Si tratta dell’esame per ricercare la presenza di alcuni anticorpi chiamati aPS/PT la cui positività in un soggetto che ha eseguito i tre test previsti dai protocolli potrebbe aggiungere maggiore affidabilità alla diagnosi di sindrome da anticorpi antifosfolipidi.
La sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS) è una condizione clinica autoimmune, relativamente rara, ma potenzialmente devastante. La clinica che tipicamente si associa all’APS è la trombosi arteriosa o venosa e le complicazioni della gravidanza. Sulla fisiopatologia dell’APS, nonostante i progressi degli ultimi anni, si sa ancora poco. Le ricerche dell’ultima decade hanno potuto stabilire con ragionevole certezza che questi anticorpi sono diretti contro i fosfolipidi di membrana a carica negativa, in complesso con alcune (non ancora del tutto identificate) proteine plasmatiche. La patogenesi della trombosi e delle complicanze gravidiche associate all’APS non sono ancora del tutto note, anche se molte ipotesi sono state formulate, facendo così presumere che si possa trattare di fenomeni multifattoriali, come spesso accade in biomedicina.
La diagnosi di laboratorio è di cruciale importanza. Per definire l’APS, il paziente deve possedere due caratteristiche:
- Aver avuto uno o più episodi clinici (v. sopra);
- Essere persistentemente positivo per almeno uno dei seguenti test: anticoagulante lupico (LA), anti-cardiolipina o anti-β2glicoproteina-I (a-β2GPI). Il paziente con triplice positività è considerato a maggiore rischio di sviluppare eventi clinici, rispetto a quello con doppia o singola positività. Infine, esistono pazienti (anche con triplice positività) che restano asintomatici per lungo tempo.
Sebbene negli ultimi anni la situazione sia nettamente migliorata, da un esame della letteratura scientifica e dall’esperienza pratica si capisce come la diagnostica di laboratorio per l’APS sia gravata da una serie di problemi, non ancora interamente risolti. Il problema principale è che un test specifico per i parametri di laboratorio esiste solo per l’anti-cardiolipina e a-β2GPI, anche se questi test necessitano ancora di una migliore standardizzazione. Per il LA non esiste un test specifico e la diagnosi è basata di necessità su evidenze indirette, mediante uso di test fosfolipidi-dipendenti, di difficile standardizzazione e i cui risultati sono spesso di difficile interpretazione. A questo bisogna aggiungere come non ci sia ancora un test accettato, capace di individuare con relativa certezza quei pazienti che pur risultando positivi per i test di laboratorio non sviluppano eventi clinici.
Negli ultimi anni ha guadagnato sempre maggiore credito un test con tecnica immunoenzimatica (ELISA) che identifica nel plasma del paziente degli anticorpi diretti contro il complesso fra la fosfatidil-serina (fosfolipide a carica negativa) e la protrombina (fattore II della coagulazione). Questi anticorpi sono comunemente noti come aPS-PT. Studi recenti hanno permesso di stabilire come l’aggiunta della ricerca aPS/PT al pannello dei test esistenti, possa costituire un progresso nella ricerca di laboratorio per APS. La positività per aPS/PT in un paziente triplo positivo corrobora la diagnosi di APS e il paziente “tetra” positivo ha una maggiore rischio trombotico.
Le molte informazioni sull’associazione di aPS/PT e APS sono però sparse e non esisteva finora una rassegna complessiva e convincente che riunisse le informazioni della letteratura in maniera organica.
Recentemente Zhu R et al (Thromb Res 2022; 214: 106-114), del gruppo del Prof. Pengo hanno curato una pregevole rassegna sistematica di tutti gli studi pubblicati sull’argomento, riportando numeri consistenti sulla prevalenza di positività per aPS/PT in pazienti con APS. Gli autori hanno analizzato 21 studi per un totale di circa 1800 pazienti. La prevalenza stimata per la positività aPS/PT è risultata del 50% per le IgG; 45% IgM e 65% IgG/IgM. Le prevalenze di positività salivano a valori ancora maggiori quando l’analisi veniva effettuata per gruppi omogenei, raggiungendo valori dell’85% nei pazienti con positività per il LA o con triplice positività. Questi ultimi risultati sull’associazione della positività di aPS/PT con il LA supportano l’ipotesi che aPS/PT possa anche essere usato come test surrogato per il LA, nei pazienti anticoagulati. Come è noto in questi pazienti la diagnosi di triplice positività è difficile, perché i test per il LA, a differenza di aPS/PT, che è un test immunoenzimatico, sono influenzati dagli anticoagulanti.
In conclusione, è possibile ipotizzare che le autorità di standardizzazione possano in un futuro prossimo includere anche aPS/PT nel pannello di test per la diagnosi di laboratorio di APS.