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Sono ancora numerose le aree di incertezza riguardo l’utilizzo degli anticoagulanti orali diretti (DOAC) in pazienti caratterizzati da condizioni cliniche particolari come l’insufficienza renale severa, stato di peso “estremo”, trombosi venose insedi inusuali o la donna in età fertile.

Su questi ed altri temi si sono confrontati gli esperti durante la tavola rotonda coordinata dal Prof. Walter Ageno (Università degli Studi dell’Insubria) al 7° Convegno di Fondazione Arianna Anticoagulazione e anticoagulazione.it, che si è tenuto a Bologna il 23 e 24 marzo con il patrocinio di SISET (Società Italiana per lo Studio dell’Emostasi e della Trombosi) ed FCSA (Federazione dei Centri per la Sorveglianza delle terapie Antitrombotiche).

Le trombosi dei seni venosi cerebrali

Nonostante le più recenti evidenze depongano a favore dell’utilizzo dei DOAC nei pazienti con trombosi venosa cerebrale, il mancato adeguamento delle linee guida internazionali genera situazioni di dubbio nella pratica clinica. “Su questo tema le evidenze, seppur raccolte con difficoltà data la rarità della patologia, stanno di gran lunga superando le indicazioni legislative” – ha spiegato il Prof. Valerio De Stefano (Università Cattolica- Policlinico Gemelli Roma) – “vi è almeno uno studio randomizzato concluso tra DOAC e warfarin ed uno studio osservazione molto esteso che hanno dimostrato in maniera solida che i DOAC hanno una pari efficacia nella prevenzione delle ricorrenze e nella ricanalizzazione della trombosi venosa cerebrale, con dati di sicurezza di tutto rispetto”. “Il problema rimane come fare aderire la realtà legislativa italiana alla possibilità prescrittiva in questo setting” – ha concluso De Stefano.

Le trombosi venose splancniche

Una situazione simile è quella delle trombosi venose splancniche. Tuttavia, un recente documento di consenso dell’ISTH (International Society of Thrombosis and Haemostasis) si esprime a favole dell’utilizzo dei DOAC nelle trombosi venosi addominali suddividendo le indicazioni in base alla presenza o meno di cirrosi, di neoplasia o di sindrome di Budd-Chiari.  Ulteriori recenti studi a conferma di questo impiego, come il RIVA-SVT100 che ha studiato in acuto il paziente non cirrotico, sono stati discussi dalla Dott.ssa Nicoletta Riva (Università di Malta), co-autrice del documento dell’ISTH.

Donne in età fertile e sanguinamento uterino anomalo

Non privo di difficoltà anche il trattamento anticoagulante nelle donne in età fertile, responsabile di flussi mestruali abbondanti o eccessivi nel 70% dei casi, tali da poter causare anemizzazione o compromettere la qualità di vita delle pazienti. Tuttavia, esiste una differenza tra le diverse classi di farmaci anticoagulanti nel rischio di determinare un anomalo sanguinamento uterino (AUB). Studi di confronto tra inibitori diretti dell’Xa ed inibitori della trombina sono in corso (MEDEA study). In analisi anche le possibili strategie per trattare questa complicanza, come l’associazione di acido tranexanico al DOAC o l’utilizzo di terapia ormonale. “Nel nord Europa si fa più spesso uso di contraccettivi rispetto all’ Italia” – ha evidenziato la Dott.ssa Elvira Grandone (IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” di S. Giovanni Rotondo), sollecitando la discussione tra i partecipanti al Convegno.

Interessanti spunti per la pratica clinica anche quelli emersi dal confronto sull’utilizzo dei DOAC in associazione agli antiaggreganti piastrinici, nell’insufficienza renale severa, nei pazienti sottopeso o con obesità patologica e nelle trombosi associate a patologia neoplastica. Inoltre, la recente disponibilità di antidoti anche per gli anti Xa, accanto ai significativi vantaggi in caso di sanguinamenti a rischio vitale, pone interrogativi ancora aperti sul loro utilizzo.

Questi gli argomenti della tavola rotonda che verranno approfonditi degli esperti nelle prossime uscite di anticoagulazione.it con l’opportunità di continuare la discussione.