Prima c’era solo il warfarin, poi sono arrivati non uno ma 4 farmaci nuovi per la prevenzione dell’ictus nella fibrillazione atriale non valvolare. Mi trovo spesso discutere sull’indicazione dei nuovi farmaci partendo proprio da questo concetto. Qual è la vera definizione di FA non valvolare? Non è una risposta cosi ovvia.
Al di fuori degli studi clinici, FANV non è stato ben definito.

Per convenzione, la definizione di FANV si limita ai casi in cui il disturbo del ritmo si verifica in assenza di stenosi mitralica reumatica o di una valvola cardiaca protesica1.
Questa definizione è stata recepita diversamente nei trial sui Nuovi Anticoagulanti Orali (NOA). Nello studio RE-LY (dabigatran vs warfarin nella FANV), i pazienti con protesi valvolare o malattia valvolare emodinamicamente rilevante sono stati esclusi. Nello studio ROCKET (rivaroxaban vs warfarin nella FANV), sono stati esclusi i pazienti con stenosi emodinamicamente significativa della valvola mitrale o portatori di protesi valvolari; mentre i pazienti sottoposti ad annuloplastica con o senza posizionamento di anello mitralico, commissurotomia e/o valvuloplastica erano ammessi all’arruolamento. Negli studi ARISTOTLE (apixaban vs warfarin nella FANV) ed ENGAGE AF-TIMI 48 (edoxaban vs warfarin nella FANV), i pazienti con stenosi mitralica (moderata o severa) clinicamente significativa o protesi meccaniche sono stati esclusi; rimane un mistero se i pazienti sottoposti a riparazione chirurgica (annuloplastica, commissurotomia, protesi biologiche ecc.) siano stati inclusi o meno. Così, dabigatran, rivaroxaban, apixaban ed edoxaban sono stati utilizzati nella FANV definita in modo diverso.

Bisogna anche chiarire che la valvulopatia aortica (es. stenosi aortica) in un paziente fibrillante è una FANV ed infatti questi pazienti così come quelli con rigurgito della valvola mitrale sono stati inseriti tutti negli studi di registrazione tranne che nello studio RELY (nel quale la definizione della valvulopatia era più generica: “hemodynamically relevant valve disease”). Queste due condizioni (stenosi aortica e insufficienza mitralica) non aumentano infatti il rischio di ictus dovuto alla fibrillazione atriale come invece succede per la stenosi mitralica e per le protesi valvolari meccaniche. Diventa chiaro che il problema è nella definizione non precisa della FANV che esclude condizioni valvolari che a loro volta non hanno una definizione precisa, fatto che è stato accettato dagli organi di sorveglianza (FDA e EMA) che approvano l’uso di un farmaco in una condizione non definita. La confusione regna2 anche tra gli esperti del settore. Un recente sondaggio2 ha trovato importanti eterogeneità e incertezze nelle risposte date dai medici che di solito trattano pazienti con fibrillazione atriale; questo prova come la mancanza di definizioni precise (valvolare / non-valvolare) possa influenzare la pratica clinica e la ricerca.

A fare un po’ di chiarezza (o aumentare la confusione) è stato uno studio su rivaroxaban, recentemente pubblicato. Gli autori hanno fatto una revisione attenta dello studio ROCKET-AF individuando pazienti con significativa malattia valvolare. Secondo la definizione usata3, molti pazienti con “fibrillazione atriale non valvolare” hanno significative lesioni valvolari (SVD) secondo il giudizio del medico che reclutava il paziente nello studio. Il loro rischio di ictus è simile a quello dei pazienti senza lesioni valvolari e dopo aver controllato per i fattori di rischio di ictus, l’efficacia di rivaroxaban rispetto a warfarin è risultata simile nei pazienti con e senza SVD; tuttavia, il rischio di sanguinamento non cerebrale è stato superiore con rivaroxaban in pazienti con SVD.
Il buon senso vorrebbe che tutti i pazienti con stenosi mitralica (di qualsiasi gravità, a mio parere) sia essa reumatica o post-chirurgica o nei pazienti con precedente posizionamento di una valvola cardiaca protesica meccanica non vadano presi in considerazione per questi nuovi agenti farmacologici. Resta qualche dubbio nelle protesi biologiche mitraliche posizionate per stenosi mitralica e nelle commissurotomie mitraliche nelle quali il rischio di tromboembolismo potrebbe essere superiore. L’atrio sinistro ingrandito in queste condizioni potrebbe essere la sede di formazione di trombi mentre nella FANV ‘pura’ questi si formano usualmente solo nella auricola sinistra.
Ma questa è solo un’ipotesi, in fin dei conti, non esiste un chiaro consenso su ciò che definisce veramente “non valvolare” la fibrillazione atriale, soprattutto quando si esaminano i dati a disposizione dei medici su questo tema.

Il termine FANV non sembra appropriato ed è troppo generico per i pazienti che possono beneficiare dei NOA. Non solo questo termine non è rappresentativo, ma non è neanche definito nelle linee guida e può portare alla gestione clinica inadeguata in merito alle indicazioni per la terapia anticoagulante.

E voi che definizione di FANV usate?

Bibliografia

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  2. Molteni M, Polo Friz H, Primitz L, Marano G, Boracchi P, Cimminiello C. The definition of valvular and non-valvular atrial fibrillation: Results of a physicians’ survey. Europace : European pacing, arrhythmias, and cardiac electrophysiology : journal of the working groups on cardiac pacing, arrhythmias, and cardiac cellular electrophysiology of the European Society of Cardiology. 2014
  3. Breithardt G, Baumgartner H, Berkowitz SD, Hellkamp AS, Piccini JP, Stevens SR, Lokhnygina Y, Patel MR, Halperin JL, Singer DE, Hankey GJ, Hacke W, Becker RC, Nessel CC, Mahaffey KW, Fox KA, Califf RM, for the RAFSC, Investigators. Clinical characteristics and outcomes with rivaroxaban vs. Warfarin in patients with non-valvular atrial fibrillation but underlying native mitral and aortic valve disease participating in the rocket af trial. Eur Heart J. 2014