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Sono stati recentemente resi i noti su Journal of Clinical Oncology i dati di uno studio di confronto tra dalteparina e un anticoagulante orale diretto, il rivaroxaban, per il trattamento del tromboembolismo venoso (TEV) nei pazienti con cancro.

Si tratta del trial SELECT-D1, uno studio inglese randomizzato multicentrico open-label che ha incluso oltre 400 pazienti con cancro in fase attiva (il 58% dei quali aveva malattia metastatica all’ingresso nello studio) e diagnosi di TEV (embolia polmonare o trombosi venosa profonda prossimale).

I pazienti sono stati equamente randomizzati a ricevere lo standard of care (dalteparina 200 UI/kg per il primo mese di trattamento, seguito da dalteparina 150 UI/kg fino a 6 mesi di terapia) o rivaroxaban al dosaggio approvato per il trattamento del TEV (ovvero 15 mg per 2 volte al giorno per le prime 3 settimane, seguito da 20 mg/die fino a 6 mesi di terapia). Dopo i primi sei mesi di trattamento i pazienti con diagnosi di trombosi venosa profonda sono stati sottoposti a una rivalutazione mediante esame CUS (compression ultrasonography): se veniva evidenziato un residuo venoso significativo, ed in caso di embolia polmonare associata, i pazienti venivano ulteriormente randomizzati a 6 mesi di rivaroxaban o placebo.

I pazienti sono stati seguiti con visite trimestrali per i primi 12 mesi e successivamente semestrali fino a 24 mesi dall’inclusione nello studio. L’obiettivo primario dello studio è stato costituito dalla recidiva di TEV; l’endpoint di sicurezza è stato rappresentato dai sanguinamenti maggiori o clinicamente rilevanti. I risultati dello studio mostrano che il tasso di recidiva di TEV dopo 6 mesi di trattamento è stato dell’11% con dalteparina e del 4% con rivaroxaban (HR 0.43); per quanto riguarda la sicurezza, il tasso di sanguinamenti maggiori è stato del 4% con dalteparina e del 6% con rivaroxaban (HR 1.83) mentre l’incidenza di emorragie clinicamente rilevanti è stato del 4% con dalteparina e del 13% con rivaroxaban (HR 3.76). Si è trattato per lo più di emorragie gastrointestinali, mentre non è stata registrato nessun sanguinamento cerebrale. È da sottolineare che la maggior tendenza al sanguinamento registrata nel braccio rivaroxaban era massimamente rappresentata nel sottogruppo di pazienti con cancro gastro-esofageo.

In conclusione, l’uso di rivaroxaban per il trattamento del TEV nei pazienti oncologici è associato a un basso rischio di recidiva ma a un maggior rischio di sanguinamento, sia maggiore che clinicamente rilevante.

Sebbene non sia possibile fare confronti indiretti tra studi clinici, i risultati dello studio SELECT-D1 sono in linea con quanto dimostrato nel trial Hokusai VTE Cancer2 in cui edoxaban si è dimostrato migliore in termini di efficacia rispetto a dalteparina a spese di un maggior rischio di sanguinamento, anche in questo caso a carico principalmente del tratto gastro-enterico.

Alla luce di questi risultati appare sempre più evidente che gli anticoagulanti diretti possano rappresentare una valida alternativa all’eparina a basso peso molecolare nella terapia del TEV nei pazienti oncologici con l’eccezione forse dei soggetti affetti da cancro del tratto gastro-enterico nei quali questa classe di farmaci si è dimostrata meno sicura rispetto allo standard of care.


Bibliografia

  1. Young AM, Marshall A, Thirlwall J, et al. Comparison of an Oral Factor Xa Inhibitor With Low Molecular Weight Heparin in Patients With Cancer With Venous Thromboembolism: Results of a Randomized Trial (SELECT-D). J Clin Oncol 2018; 36:2017-2023.
  2. Raskob GE, van Es N, Verhamme P, et al: Edoxaban for the treatment of cancer: Associated venous thromboembolism. N Engl J Med 2018; 378:615-624.