di Centri e degli Specialisti che si occupano della gestione dei pazienti in terapia anticoagulante e antitrombotica più in generale.

Una delle novità degli ultimi anni, infatti, è proprio questa: possono associarsi ad FCSA non solo le strutture, ma anche i singoli professionisti. “Sebbene i Centri siano diffusi in tutte le Regioni italiane con l’unica eccezione della valle d’Aosta, la loro distribuzione è a macchia di leopardo – ammette Daniela Poli, presidente della Federazione – Ci sono quindi molte aree del Paese prive di una struttura specifica”. Da qui la necessità di individuare delle persone che diventino un punto di riferimento per tutto ciò che ha a che fare con la gestione della terapia anticoagulante. “Ci sono sempre più colleghi che in ambito internistico o cardiologico diventano i referenti di struttura per questo tipo di problemi. L’idea di FCSA è di permettere l’iscrizione alla società anche ai singoli individui e non più solo come Centri. Per questo qualche anno fa abbiamo modificato lo Statuto per renderlo più adatto al cambiamento che è avvenuto in questo ambito della medicina”.

I Centri aderenti sul territorio nazionale sono 250, di cui oltre un centinaio pienamente attivi anche per la gestione dei pazienti in DOAC e non solo per quelli in AVK. “Oggi nei nostri Centri assistiamo a una situazione che è ribaltata rispetto a quella nazionale: il 70% di chi si rivolge a noi è in terapia con AVK, il 30% con DOAC. La proporzione, a livello italiano, è invertita”.

Eppure, sebbene sia importante riuscire a seguire anche chi è trattato con gli anticolagulanti orali diretti, non bisogna dimenticare coloro che seguono una terapia con antagonisti della vitamina K: “Proprio perché saranno sempre meno, il rischio è che manchino anche le competenze da parte dei medici per la gestione di questa terapia, che richiede un’esperienza specifica. Per questo è fondamentale avere delle strutture e dei professionisti in grado di conoscere a fondo questo tipo di pazienti”.

Per rendere più semplice la gestione dei pazienti che proseguono la terapia con AVK e migliorare la loro qualità della vita, occorrerebbe “favorire l’uso del coagulometro portatile: in questo modo pazienti molto selezionati che hanno una terapia complessa, spesso giovani con un’indicazione al trattamento a lungo termine, spesso per tutta la vita, avrebbero il grande vantaggio di non dover dipendere da un laboratorio”. Al di là dei costi, che in questo momento sono interamente a carico del paziente, c’è però anche un problema di legislazione: “Non è chiaro chi sia il responsabile dei risultati che questi strumenti forniscono. Così, alcuni laboratori scelgono di non riconoscerli, nonostante esista una robusta letteratura a loro vantaggio”.

E poi c’è la ricerca clinica, che per FCSA è sempre stata un obiettivo qualificante: “Un 30% dei centri effettua ricerca clinica indipendente che punta a risolvere problemi molto pratici: come Federazione abbiamo pubblicato il primo studio su Lancet nel 1996 e da allora sono stati pubblicati oltre quindici studi collaborativi nell’ambito di FCSA”.

A distanza di oltre 30 anni, quindi, ha ancora senso una rete come quella FCSA? “Indubbiamente sì, a patto che si impegni a rimanere al passo con i tempi. Da alcuni anni, per esempio, forniamo un sistema di accreditamento per le strutture che tra gli obblighi prevede la formazione per il paziente. Si tratta di un piccolo importante passo che permette al paziente anticoagulato di essere più consapevole e autonomo nella routine, ma allo stesso tempo di avere una struttura di riferimento in grado di gestire l’imprevisto. Garantire la tracciabilità del percorso terapeutico, dal risultato di laboratorio al programma terapeutico giornaliero, consente di dare al paziente e a qualunque sanitario che debba trovarsi a curare quel paziente indicazioni certe sul trattamento e permette di essere pronti a intervenire quando c’è un problema”.