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Un grande numero di pazienti, solo in Italia oltre due milioni, riceve trattamenti anticoagulanti a lungo termine per la prevenzione del tromboembolismo venoso, delle complicanze cardioemboliche (stroke ed embolie arteriose periferiche) nella fibrillazione atriale e nelle patologie delle valvole cardiache (valvulopatie e protesi valvolari).

Per il progressivo invecchiamento della popolazione i pazienti in trattamento anticoagulante orale sono sempre più anziani e quindi, sempre più frequentemente, richiedono procedure chirurgiche. Si stima infatti che, ogni anno, il 10% circa dei pazienti che assumono terapie anticoagulanti richieda l’interruzione del trattamento per chirurgia o procedure invasive. Tra gli interventi chirurgici nei pazienti anziani la cataratta rappresenta sicuramente l’intervento più frequente.
In questi casi la sfida per il medico è decidere se interrompere o proseguire il trattamento, dopo aver accuratamente valutato il bilancio tra il rischio emorragico (dovuto all’intervento ed al singolo paziente) ed il rischio tromboembolico del singolo paziente.

Grazie a tecniche sempre più innovative e meno invasive la chirurgia della cataratta è oramai divenuta una procedura a basso rischio emorragico. Si tratta infatti di un intervento mini-invasivo che prevede, previa instillazione di anestesia topica (mediante instillazione di collirio anestetico), un’incisione in cornea chiara (avascolare), la facoemulsificazione del cristallino e l’impianto di lenti pieghevoli, riducendo pertanto al minimo i rischi di sanguinamento intra/post-operatorio nei casi di cataratta semplice.
In questi casi, quindi, la sospensione del trattamento anticoagulante esporrebbe il paziente ad un rischio di complicanze trombotiche superiore rispetto al rischio emorragico legato all’intervento in anestesia topica; la raccomandazione è pertanto quella di non sospendere il trattamento anticoagulante.

Il rischio emorragico risulta invece più elevato in caso di anestesia retro-peribulbare e nei casi di cataratta complicata (es. “floppy-iris sindrome”, pseudoexfoliatio, facodonesi). In queste situazioni più complesse è pertanto fondamentale la valutazione pre-operatoria del paziente e la decisione sulla prosecuzione o sospensione del trattamento dovrebbe essere presa collegialmente sulla base del rischio tromboembolico del paziente ed il rischio emorragico legato all’intervento.

Nel caso in cui fosse indicata la sospensione dell’anticoagulante orale devono essere seguite le linee guida dei Centri FCSA che stabiliscono il numero di giorni di sospensione necessari per ristabilire il normale assetto coagulativo: 5 giorni nel caso del Coumadin (warfarin), 3 giorni per il Sintrom (acenocumerolo) che ha emivita più breve. Due giorni dopo la sospensione dovrà essere iniziato, come indicato nelle LG FCSA, il bridging con eparina a basso peso molecolare (EBPM) in dose profilattica o sub-terapeutica, a seconda del rischio trombotico del paziente.
Il trattamento anticoagulante verrà successivamente ripreso lo stesso giorno dell’intervento, mantenendo associata la profilassi eparinica finchè i valori di INR non rientreranno nel range terapeutico.

Nel caso di trattamento anticoagulante orale condotto con farmaci anticoagulanti orali ad azione diretta (DOAC), in caso di necessità di sospensione, è indicata l’interruzione del trattamento anticoagulante per un periodo più breve rispetto ai farmaci AVK, in considerazione della più breve emivita (generalmente 24-48 ore prima dell’intervento, considerando anche la funzionalità renale) e non è indicato il bridging con eparina.

Se sei un professionista guarda la presentazione della dott.ssa Oriana Paoletti al 3° convegno di Fondazione Arianna Anticoagulazione