La ricerca scientifica degli ultimi anni ha messo a disposizione della classe medica strumenti semplici ed efficaci per favorire la diagnosi di embolia polmonare (EP) anche in mani poco esperte. Mi riferisco alla probabilità clinica pre-test, al D-dimero ed all’angioTC. Tuttavia, il gap tra la reale incidenza di EP e la frequenza con cui viene sospettata è ancora inaccettabilmente vasto. Prova ne sia la frequenza con cui la sottostima di tale complicazione è ancor oggi oggetto di contenziosi medico-legali. Le ragioni di tale sottostima sono difficili da individuare. Si può ipotizzare il tuttora comune convincimento che sia necessaria la concomitanza di una trombosi venosa profonda (TVP) degli arti (non dimostrabile invece con una frequenza vicina alla metà dei casi) e la presenza di circostanze scatenanti, di natura medica o chirurgica (viceversa assenti con una frequenza oscillante da un terzo alla metà dei casi). Ma il fattore che probabilmente gioca un peso decisivo è l’aspecificità della presentazione clinica, che assume spesso i connotati di altre condizioni cliniche (tra cui broncopolmonite, pleurite, cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco, turbe del ritmo cardiaco, shock e sincope), ragione per cui solo un alto indice di sospetto clinico può indirizzare correttamente la diagnosi.

IN BREVE…
L’embolia polmonare, cioè l’ostruzione trombotica di vasi polmonari (generalmente a partenza da una trombosi venosa delle gambe) determina abitualmente la comparsa di una improvvisa mancanza di respiro a riposo, associata o meno a dolore toracico ed aumento della frequenza cardiaca. Occasionalmente, però, può capitare che soggetti giovani (o comunque in buone condizioni cardiache o respiratorie) possano tollerare l’ostruzione senza avvertire alcun disturbo finché non esercitano una attività fisica anche blanda (come passeggiare per breve tratto). Lo sviluppo di inattesa mancanza di respiro per attività fisiche in precedenza ben tollerate può accadere in soggetti con scompenso cardiaco, coronaropatia, grave anemia, asma bronchiale, polmoniti o broncopolmoniti, iperfunzione tiroidea, talvolta stati d’ansia, ma può anche rappresentare la spia di una embolia polmonare. Ciò è tanto più probabile se si ha una storia personale o familiare di pregresse trombosi venose o embolie polmonari, se si è reduci da una recente malattia infettiva, un recente trauma od intervento chirurgico, se si sta assumendo farmaci (come terapie ormonali o farmaci antidepressivi) che possono aumentare la coagulabilità del sangue, se si hanno anormalità ereditarie (come il fattore V Leiden) che pure espongono ad un aumentato rischio di complicazioni tromboemboliche. I risultati di un recente studio italiano dimostrano che in 1 caso su 3 è in gioco una embolia polmonare, e la frequenza rimane alta (1 su 5) anche nei casi di mancanza di respiro isolata, cioè non associata ad altre manifestazioni di embolia polmonare. Di fronte a tale sintomatologia è necessario consultare rapidamente un medico (o rivolgersi al PS del proprio ospedale) per gli accertamenti del caso. È esperienza personale che la consapevolezza (da parte del paziente) del rischio di embolia polmonare rappresenti uno stimolo in più per i medici di riferimento ad adottare le indagini più appropriate (talvolta molto semplici) per accertarla od escluderla.

Tra le modalità di presentazione a cui abitualmente non si dà l’importanza che merita c’è la dispnea da sforzo, soprattutto se non è associata ad altre manifestazioni suggestive di EP. Benché sia noto da almeno 15 anni che quando subentra una EP può accadere (soprattutto in soggetti giovani, o comunque indenni da problemi cardiaci o respiratori) che la dispnea si manifesti solo in occasione di prestazioni fisiche in precedenza ben tollerate1, nella realtà quotidiana tale eventualità viene comunemente disattesa. Si pensa allo scompenso cardiaco, alla cardiopatia ischemica, all’asma bronchiale, a polmoniti od altre affezioni polmonari, alla stenosi aortica, alla tireotossicosi, a stati anemici, perfino ad alterazioni psichiche. Ed il ritardo diagnostico può avere conseguenze devastanti.

Per cercare di capire la vastità del problema e di dare una risposta concreta ad un quesito di tale rilevanza, abbiamo impostato uno studio (PEDIS), promosso e sostenuto economicamente dalla Fondazione Arianna Anticoagulazione, che ha coinvolto 14 centri in Italia ed i cui risultati sono stati recentemente pubblicati2. Di 683 pazienti giunti consecutivamente all’osservazione in Unità di Emergenza per dispnea da sforzo di recente inizio (meno di un mese), 160 sono stati esclusi dall’indagine in quanto l’entità del disturbo non soddisfaceva i requisiti richiesti, che prevedevano (in accordo con la Scala Internazionale della Dispnea) un’ambascia respiratoria di grado tale da impedire il proseguimento del cammino in pianura dopo aver percorso poche decine di metri. Altri 106 sono stati esclusi per età anziana, precedente TEV di qualsiasi natura, terapia anticoagulante in corso o controindicazioni all’esecuzione dell’angioTC polmonare. Pertanto, sono stati inclusi nell’indagine 417 soggetti. I soggetti reclutati hanno ricevuto una valutazione della probabilità clinica pre-test secondo Wells ed un D-dimero. Nei 134 pazienti con probabilità clinica bassa (punteggio < 4) e D-dimero negativo (aggiustato per età), la diagnosi di EP è stata esclusa. Nei rimanenti 283 la presenza di EP è stata confermata in 134 (47.3%). Pertanto, la prevalenza di EP nella totalità della coorte è risultata pari a 32.1% (95% CI, 27.8 to 36.8).

Non sorprende il fatto che la complicanza embolica sia stata documentata in oltre il 44% dei soggetti che presentavano segni/sintomi compatibili con TVP di un arto od altre manifestazioni suggestive di EP (quali ipotensione, tachicardia, bassa saturazione di ossigeno). Sorprende invece che sia stata riconosciuta anche in quasi il 20% di coloro che avevano una dispnea da sforzo isolata, fossero o meno presenti eventuali alternative diagnostiche. Conclusione che è stata fortemente ribadita da un supplemento di indagine, compiuto proprio (su indicazione del comitato promotore dello studio) per suffragare tale conclusione in una coorte di una sessantina di soggetti con dispnea da sforzo isolata ed in cui erano assenti alternative diagnostiche plausibili. Ed è interessante il rilievo che nella quasi totalità dei casi di EP l’interessamento trombotico fosse rilevante, cioè a carico di vasi segmentali o più prossimali, ed a carico di entrambi i lobi.

I risultati dello studio PEDIS ripropongono con forza all’attenzione di clinici e ricercatori la possibilità che l’EP, fin qui sospettata pressoché esclusivamente nei casi di brusca insorgenza di dispnea a riposo, si annunci anche con la sola mancanza di respiro in occasione di attività fisiche precedentemente ben tollerate. La plausibilità c’è tutta. In un individuo con una normale riserva cardiorespiratoria l’ostruzione trombotica di una parte dell’albero vascolare polmonare non necessariamente preclude la frequenza e/o la profondità del respiro a riposo. È l’attività fisica che la slatentizza. Grande attenzione deve pertanto essere dedicata alla ricerca di fattori che possono aumentare il rischio di TEV (storia personale o familiare di TEV, stati trombofilici, malattie neoplastiche, terapie ormonali o con farmaci psicotropi, gravidanza o puerperio, recente immobilizzazione per cause mediche o chirurgiche, stati infettivi – COVID-19 docet –, lunghi viaggi, traumatologia anche modesta a carico degli arti inferiori ecc.), la cui presenza dovrebbe indurre a mettere immediatamente in moto le procedure per accertare od escludere una EP. Ma bisogna pensarci anche in assenza di fattori di rischio. Abbiamo già detto che con una frequenza compresa tra il 30 ed il 50% l’EP può essere del tutto spontanea (o ‘idiopatica’ come si suole definirla). È soprattutto in questi ultimi che si pone la necessità di fare una diagnostica differenziale tra EP e cause di altra natura.

È ovvio che la consapevolezza che il soggetto ha una cardiopatia scompensata piuttosto che un grave stato anemico od una tireotossicosi indurranno a privilegiare queste causalità rispetto all’EP, senza però escluderla del tutto. Difatti con frequenza tutt’altro che trascurabile era in gioco una EP anche in questi individui: nulla impedisce ad un cardiopatico non anticoagulato di sviluppare un’embolia! Va da sé che il sospetto si può ragionevolmente scartare negli individui che hanno in corso un’anticoagulazione a dosi piene per indicazioni di altra natura. Ma in tutti gli altri bisogna pensarci.

Pensarci non significa necessariamente candidare tutti all’angioTC! La combinazione di una probabilità clinica pre-test con un D-dimero negativo (dopo aggiustamento per età) esclude categoricamente lo sviluppo di una complicazione embolica. Ne approfitto per ribadire che se la diagnosi di EP non è esclusa occorre iniziare immediatamente in assenza di controindicazioni una terapia anticoagulante (privilegiando l’eparina a basso pm a dosi terapeutiche) e mantenerla fintantoché una angioTC non l’abbia esclusa. Un paio di iniezioni di eparina a basso pm non hanno mai fatto male a nessuno!
Ed invece, una terapia anticoagulante prontamente instaurata a fronte di un alto sospetto clinico di EP può salvare la vita. Alla fine, non posso non esprimere il mio compiacimento per questo ennesimo contributo della ricerca scientifica italiana a smascherare l’embolia polmonare. La ‘grande simulatrice’ (come è stata più volte definita da molti) ha ora meno chances di ingannare un clinico attento e preparato.

HIGHLIGHTS CLINICI
• La prevalenza di embolia polmonare (EP) in soggetti con recente inizio di dispnea da sforzo di grado marcato non era mai stata indagata appropriatamente.
• Uno studio multicentrico italiano (PEDIS) ha indagato la prevalenza di EP in una serie consecutiva di 417 pazienti giunti spontaneamente od inviati dai propri curanti al PS di riferimento per la recente comparsa (< 1 mese) di importante dispnea nello svolgimento di attività fisiche in precedenza svolte senza alcun disagio.
• Con l’adozione di un algoritmo, che prevedeva l’esclusione della complicazione in soggetti con score di Wells < 4 e D-dimero (aggiustato per età) negativo e l’adozione di angioTC in tutti gli altri, EP è stata documentata in 134 pazienti (32.1%), con l’inclusione di 40 dei 204 (19.6%) che erano privi di altre manifestazioni cliniche suggestive di EP, prescindendo dalla coesistenza di stati morbosi che potevano giustificane lo sviluppo.
• In tutti i soggetti con recente inizio di dispnea da sforzo, prescindendo dal contesto clinico in cui è insorta, è necessaria l’adozione di un appropriato screening diagnostico per accertare od escludere il subentrare di EP.

Bibliografia

  1. Stein PD, Beemath A, Matta F, et al. Clinical characteristics of patients with acute pulmonary embolism: data from PIOPED II. Am J Med. 2007;120(10):871-879. doi:10.1016/j.amjmed.2007.03.024
  2. Prandoni P., Lensing A.W.A, Prins MH et al. Prevalence of pulmonary embolism among patients with recent onset of dyspnea on exertion. A cross-sectional study. J Thromb Haemost. 2023;21: 68–75 https://doi.org/10.1016/j.jtha.2022.09.007