I risultati dello studio STOP-Bleed Cancer, presentati durante il Congresso ISTH 2022 e pubblicato su JAMA, suggeriscono che l’assunzione di tamoxifene in pazienti che necessitino anche di una terapia con anticoagulanti orali diretti possa essere considerata sicura.
I timori legati ad una possibile interferenza tra DOAC e tamoxifene sono nati dalla dimostrazione in vitro che quest’ultimo farmaco è in grado di interferire, inibendole, con le vie di metabolizzazione epatica degli anticoagulanti orali diretti (CYP3A4 e P-gp)2,3. Se questo determini un aumentato rischio di emorragia per chi assume entrambi i farmaci non è ancora stato chiarito, sebbene un piccolo studio osservazionale abbia sollevato il sospetto4.
Fare chiarezza su questa potenziale interazione farmacologica è estremamente rilevate se si considera che neoplasia mammaria è la prima causa di tumore nelle donne ed il 70-80% delle pazienti riceve una terapia ormonale con tamoxifene o inibitori dell’aromatasi (anastrozolo, letrozolo, exemestane). La concomitante assunzione di farmaci anticoagulanti è tutt’altro che rara, soprattutto nella fascia di popolazione più anziana, per la frequente presenza di fibrillazione atriale o la possibile insorgenza di trombosi venosa, il cui rischio è aumentato dal tumore stesso e dalle terapie antitumorali.
Lo studio STOP-Bleed1, condotto dai ricercatori dell’Università di Ottawa (Canada), ha indagato, tramite l’analisi retrospettiva di dati di registro riguardanti pazienti con più di 66 anni, se vi fosse un aumento significativo delle emorragie in chi assumeva DOAC e tamoxifene rispetto a chi assumeva DOAC e inibitori dell’aromatasi (IA). Il confronto è stato fatto con un “comparatore attivo” cioè un farmaco (IA) che viene somministrato nello stesso tipo di pazienti, con la stessa indicazione ma considerato “sicuro” per quanto riguarda la possibilità di interferire con i DOAC.
Lo studio retrospettivo di popolazione ha incluso 4753 pazienti (1179 in terapia con tamoxifene e 3574 con IA). I DOAC utilizzati erano principalmente rivaroxaban (53,2%) e apixaban (35,0%). Ad un follow up mediano di 166 giorni (IQR, 111-527 giorni), un episodio di emorragia maggiore si è verificato nel 3,1% dei pazienti, senza differenze significative tra quelli in terapia con tamoxifene (2,5%) e con inibitori dell’aromatasi (3,3%) (hazard ratio [HR] 0.68 [95% CI, 0.44-1.06]).
Quando l’analisi è stata estesa a “qualsiasi emorragia” che richiedesse una visita in pronto soccorso od un ricovero ospedaliero, un episodio si è verificato 4.7% dei soggetti, anche in questo caso senza differenze significative tra i due gruppi (4.9% in tamoxifene e 4,6% in IA; HR 1.04 [95% CI, 0.75-1.43]). Il tamoxifene non è risultato associato ad un rischio emorragico più elevato neanche ad ulteriori analisi che hanno tenuto in considerazione la funzionalità renale, i primi 90 giorni di follow-up, la durata del tumore e se la terapia con DOAC era stata appena iniziata o era già in corso (in considerazione del rischio di sanguinamento più elevato nel primo periodo dopo l’inizio dell’anticoagulante).
È importante sottolineare come le emorragie maggiori sono state prevalentemente a carico del tratto gastrointestinale (88,5%); l’11,5% dei casi rimanenti si è verificato a livello intracranico. Sebbene non sia stata analizzata la correlazione con la contemporanea assunzione di farmaci che potessero ulteriormente aumentare il rischio di sanguinamento, per un quarto (25%) dei soggetti inclusi nella coorte era nota una concomitante assunzione di FANS e per il 5,8% una terapia antiaggregante. Va precisato che, per le caratteristiche dei registri utilizzati, non è possibile escludere che un numero maggiore di pazienti assumesse FANS (che non necessitano di prescrizione medica in Canada e quindi non vengono registrati). Farmaci gastroprotettori risultavano prescritti nel 44% dei soggetti inclusi.
Pertanto, pur con limiti dello studio retrospettivo ed osservazionale, i ricercatori non hanno individuato elementi di maggiore rischio nell’assunzione concomitante di DOAC e tamoxifene rispetto a DOAC e AI in una popolazione di pazienti di età ≥66 anni, suggerendo che l’utilizzo concomitante di DOAC e tamoxifene sia sicuro quando clinicamente indicato. Tuttavia, va rilevato come, sebbene senza significative differenze tra i farmaci impiegati, il 3,1% di emorragie maggiori (corrispondenti a 29,2 (95% CI, 24,9-34,3) per 1000 anni-persona) ad un follow-up mediano di meno di 6 mesi sia un’incidenza non trascurabile sebbene paragonabile a quanto riportato in precedenza per la trombosi associata a cancro5,6 e giustificata anche dell’età media avanzata dei pazienti presi in esame, con conseguenti comorbilità e politerapie.
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