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Esistono situazioni, legate in particolare al tromboembolismo venoso, in cui richiedere i test per trombofilia ereditaria può essere appropriato. Ma quali richiedere e quando?

L’incertezza del clinico su questo argomento è più che giustificata. Infatti, se per la diagnosi e la terapia della trombofilia acquisita, in particolare per la sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi, esistono chiare indicazioni da parte delle società scientifiche internazionali1, per la trombofilia ereditaria tali linee guida mancano. Inoltre, questi test non vengono inclusi nelle linee guida esistenti sulla gestione del tromboembolismo venoso (TEV).

Anche nel documento di consenso pubblicato nel 2018 dalla Società Europea di Cardiologia (ESC)2 il ruolo della trombofilia ereditaria nel rischio di recidiva dopo un primo episodio di tromboembolismo venoso continua ad essere definito “controverso” e, infatti, non compare in nessuno negli SCORE elaborati (DASH, HERDOO2, Vienna) per valutare tale rischio.

Tuttavia, che alcune alterazioni trombofiliche ereditarie espongano a una maggiore probabilità di sviluppare trombosi venosa, anche ricorrente, è ormai consolidato e, come espresso nelle linee guida ESC 2019 sull’embolia polmonare3i portatori di omozigosi per il fattore V Leiden o per la mutazione G20210A del gene della protrombina  (fattore II)e i portatori di deficit confermato di antitrombinaproteina C e proteina S, “sono spesso candidati al trattamento anticoagulante a tempo indeterminato dopo un primo episodio di embolia polmonare che sia avvenuto in assenza di un fattore di rischio maggiore reversibile”. Per questa ragione l’esecuzione di tali test per trombofilia ereditaria, unitamente a quelli per trombofilia acquisita (anticorpi antifosfolipi e il lupus anticoagulant) viene considerata ragionevole nei pazienti colpiti da TEV non provocato soprattutto se occorso in età giovanile (per esempio < 50 anni) o in presenza di familiarità, come elemento complementare per la valutazione del rischio di recidiva.

In linea con queste indicazioni sono anche quelle fornite dalla Regione Emilia-Romagna, una delle poche in Italia che, con un documento dal titolo “Linee guida per lo screening delle alterazioni trombofiliche” (BUR n. 12 del 18/01/2012), ha specificato quali test andrebbero richiesti ed in quale contesto.

Il ruolo dei polimorfismi

Attualmente “altri polimorfismi ampiamente diffusi nella popolazione e che interessano i geni del fattore XIII, MTHFR;-PAI-I e i geni -del fattore V e protrombina con variazioni differenti dal fattore V Leiden e dalla protrombina G20210A non vengono ritenuti significativamente associati con un aumentato rischio trombotico” come ribadito dalla Regione Lazio nel documento in cui si esplicitano i criteri per l’assegnazione dei codici di esenzione per trombofilia ereditaria e quindi non andrebbero indagati se non nell’ambito di protocolli di ricerca.

Per alcune di queste alterazioni, come i polimorfismi C677T e A1298C del gene per l’MTHFR (metilentetraidrofolato reduttasi), straordinariamente facili da trovare perché presenti in più della metà della popolazione europea, è già stata ampiamente chiarita l’assenza di correlazione con il rischio trombotico4 o con patologie della gravidanza, tanto che la Società Italiana di Genetica Umana (SIGU) raccomanda di non eseguirne la ricerca. In passato tali mutazioni sono state ampiamente indagate poiché l’MHTFR, è un enzima che entra nel metabolismo dell’omocisteina. Il suo “mal funzionamento” legato alla mutazione, può concorrere ad un moderato aumento dei livelli plasmatici di questo aminoacido che sono stati correlati ad un lieve incremento del rischio trombotico. Tuttavia, anche in presenza di mutazione omozigote del gene, l’omocisteinemia può risultare nella norma se vi è un’adeguata assunzione di vitamina B12 e folati, risultando quindi maggiormente determinata da fattori ambientali.

I polimorfismi dei geni del fattore V diversi dal V Leiden e della protrombina diversi dal G20210A sono stati recentemente oggetto di diversi studi di “genome wide association studies (GWAS)” e “transcriptome-wide association studies (TWAS)” riassunti da Zoeller in una review pubblicata nel 2020 su Expert Review of Hematology5, ma l’associazione con il tromboembolismo venoso appare ancora debole e meritevole di ulteriori approfondimenti. Lo stesso dicasi per i polimorfismi del PAI-1, ampliamente indagato per la possibile correlazione con patologie ostetriche6.

Inoltre, sono stati recentemente individuati nuovi difetti genetici potenzialmente responsabili di trombofilia severa tra cui la pseudo-omozigosi per la resistenza alla proteina C attivata, il fattore IX Padova iperfunzionante e la resistenza all’antitrombina ma, anche per queste alterazioni, la ricerca, seppur promettente, è ancora in corso!

Conclusioni

In conclusione, in pazienti affetti da tromboembolismo venoso giovanile (< 50 anni) non provocato o provocato da fattori di rischio minore (come chirurgia minore, terapia estroprogestinica, ipomobilità), soprattutto se recidivante e in un contesto di familiarità, l’esecuzione di test per la ricerca di trombofilia ereditaria (fattore V Leiden, mutazione G20210A del gene della protrombina, deficit di antitrombina, proteina C e proteina S), accanto a quelli per trombofilia acquisita (lupus anticoagulant ed anticorpi antifosfolipidi), può fornire indicazioni utili sulla gestione terapeutica del paziente e la prevenzione nei familiari. 

Aggiornamento: in giugno 2023 sono state pubblicate le linee guida ASH (American Society of Hematology 2023 Guidelines for Management of Venous Thromboembolism: Thrombophilia Testing) ⁷. Il pannello dei test per trombofilia non è cambiato (ricerca mutazioni del gene del fattore V e della protrombina, deficit confermato di antitrombina, proteina C e proteina S, anticorpi antifosfolipidi e lupus anticoagulant).

Tuttavia, queste linee guida, di stampo prettamente anglosassone, sono oggetto di intensa discussione in ambito europeo. Infatti, il pragmatismo che le caratterizza parte dal presupposto che effettuare i test sia controproducente, ad esempio in chi ha avuto un primo episodio di tromboembolismo venoso non provocato, perché in caso di negatività questo porterebbe il clinico a sospendere la terapia anticoagulante, esponendo il paziente ad un rischio di recidiva. Ora, come ben sappiamo, nella pratica clinica il risultato dei test per trombofilia rappresenta solo uno dei criteri (e nemmeno il principale, soprattutto in caso di negatività) nella valutazione che porta alla decisione sulla durata della terapia anticoagulante. Pertanto, conclusioni tratte sulla base di questo presupposto sono, se non altro, discutibili. Attendiamo che gli esperti europei si pronuncino sulla spinosa questione!

 

Bibliografia

  1. Devreese KMJ et al. Guidance from the Scientific and Standardization Committee for lupus anticoagulant/antiphospholipid antibodies of the International Society on Thrombosis and Haemostasis: Update of the guidelines for lupus anticoagulant detection and interpretation. J Thromb Haemost. 2020 Nov;18(11):2828-2839. doi: 10.1111/jth.15047. PMID: 33462974.
  2. Mazzolai L et al. Diagnosis and management of acute deep vein thrombosis: a joint consensus document from the European Society of Cardiology working groups of aorta and peripheral vascular diseases and pulmonary circulation and right ventricular function. Eur Heart J. 2018 Dec 14;39(47):4208-4218. doi: 10.1093/eurheartj/ehx003. PMID: 28329262.
  3. Konstantinides SV et al. The Task Force for the diagnosis and management of acute pulmonary embolism of the European Society of Cardiology (ESC). 2019 ESC Guidelines for the diagnosis and management of acute pulmonary embolism developed in collaboration with the European Respiratory Society (ERS): The Task Force for the diagnosis and management of acute pulmonary embolism of the European Society of Cardiology (ESC). Eur Respir J. 2019 Oct 9;54(3):1901647. doi: 10.1183/13993003.01647-2019. PMID: 31473594.
  4. Bezemer ID, Doggen CJ, Vos HL, Rosendaal FR. No association between the common MTHFR 677C->T polymorphism and venous thrombosis: results from the MEGA study. Arch Intern Med. 2007 Mar 12;167(5):497-501. doi: 10.1001/archinte.167.5.497. PMID: 17353498.
  5. Zöller B et al. Genetic risk factors for venous thromboembolism. Expert Rev Hematol. 2020 Sep;13(9):971-981. doi: 10.1080/17474086.2020.1804354. Epub 2020 Aug 23. PMID: 32731838.
  6. Ye Y et al. Role of Plasminogen Activator Inhibitor Type 1 in Pathologies of Female Reproductive Diseases. Int J Mol Sci. 2017 Jul 29;18(8):1651. doi: 10.3390/ijms18081651. PMID: 28758928; PMCID: PMC5578041.
  7. Middeldorp S, Nieuwlaat R, Baumann Kreuziger L, et al. American Society of Hematology 2023 Guidelines for Management of Venous Thromboembolism: Thrombophilia Testing [published online ahead of print, 2023 May 17]. Blood Adv. 2023;bloodadvances.2023010177. doi:10.1182/bloodadvances.2023010177