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Il trapianto renale (TR) costituisce la terapia d’elezione per la maggior parte dei pazienti con insufficienza renale cronica terminale (IRC). Tuttavia, nonostante i notevoli progressi realizzati in campo medico, le problematiche poste dal TR sono numerose.

Il miglioramento della sopravvivenza a lungo termine ha fatto sì che un maggior numero di pazienti sia esposto al rischio di complicanze tardive. In particolare è stata segnalata una maggior tendenza alla comparsa di complicanze tromboemboliche venose (TEV) che possono incidere sull’outcome del paziente trapiantato renale sia a breve che a lungo termine.
L’elevata incidenza di TEV nei trapiantati renali è verosimilmente secondaria alla spiccata attivazione della coagulazione. Questa è in parte legata ai classici fattori di rischio, in parte a condizioni direttamente correlate al TR, quali la terapia immunosoppressiva (IS), l’iperomocisteinemia, l’infezione da Cytomegalovirus (CMV). Inoltre nei pazienti con TR e precedente episodio di TEV è stata rilevata un’elevata incidenza di recidiva, dopo la sospensione della terapia anticoagulante.
La trombosi del rene trapiantato rappresenta una seria complicanza, responsabile delle precoci perdite renali, secondaria solitamente a trombosi della vena renale. Le trombosi venose profonde (TVP) possono insorgere nell’immediato post trapianto, legate all’intervento chirurgico o più tardivamente secondarie al persistente stato di ipercoagulabilità.

INTRODUZIONE

I moderni regimi terapeutici immunosoppressivi ed i progressi raggiunti dalle tecniche chirurgiche hanno migliorato notevolmente la sopravvivenza dell’organo trapiantato e del paziente. La terapia post trapianto ha assunto un’importanza sempre più elevata in termini di risultato clinico. Gli obiettivi consistono nel ridurre il rischio di insorgenza di complicanze, migliorare la qualità di vita del paziente e contrastare morbilità e mortalità post operatorie. I pazienti sottoposti a TR presentano una più elevata incidenza di eventi tromboembolici per inadeguata fibrinolisi e per un persistente stato di ipercoagulabilità1-3. Le Linee Guida dell’American College of Chest Physicians identificano i pazienti trapiantati renali come gruppo a moderato rischio d’insorgenza di fenomeni tromboembolici, pur raccomandando una tromboprofilassi routinaria, includendo anche la terapia anticoagulante4.
I pazienti candidati al TR vengono studiati, prima dell’intervento chirurgico, e stratificati a seconda dei fattori di rischio per ottimizzare il trattamento anticoagulante nel post TR. Devono essere valutati: severità di un eventuale evento trombotico precedente, problematiche insorte durante il confezionamento dell’accesso vascolare, la presenza di markers di trombofilia5.

TROMBOSI DEL TRAPIANTO RENALE

La trombosi del rene trapiantato rappresenta una seria complicanza del post-trapianto. Responsabile del 2-7% delle precoci perdite renali6, secondaria solitamente a trombosi della vena renale, insorge più frequentemente nei dieci giorni successivi al TR. La trombosi della vena renale può insorgere anche più tardivamente (anche dopo quindici giorni dal TR), secondaria a compressione da linfocele o da formazione cistica ovarica7.
Le cause più frequenti della trombosi del graft possono essere correlate o al rene trapiantato, o al ricevente o ai farmaci somministrati.

  1. Errori tecnici durante le procedure chirurgiche;
  2. Anomalie anatomiche vascolari del rene donato;
  3. Età del donatore, sia donatore in età pediatrica, sia donatori anziani subottimali;
  4. Tempo di ischemia fredda;
  5. Età del ricevente, riceventi dell’età pediatrica per discrepanza delle dimensioni dei vasi;
  6. Tipologia del trattamento dialitico precedente all’intervento di TR: più frequente nei pazienti sottoposti a trattamento dialitico peritoneale continua (CAPD)8;
  7. Diabete mellito;
  8. In corso di Necrosi Tubulare Acuta e di Ritardata Ripresa Funzionale del TR;
  9. In corso di Rigetto Acuto Renale;
  10. Anomalie dei fattori di coagulazione: deficit di antitrombina III, mutazione del fattore V di Leiden, mutazione per il gene di protrombina, deficit di proteina C e S, presenza di anticorpi antifosfolipidi, presenza di lupus anticoagulant, iperomocisteinemia9-11;
  11. Ipovolemia per eccessiva disidratazione;
  12. Terapia IS: terapia corticosteroidea12, inibitori delle calcineurine, ciclosporina13 e tacrolimus, anticorpi monoclonali, OKT314 e timoglobuline15.

Il quadro clinico è caratterizzato, in alcuni casi dopo un’ottima ripresa funzionale, da dolore in sede di TR, ingrandimento del graft, ematuria, oliguria, sino all’anuria con successiva perdita irreversibile della funzione renale 16. L’incidenza massima di trombosi vascolare avviene dopo 48 ore dal TR ed eccezionalmente può insorgere dopo sette giorni. Il sospetto diagnostico di trombosi del TR, necessita di una valutazione immediata, perché la situazione può regredire, se opportunamente diagnosticata e trattata. L’ecocolordoppler può documentare la mancata perfusione dell’organo trapiantato, con successiva conferma all’AngioTAC.
L’eparina a basso peso molecolare viene indicata come terapia efficace e sicura per la prevenzione della trombosi del graft. I pazienti con riconosciuti markers di trombofilia, diagnosticati precedentemente all’intervento e/o con suggestiva storia clinica, devono essere sottoposti ad una prolungata terapia anticoagulante.

TROMBOSI VENOSE PROFONDE

L’incidenza di TVP nei pazienti con TR riportata in letteratura varia da 0.6 a 25%17. Tuttavia, studi di numerosità maggiore rilevano un’incidenza pari al 9% nei dieci anni successivi all’intervento di TR. Uno studio nord-americano18 riporta un’incidenza pari al 1.5%. Trattandosi però di uno studio effettuato sulle richieste di risarcimento Medicare e su un periodo di osservazione di soli tre anni, probabilmente sottostima la reale incidenza della malattia.
Le TVP possono risultare asintomatiche nel 39% dei casi ed insorgere abitualmente nei primi dodici mesi post TR, anche se si riconoscono due diverse fasi d’insorgenza: eventi precoci (1-5 mesi dal TR, preferibilmente in sede omolaterale al TR, evento legato all’intervento chirurgico) ed eventi tardivi (senza una sede preferenziale, legati ad uno stato di ipercoagulabilità). Le diverse caratteristiche cliniche con cui la TVP si presenta nel post TR e la particolare tendenza alla recidiva19, indicherebbero la necessità di prosecuzione della terapia anticoagulante oltre i termini indicati dalle Linee Guida. I numerosi studi sul trattamento delle TVP in fase acuta e sulla durata della profilassi secondaria sono ben conosciuti ed hanno condotto infatti alla redazione di Linee Guida consolidate, ma non sono ancora disponibili studi circa la durata della profilassi secondaria nei pazienti sottoposti a TR.
Le cause di insorgenza di TVP in corso di TR riconoscono i classici fattori di rischio e fattori di rischio più strettamente legati al TR.
I principali fattori responsabili sono:

  1. Età avanzata sia del donatore che del ricevente;
  2. Livello dei valori della creatininemia e dei valori di filtrato ad un anno dal trapianto; più elevati risultano i valori di creatininemia e minori valori di filtrato ad un anno dal TR, più frequente risulterebbe l’insorgenza di TVP.
  3. Rene policistico;
  4. Elevato indice di massa corporea;
  5. Modalità del trattamento dialitico precedente al TR; più frequenti se i pazienti erano stati sottoposti a CAPD;
  6. Eritrocitosi20;
  7. Infezione da CMV, con modificazione del fenotipo endoteliale da anticoagulante a pro coagulante21.

Le complicanze più frequenti delle TVP alle vene femorali e poplitee, sono la trombosi del rene trapiantato e l’embolia polmonare (EP). Alcuni dati indicano che nel 95% dei casi, l’EP origina da trombosi del sistema venoso profondo e che circa il 25% delle TVP nel TR dà origine ad EP. Le misure generali per ridurre il rischio d’insorgenza di TVP comprendono la somministrazione di eparina a basso peso molecolare (LMWH) e precoce mobilizzazione. La profilassi con basse dosi di LMWH per 3-4 settimane viene utilizzata come terapia standard di prevenzione delle TVP dopo TR. La terapia anticoagulante deve essere proseguita con dicumarolici per oltre un anno nei pazienti con riconosciuti fattori di rischio.

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