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Fine di una leggenda. O forse solo di un mito che ci siamo creati da soli. Ci si è via via sgretolato tra le mani un bel giocattolo. Il farmaco che doveva, a basso costo ed a basso rischio, prolungare la vita è crollato miseramente sotto una serie di colpi implacabili.

Già ne era stato via via ridimensionato il ruolo nella prevenzione secondaria delle complicanze dell’arteriosclerosi. Da anni si era capito che l’aspirina era virtualmente priva di utilità per la prevenzione secondaria dello stroke ischemico e per l’arresto della progressione della malattia aterosclerotica degli arti inferiori; del tutto recentemente è poi apparso chiaro che perfino nella sola roccaforte che ancora le era rimasta (la prevenzione secondaria della cardiopatia ischemica) il vantaggio dell’aspirina da sola è modesto, e nettamente amplificato dall’associazione con basse dosi di rivaroxaban1.

Ma ci si aggrappava alla speranza che protesse proteggere almeno i soggetti altrimenti sani che il comune sentire percepisce ad aumentato rischio cardiovascolare per l’età, la familiarità, l’abitudine al fumo, la sedentarietà, l’obesità, il diabete, l’ipercolesterolemia e quant’altro. Centinaia di milioni di persone in tutto il mondo hanno preso o stanno prendendo basse dosi di aspirina per questa indicazione, alla quale si era di recente aggiunta anche una presunta capacità di prevenire il cancro, soprattutto a carico dell’apparato gastrointestinale. Si sapeva che aumentava il rischio di emorragia, soprattutto a carico del tratto gastrointestinale, e che provocava gastriti e reflussi, ma si credeva che ne valesse la pena. Ora anche questa speranza sembra tramontata.

Tutto è iniziato alla fine di agosto con la pubblicazione nel NEJM dei risultati dello studio ASCEND, in cui oltre 15.000 soggetti con diabete esenti da manifestazioni aterosclerotiche sintomatiche erano stati randomizzati ad aspirina a basse dosi od a placebo ed erano stati seguiti mediamente per 7 anni2. Come ricorderete, il vantaggio modesto ma significativo conferito dall’aspirina per la prevenzione del rischio cardiovascolare era stato interamente vanificato dall’incidenza di emorragie maggiori, soprattutto a carico dell’apparato gastroenterico.

Benchè avessi temuto il peggio, e mi fossi spinto (con lungimiranza o più probabilmente con una buona dose di fortuna) a negare uno spazio ulteriore dell’aspirina per la prevenzione primaria del rischio cardiovascolare, anche e soprattutto in soggetti non diabetici, non potevo immaginare che la fine era dietro l’angolo. Difatti in fin dei conti nell’ASCEND un vantaggio in termini di efficacia c’era stato, e pertanto si poteva ancora ipotizzare che una più attenta selezione dei soggetti candidati alla profilassi aspirinica potesse consentire di individuare quelli con una più favorevole attesa terapeutica. Non è stato così. I risultati dei tre studi ASPREE, pubblicati in rapida successione nel NEJM della fine di settembre (3-5), hanno distrutto quel poco che restava.

Studi ASPREE. Vediamo anzitutto il disegno generale, comune ai tre articoli. Fra il 2010 ed il 2014 quasi 20.000 soggetti sani di ambo i sessi di età > 70 anni sono stati arruolati in programma che prevedeva l’assegnazione in doppio cieco controllato a basse dosi di aspirina (100 mg/die) o placebo a condizione che fossero ‘sani’, cioè esenti da una storia di complicanze sintomatiche dell’aterosclerosi e non avessero demenza o disabilità. Il programma si è svolto in Australia e negli Stati Uniti (dove era ammesso il reclutamento anche di soggetti di età > 65 anni a condizione che fossero di razza negra o ispanici). I due gruppi erano assolutamente confrontabili per età (> 75 nella metà dei partecipanti), sesso (maschile nel 44%), abitudine al fumo, obesità, diabete, ipertensione, dislipidemia, insufficienza renale, precedente uso di aspirina, uso all’ingresso nello studio di statine, beta-bloccanti, farmaci anti-infiammatori non steroidei o inibitori della pompa protonica. L’end-point primario era un aggregato di morte, demenza o persistente disabilità fisica (considerando per l’analisi quello dei tre che si presentava per primo). End-points secondari erano la mortalità totale, considerata separatamente, l’emorragia maggiore e la malattia cardiovascolare (definita come coronaropatia fatale, infarto miocardico non fatale, ictus fatale e non fatale, ospedalizzazione per scompenso cardiaco). L’aderenza al trattamento, valutata alla conclusione dell’ultimo anno di follow-up, risultò sovrapponibile nei due gruppi (62.1% nel gruppo aspirina e 64.1% nel gruppo placebo).

ASPREE 13. Dei 19.114 soggetti inclusi nel trial, 9525 furono assegnati all’aspirina e 9589 al placebo. Dopo un’osservazione mediana di 4.7 anni la frequenza annuale degli eventi aggregati nell’end-point primario di efficacia risultò 21.5% tra i soggetti assegnati all’aspirina e 21.2% tra quelli assegnati al placebo (HR = 1.01; 95% CI: 0.92 – 1.11; P = 0.79) [Figura 1]. Non si registrarono differenze significative tra i due gruppi di trattamento per alcuno dei tre end-points (morte, demenza, disabilità fisica) considerati separatamente. L’incidenza di emorragie maggiori risultò significativamente più alta tra i soggetti assegnati all’aspirina (3.8%) che tra quelli assegnati al placebo (2.8%; HR = 1.38; 95% CI: 1.18 – 1.62; P<0.001).


Figura 1. ASPREE 1. Incidenza cumulativa di morte, demenza e disabilità fisica nei due gruppi di trattamento

 

ASPREE 24. Obiettivo: mortalità totale. Il disegno riproduce ovviamente quello dell’articolo precedente, ma per l’accertamento della mortalità totale furono computati anche i decessi accaduti dopo la presentazione per demenza o disabilità fisica. Globalmente, durante il follow-up mediano di 4.7 anni furono registrati 1052 decessi. La frequenza annuale di decessi risultò 12.7% tra i soggetti assegnati all’aspirina e 11.1% tra quelli assegnati al placebo (HR = 1.14; 95% CI: 1.01 – 1.29). Il fattore che maggiormente contribuì a creare la significativa differenza tra i due gruppi fu il cancro: la frequenza annuale di morte per cancro risultò infatti 3.1% tra i soggetti assegnati all’aspirina e 2.3% tra quelli assegnati al placebo (HR = 1.31; 95% CI: 1.10 – 1.56) [Figura 2]. Sono interessanti i rilievi che la differenza tra i due gruppi si slatentizzò a partire dalla conclusione del terzo anno di follow-up, coerentemente con un proporzionale aumento dello sviluppo di malattia neoplastica; e che la malattia che principalmente determinò la differenza fu proprio il cancro gastro-intestinale, cioè quello che indirette evidenze sin qui disponibili suggerivano più efficacemente prevenuto dall’aspirina.


Figura 2. ASPREE 2. Incidenza cumulativa di mortalità associata a cancro nei due gruppi di trattamento

 

ASPREE 35. Obiettivo: incidenza di complicanze cardiovascolari e di emorragie maggiori. Il disegno riproduce ovviamente quello dei due articoli precedenti. Dopo il completamento del follow-up previsto, la frequenza annuale di complicanze cardiovascolari (coronaropatia fatale, infarto miocardico non fatale, ictus fatale e non fatale, ospedalizzazione per scompenso cardiaco) risultò del tutto sovrapponibile tra i soggetti assegnati all’aspirina (10.7%) e quelli assegnati al placebo (11.3%; HR = 0.95; 95% CI: 0.83 – 1.08) [Figura 3]; e quella di emorragie maggiori significativamente più alta tra i pazienti assegnati all’aspirina (8.6%) che tra quelli assegnati al placebo (6.2%; HR = 1.38; 95% CI: 1.18 to 1.62; P<0.001) [Figura 4]. E’ interessante il rilievo che anche quando l’analisi delle complicanze cardiovascolari era limitata ai soli eventi prevenibili dall’aspirina (cardiopatia ischemica e ictus ischemico) non si registrava alcuna apprezzabile differenza tra i due bracci di trattamento.


Figura 3. ASPREE 3. Incidenza cumulativa di eventi cardiovascolari nei due gruppi di trattamento


Figura 4. ASPREE 3. Incidenza cumulativa di complicanze emorragiche maggiori nei due gruppi di trattamento

 

Commento. Potrei anche non fare alcuna considerazione, i risultati si commentano da soli. Ma alcune cose le voglio dire, anche se abbastanza scontate. Cominciamo con un aspetto formale. C’era bisogno di tre articoli separati per descrivere i risultati osservati nella stessa coorte? Il NEJM abitualmente non si presta a queste che potremmo chiamare eufemisticamente esigenze pubblicative, ne ho vissuto diverse esperienze dirette. Ma qui c’era bisogno di far crollare un mito, e farlo crollare in modo impietoso e conclusivo. In questo senso si inserisce anche la logica di avvicendare i tre articoli ASPREE all’ASCEND a poche settimane di distanza. Un primo attacco, importante ma non conclusivo, alla fine di agosto; il secondo, demolitivo, a tre settimane di distanza.

I fautori dell’aspirina che, credetemi, non scompariranno domani, diranno che alla differenza in termini di mortalità totale ha contribuito in modo determinante l’eccesso di mortalità cancro-indotta, e che lo sviluppo di neoplasie e la loro evoluzione non facevano parte degli obiettivi dichiarati dello studio4. A questo proposito diranno che la differenza in termini di sviluppo di neoplasie è in così chiara controtendenza rispetto alle segnalazioni del passato da essere poco verosimile. Sono argomentazioni giuste, ma di scarso valore. Se diamo l’aspirina ad un soggetto per la prevenzione del rischio cardiovascolare, questo è il solo obiettivo che ci proponiamo, e ci interessa che sia raggiunto ad un costo, in termini di complicanze emorragiche, che non ne vanifichi l’efficacia. Nell’ASCEND il rapporto beneficio-rischio tra i due gruppi di diabetici era almeno confrontabile2, nell’ASPREE totalmente sbilanciato dalla parte delle emorragie5. Se già il risultato dell’ASCEND era infelice, in che altro modo interpretare quello dell’ASPREE?

Diranno che il computo delle complicanze cardiovascolari era fatto includendo lo scompenso cardiaco, non automaticamente prevenibile dall’aspirina. Come ho già detto nella descrizione dell’ASPREE 3, anche quando lo scompenso cardiaco è escluso dall’analisi dei risultati non si osserva alcuna apprezzabile differenza tra i due gruppi di trattamento in termini di efficacia5.

Diranno che i risultati di questi studi si possono applicare solo ai diabetici e/o ai soggetti con più di 70 anni. In quale altro contesto si potrebbe più appropriatamente testare il valore dell’aspirina per la prevenzione primaria del rischio cardiovascolare?

Diranno che l’aderenza al trattamento, molto alta nei primi tre anni, ha poi declinato fino ad attestarsi su valori di poco superiori al 60% alla fine del follow-up. E’ un declino fisiologico, è avvenuto contestualmente nei due gruppi. Già dopo il completamento dei primi tre anni i risultati disponibili indicavano un palese orientamento verso quello finale. Ad eccezione della mortalità, in gran parte cancro-dipendente. Se il cancro si è manifestato più frequentemente nel gruppo assegnato all’aspirina, si potrebbe ipotizzare una perdita dell’efficacia preventiva dell’aspirina ai fini del suo sviluppo. Ma che importa? L’ho già detto, se diamo l’aspirina lo facciamo per prevenire l’infarto, non il cancro. E poi lo studio ASCEND, che aveva questo tra gli obiettivi dichiarati negli oltre 15.000 diabetici arruolati per quella poderosa indagine, non ha dimostrato alcun vantaggio per il raggiungimento di questo altrimenti improbabile obiettivo.

Sorpresa? No, l’ho già detto nel background iniziale. L’efficacia dell’aspirina da sola era già stata recentemente più volte messa in pesante discussione perfino per il raggiungimento degli obiettivi della prevenzione secondaria. Era poco verosimile un suo ruolo nella prevenzione primaria. I risultati sono coerenti con quelli di una recente meta-analisi di 8 trials destinati alla prevenzione primaria nella totalità della popolazione, inclusiva di soggetti di età inferiore a 70 anni6. Per dirla con le parole di Andersen in una sua famosa fiaba, il re era nudo. Bisognava che qualcuno lo dicesse. Ora è stato detto.

È l’uscita definitiva di scena dell’aspirina per questa indicazione? Francamente non lo so, in Medicina non si è mai sicuri di niente. Per prudenza, come ho indicato nel titolo, preferisco parlare di un ridimensionamento del suo ruolo. Ma se dovessimo alla fine del percorso, come io prevedo, rimanere veramente orfani dell’aspirina, c’è qualcos’altro che possiamo fare? Certo che si. L’abolizione del fumo, la correzione del peso corporeo, il controllo della pressione arteriosa e dell’assetto lipidico, l’adeguata terapia del diabete, lo svolgimento di attività fisica regolare, l’attenzione alla scelta di alimenti sani, leggeri ed equilibrati, l’assunzione di una moderata quantità giornaliera di alcool (solo per fare alcuni esempi di un sano stile di vita) offrono su di un piatto d’argento quello che impropriamente abbiamo chiesto per decenni ad un farmaco che, oltre che inutile, era anche pericoloso. Ivi inclusa la prevenzione delle malattie neoplastiche, di cui lo stile di vita è di gran lunga il più valido strumento.


Bibliografia

  1. Eikelboom JW, Connolly SJ, Bosch J, et al; COMPASS Investigators. Rivaroxaban with or without aspirin in stable cardiovascular disease. N Engl J Med 2017;377:1319-30.
  2. ASCEND Study Collaborative Group. Effects of aspirin for primary prevention in persons with diabetes mellitus. N Engl J Med 2018 Aug 26. doi: 10.1056/NEJMoa1804988. [Epub ahead of print]
  3. McNeil JJ, Woods RL, Nelson MR, et al; ASPREE Investigator Group. Effect of aspirin on disability-free survival in the healthy elderly. N Engl J Med 2018 Sep 16. doi: 10.1056/NEJMoa1800722. [Epub ahead of print]
  4. McNeil JJ, Nelson MR, Woods RL, et al; ASPREE Investigator Group. Effect of aspirin on all-cause mortality in the healthy elderly. N Engl J Med 2018 Sep 16. doi: 10.1056/NEJMoa1803955. [Epub ahead of print]
  5. McNeil JJ, Wolfe R, Woods RL, et al; ASPREE Investigator Group. Effect of aspirin on cardiovascular events and bleeding in the healthy elderly. N Engl J Med 2018 Sep 16. doi: 10.1056/NEJMoa1805819. [Epub ahead of print]
  6. Guirguis-Blake JM, Evans CV, Senger CA, O’Connor EA, Whitlock EP. Aspirin for the primary prevention of cardiovascular events: a systematic evidence review for the U.S. Preventive Services Task Force. Ann Intern Med 2016;164:804-13.