Importante scegliere in modo appropriato gli esami da effettuare e i pazienti che possono effettivamente trarne vantaggio, evitando semplificazioni pericolose.

L’argomento se e quando eseguire indagini di laboratorio per la trombofilia ereditaria è ancora dibattuto e colgo l’occasione di un recente lavoro1 per un breve commento personale sull’argomento.
Gli autori del lavoro “Heritable thrombophilia test utilization and cost savings following guideline-based restrictions: An interrupted time series analysis” portano dati relativi a un’azione di contenimento nella prescrizione dei test di laboratorio per la trombofilia ereditaria. Partendo dalla considerazione che le linee guida internazionali (giustamente) limitano i test di trombofilia a casi selezionati, gli autori sostengono che, essendo le raccomandazioni disattese, a loro è sembrato utile esercitare una restrizione basata su un’azione di contenimento, che chiamano “hard stop approach”.

In parole povere, in una provincia canadese hanno limitato la possibilità di prescrivere i test di trombofilia ereditaria solo ad alcuni specialisti, genericamente identificati come esperti di trombosi, ma anche ematologi, ginecologi e altri. Hanno stimato poi il risparmio di risorse che si generava nel periodo transitorio (educazionale) e nel periodo di implementazione (hard stop approach), rispetto al periodo nel quale i test potevano essere prescritti liberamente. Il risultato (direi largamente atteso) è che il risparmio di risorse (inteso come spesa di esecuzione dei test, reagenti, strumenti e personale) era poco modificato durante il periodo educazionale, ma fortemente ridotto dopo il periodo di implementazione del contenimento forzato.
Manca in questo studio una valida analisi sui costi per eventi avversi che il servizio sanitario dovrebbe affrontare prima e dopo l’implementazione delle restrizioni, qualora i test fossero importanti nella gestione del paziente. Questo tipo di analisi (ancorché difficile) sarebbe stato molto utile e convincente per decidere sull’appropriatezza delle richieste dei test di trombofilia ereditaria.

Personalmente sono totalmente d’accordo che sarebbe utile e importante individuare i prescrittori abilitati alla richiesta dei test di trombofilia ereditaria, ma dire tutto questo in maniera generica lascia il tempo che trova. Bisognerebbe chiedersi quali (fra i tanti specialisti) possano essere i prescrittori capaci di risolvere il problema. Mi viene da pensare agli “esperti di emostasi e trombosi”, categoria numerosa e competente in Italia, ma che spesso non viene valorizzata, mancando un loro riconoscimento formale.

Un altro aspetto importante da valutare è la tipologia di test.
Dire genericamente “test di trombofilia ereditaria” senza specificare a che cosa ci si riferisce è riduttivo. Un conto è parlare dei polimorfismi fattore V Leiden e protrombina, per i quali ci può essere in casi particolari un razionale per la ricerca e un altro è parlare di polimorfismi vari (v. MTHFR e fibrinolisi) per i quali non è provata l’associazione con la trombosi. Inoltre, la letteratura ci ha insegnato che alcune fra le mutazioni (carenze) con provata associazione con la trombosi/recidiva sono più pericolose di altre e anche che alcuni difetti, sebbene raramente, possono coesistere nello stesso paziente, aumentando di molto il rischio.
Ad esempio, la carenza di antitrombina è ritenuta molto grave, tanto che (quasi) tutti i pazienti con questo difetto dopo un primo evento sono candidati alla profilassi antitrombotica a lungo termine; inoltre, tutti gli studi clinici sui farmaci anticoagulanti escludono i pazienti noti per questo difetto, perché sarebbe eticamente improponibile la loro randomizzazione. Altro esempio. La mutazione fattore V Leiden o della protrombina, se allo stato eterozigote, sono fattori di rischio molto modesti, ma lo sono assai di più se omozigoti.
A fronte di tutto questo, sentiamo però dire (in maniera spiccia e frettolosa) che i test non sono necessari. C’è da chiedersi come si fa a capire a priori che un paziente è carente di antitrombina o ha altre mutazioni concomitanti se non eseguiamo i test. Certo, la clinica può venire in aiuto, ma se questo basta, volendo estremizzare, potremmo evitare qualunque tipo di valutazione di laboratorio e basarci solo sul giudizio clinico.

Come dicevano i Latini “in medio stat virtus”. Logico pensare e soprattutto dire che i test per la trombofilia ereditaria trovano posto nella gestione del paziente con trombosi, a patto che venga fatta una scelta appropriata dei test e dei pazienti che se ne possono giovare, evitando semplificazioni frettolose, fuorvianti e pericolose.


Bibliografia

1. Bergstrom D et al. Heritable thrombophilia test utilization and cost savings following guideline-based restrictions: An interrupted time series analysis. Thrombosis Research 2020;190:79–85