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Abbiamo intervistato la Prof.ssa Rossella Marcucci, responsabile scientifico di un incontro volto a creare un network nazionale di esperti clinici e di laboratorio capace di rispondere prontamente all’insorgenza di questa rara ma severa complicanza ad un farmaco.

Il 10 e 11 novembre si è tenuto a Roma un convegno (“Hit the HIT”) per aumentare la consapevolezza riguardo ad una condizione clinica tanto rara quanto pericolosa: la HIT (Heparin induced thrombocytopenia o trombocitopenia indotta da eparina). La mancanza di conoscenza del problema e di una “rete” efficiente di clinici e di laboratori ospedalieri che siano in grado di effettuare i test per la diagnosi, fa sì che questa grave condizione, di per sé curabile con farmaci adeguati, venga scarsamente riconosciuta e quindi trattata. Ulteriore scopo del convegno è stato quindi gettare le basi per costruire questa “rete” di clinici e di laboratori, affinché il maggior numero di centri ospedalieri arrivi ad avere i test diagnostici “di base” e ogni medico che abbia il sospetto clinico possa sapere esattamente a quali laboratori rivolgersi.

Per capire meglio di cosa si è parlato durante il convegno, abbiamo intervistato la Professoressa Rossella Marcucci, responsabile scientifico dell’evento.

Prof.ssa Marcucci, che cos’è la HIT?

È una reazione immunomediata avversa ad un farmaco (l’eparina), caratterizzata da una riduzione del numero delle piastrine (al di sotto del 50% dei valori basali del soggetto), che può determinare trombosi venose o arteriose, anche di grave entità. La reazione di per sé è rara ma il farmaco è di larghissimo impiego per cui alla fine i numeri di questa condizione sono tutt’altro che trascurabili.


Quando sospettarla?

Il dato clinico che fa sorgere il sospetto della HIT è proprio la trombocitopenia, cioè la caduta del 50% della conta piastrinica (in un paziente in terapia con eparina n.d.r). Non è tanto importante il numero assoluto delle piastrine (che può anche essere sopra le 150 0000/µL, quindi nel range di “normalità”) ma quanto cala nel tempo (di solito nei primi 5-14 gg dall’inizio della terapia). Per poter valutare questo calo dovremmo avere un valore “basale” della conta piastrinica (prima di iniziare la terapia con eparina), e questo non è sempre disponibile. Inoltre, il sospetto clinico parte con la comparsa di un evento trombotico che può essere venoso o arterioso, un evento inatteso perché si sta verificando in un paziente al quale io sto somministrando una terapia anticoagulante come l’eparina.


Quali sono i pazienti più a rischio?

Sono più a rischio le donne (come in tutte le reazioni immunomediate), i pazienti in terapia con eparina non frazionata (ENF) rispetto a quelli in trattamento con eparina a basso peso molecolare (EBPM), e sono più colpiti alcuni setting clinici (l’emodialisi, il post-operatorio, in particolare dopo chirurgia ortopedica e cardiochirurgia).


È indicato fare un emocromo per il controllo della conta piastrinica in tutti i pazienti che assumono eparina? Quando è meglio farlo?

Tutte le volte che diamo l’eparina dovremmo tenere in mente la possibilità di sviluppo della HIT. Quindi, quando si prescrive eparina, dovremmo aggiungere la prescrizione di un emocromo da fare nel lasso di tempo giusto (all’incirca dopo 1 settimana). Questa indicazione “di buon senso”, spesso nelle raccomandazioni viene un po’ mitigata per motivi “pratici” o “economici” (“non si può fare tutto a tutti”). Tuttavia, sicuramente è indicato fare il monitoraggio della conta piastrinica nei pazienti a più alto rischio come dopo chirurgia ortopedica o cardiochirurgia entro la prima settimana.


Come si fa la diagnosi una volta che ho il sospetto?

Il primo passo è cercare di standardizzare questo sospetto clinico tramite l’applicazione di uno score che ti dà la misura della probabilità (4T score). Se il 4T score da una probabilità superiore a 3, allora è necessario procedere nell’algoritmo diagnostico e chiedere il supporto del laboratorio che può aiutare facendo la ricerca ed il dosaggio degli anticorpi anti PF4.


Tutti gli ospedali sono dotati della possibilità di fare il dosaggio di questi anticorpi?

Purtroppo, allo stato attuale delle cose no. Il laboratorio deve supportare la HIT con due livelli: il primo livello è il test immunologico che è un test facile. Qui il problema è implementare questa diagnostica, non è una difficoltà di esecuzione. L’importante è dotarsi della diagnostica che consenta di fare questi dosaggi in tempi rapidi (il test ha senso se è rapido rispetto al sospetto clinico), in modo da poter escludere la diagnosi in caso di negatività. Se invece il test immunologico è positivo o dubbio si deve proseguire con una diagnostica di secondo livello, che è il test funzionale di conferma. Quest’ultimo però è appannaggio solo di alcuni laboratori specializzati poiché richiede expertises avanzate. Anche se, nel mondo ideale, tutti i laboratori dovrebbero poter essere in grado di fare questo test, nella realtà può anche essere riservato a pochi laboratori perché è un test che conferma quello che già ha fatto l’esame di primo livello.


Perché è importante il test di conferma?

È necessario perché ci dà la esatta evidenza che questi anticorpi anti-eparina/PF4, che sono stati documentati con il test immunologico, sono effettivamente in grado di attivare le piastrine e quindi di essere la causa di quel quadro clinico. È importante il test di conferma perché quello sarà un paziente a cui io non dovrò più somministrare eparina. Quindi, fare una diagnosi di HIT vuol dire dare “un’etichetta” ad un paziente, che si porterà per tutta la vita, anche di una certa rilevanza perché l’eparina è un farmaco ampiamente utilizzato in molte condizioni cliniche.


Quali sono i laboratori in Italia in grado di fare la diagnostica di secondo livello (test funzionale)?

Esiste una stima disponibile sul sito della SISET (Società Italiana per lo Studio dell’Emostasi e Trombosi). Sono 8 i laboratori già operativi. Va verificata l’adeguata copertura di tutto il territorio nazionale (così come dei test immunologici di primo livello n.d.r) e va creata “la rete” affinché qualsiasi laboratorio, anche decentrato, in assenza della diagnostica per la HIT, sappia esattamente a chi mandare il prelievo in caso di sospetto clinico.


Come si cura la HIT?

Le terapie a disposizione che hanno l’indicazione per il trattamento della HIT sono l’argatroban, che abbiamo già da più tempo, e il danaparoid reso finalmente disponibile di recente in Italia (mentre in altri paesi europei lo era già da tempo). Si tratta di anticoagulanti parenterali (il danaparoid può essere somministrato sia per sottocute che per endovena mentre l’argatroban è solo endovena). Questi riescono a bypassare il meccanismo fisiopatologico che dà la piastrinopenia. Quindi, nel paziente in cui io faccio la diagnosi sospendo la terapia con eparina e faccio questo trattamento.


Nonostante la SISET abbia già pubblicato un 
documento di consenso sulla diagnosi ed il trattamento della HIT¹, dal convegno è emerso come esistano ancora molte “aree grigie”, di incertezza, che interessano, ad esempio, la gestione del paziente con sospetta HIT (quando ancora non ho la diagnosi confermata dal laboratorio ma ho un forte sospetto), la scelta della terapia nelle varie fasi (come e quanto proseguire l’anticoagulazione dopo la fase acuta) o la gestione del trattamento quando i farmaci con l’indicazione specifica non sono disponibili (ma lo sono altri, che anche se contemplati dalle linee guida² sono “off label” come il fondaparinux). Esistono inoltre delle esigenze alle quali andare incontro, come quella di avere laboratori in grado di fare la diagnostica, almeno di primo livello in tutti gli ospedali. Quali sono i “progetti futuri” per fare fronte a questi dubbi e necessità?

La cosa più importante e necessaria è parlare di più di HIT, quindi il primo lavoro è un lavoro di informazione. Il secondo punto è creare una rete dei clinici e dei laboratori che si occupano di questa condizione clinica. Questo “network” è fondamentale perché ci deve dare la misura dell’esistente, di quali sono le aree geografiche che hanno bisogno di supporto. Inoltre, la rete è la condizione per riuscire a raccogliere dei dati italiani, che non abbiamo, su quello che stiamo facendo, i risultati e i possibili effetti collaterali delle terapie.

Le basi di questa rete sono state gettate proprio oggi, durante questo incontro. Come?

Durante questo primo incontro abbiamo cercato di riunire i principali soggetti, clinici e laboratoristi, che si occupano di HIT, li abbiamo messi intorno a dei tavoli a discutere dell’approccio a questo tipo di paziente. Adesso tutti loro riceveranno l’invito ad aderire a questa rete. Esiste un sito, che è www.hitthehit.org dove fare convogliare tutte le risposte. Cercheremo di creare una sorta di “mappa geografica italiana” (dove sono i centri e cosa fanno) e, soprattutto, inizieremo un registro nell’ambito della cornice del progetto START (registro HIT), nel quale inserire tutti i dati dei pazienti.


Bibliografia

  1. Marcucci R, Berteotti M, Gori AM, et al. Heparin induced thrombocytopenia: position paper from the Italian Society on Thrombosis and Haemostasis (SISET). Blood Transfus. 2021;19(1):14-23. doi:10.2450/2020.0248-20
  2. Cuker A, Arepally GM, Chong BH, et al. American Society of Hematology 2018 guidelines for management of venous thromboembolism: heparin-induced thrombocytopenia. Blood Adv. 2018;2(22):3360-3392. doi:10.1182/bloodadvances.2018024489