L’embolia polmonare avviene quando una massa di materiale trombotico (embolo), formatasi nel circolo venoso sistemico o nelle sezioni destre del cuore, si sposta, seguendo il flusso sanguigno, nella circolazione arteriosa polmonare e causa un arresto, parziale o totale, del flusso ematico attraverso il vaso o i vasi interessati.
Epidemiologia
L’EP rappresenta la terza più comune emergenza cardiovascolare dopo l’infarto miocardico acuto e l’ictus cerebrale e costituisce un’importante causa di morbilità e mortalità, nonché la principale causa di morte prevenibile nei pazienti ospedalizzati. In Italia si è stimata un’incidenza di circa 100 nuovi casi per 100.000 persone per anno. L’incidenza dell’EP aumenta progressivamente con l’età, sia negli uomini sia nelle donne, con un picco dopo i 70 anni.
Fattori di rischio
L’EP ha gli stessi fattori di rischio della trombosi venosa profonda, poiché ne costituisce la sua più temibile conseguenza. Tra i fattori di rischio cosiddetti transitori, ovvero associati ad una condizione temporanea e potenzialmente eliminabile, ci sono gli interventi chirurgici, i traumi, l’immobilità prolungata, la gravidanza ed il puerperio, le neoplasie maligne, i contraccettivi orali e la terapia ormonale sostitutiva. I fattori di rischio costituzionali, cioè non modificabili, comprendono l’età, il sesso, i precedenti eventi tromboembolici venosi e la trombofilia, cioè le alterazioni dell’emostasi, ereditarie o acquisite, che rendono un individuo a più alto rischio di sviluppo di trombosi.
Sintomi
La presentazione clinica dell’EP comprende un ampio spettro di manifestazioni che variano da lieve difficoltà respiratoria ad uno stato di shock o marcata ipotensione a seconda dell’entità dell’ostruzione vascolare, del numero, della grandezza e localizzazione degli emboli, delle comorbilità del paziente. Altre volte, l’EP può decorrere asintomatica ed essere diagnosticata in seguito all’esecuzione di procedure diagnostiche, come la TC, richieste per altri motivi. Tuttavia, vi sono sintomi che, di fronte ad un paziente che presenti i fattori di rischio per EP, costituiscono segnali di allarme: la difficoltà respiratoria, il dolore toracico, la sensazione di deliquio o la perdita di coscienza, la tosse, l’espettorato striato di sangue o francamente ematico.
Diagnosi
Una buona valutazione clinica iniziale è il primo passo nel corretto approccio al paziente con sospetta EP: per tale motivo sono stati creati e validati score (gradi) di rischio che esprimono la probabilità clinica di EP, dalla quale, come indicato nelle linee guida, non è possibile prescindere per una corretta diagnosi. Infatti, è sulla base della probabilità clinica di malattia che si decide se sottoporre il paziente ad indagini più mirate. L’ esame radiologico ad oggi più indicato ed utilizzato per la diagnosi di certezza di EP è la TC del polmone con studio dei vasi (angio-TC).
Terapia
La terapia dell’EP dipende dalla gravità del quadro clinico d’esordio: i pazienti instabili da un punto di vista emodinamico vengono trattati con farmaci trombolitici per via endovenosa sistemica o, in alcuni centri, con tecniche di disostruzione meccanica eventualmente associate a trombolisi locoregionale. Nei pazienti stabili s’intraprende una terapia anticoagulante con eparina a basso peso molecolare o fondaparinux, da embricare con antagonisti della vitamina K o, più spesso, da proseguire, dopo almeno 5 giorni, con inibitori diretti del fattore X attivato (edoxaban) o della trombina (dabigatran). Nei pazienti a basso rischio è possibile iniziare direttamente i farmaci orali con una dose iniziale di carico (rivaroxaban e apixaban). La durata della terapia anticoagulante è controversa: le linee guida raccomandano un trattamento di almeno 3 mesi da proseguire più a lungo in pazienti selezionati sulla base del rischio di recidiva e del rischio emorragico.