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Con frequenza vicina al 20-25% della totalità dei casi, la tromboflebite superficiale (TVS) interessa la grande safena nel tratto adiacente al suo sbocco nella vena femorale comune.

Convenzionalmente si indica in 3 cm la distanza della testa del trombo dal lume della femorale comune al di sotto della quale si ritiene che la TVS interessi la giunzione safeno-femorale. In assenza di indicazioni provenienti da studi scientifici adeguati, la maggior parte dei medici preferisce somministrare farmaci anticoagulanti a dosaggi terapeutici allo scopo di prevenire la propagazione del trombo al circolo venoso profondo. Ma sulla legittimità di questo approccio, inevitabilmente gravato da un rischio imprevedibile di complicanze emorragiche, gravano parecchi dubbi.

Del tutto recentemente è stata indagata retrospettivamente un’ampia popolazione di soggetti con TVS interessante la giunzione safeno-femorale che erano stati arruolati e seguiti per tre mesi nel registro internazionale RIETE1. Dei 374 pazienti reclutati, il 60% aveva ricevuto un’anticoagulazione piena (con vecchi o nuovi farmaci anticoagulanti) per tre mesi; i rimanenti un trattamento con dosi profilattiche di fondaparinux o dosi intermedie di eparina a basso peso molecolare per periodi mediamente inferiori, abitualmente guidati dal comportamento di controlli ecografici seriati. Tutte le principali caratteristiche d’ingresso nel registro (età, sesso, varicosità, storia personale o familiare di tromboembolismo venoso (TEV), fattori di rischio di trombosi, il subentrare della flebite su vena sana o su vena varicosa, il setting di trattamento) erano assolutamente confrontabili. Tutti i pazienti, secondo la programmazione prevista del registro RIETE, erano stati seguiti per tre mesi.

Il follow-up, disponibile in tutti i pazienti, non ha dimostrato differenze di rilievo tra le due popolazioni. Episodi di TEV, documentati obiettivamente, si sono presentati con frequenza similmente bassa nei due gruppi: 1.3% tra i pazienti assegnati alla terapia anticoagulante piena per tre mesi e 2.7% in quelli trattati con dosi preventive di fondaparinux od eparina; e complicanze emorragiche maggiori rispettivamente nell’1.3% e nello 0.7% (tutte differenze lontane dalla significatività statistica).

È ovviamente presto per trarre conclusioni, che potranno provenire solo da studi prospettici, controllati e randomizzati adeguatamente impostati. Ma questa informazione, che rende molto improbabile che esista una differenza apprezzabile tra le due impostazioni, ha la potenzialità di fornire il supporto numerico alla programmazione di tali studi, ormai così indispensabili da essere indilazionabili, oltre che rappresentare sin da ora un elemento su cui basare le scelte tenendo conto anche e soprattutto della tipologia dei pazienti che giungono all’osservazione, della loro storia personale e familiare, dei fattori di rischio concomitanti e delle loro preferenze. Va da sé che per il momento l’instaurazione di dosi profilattiche dovrebbe essere condotta sotto stretta sorveglianza ecografica.


Bibliografia

  1. Prandoni P, Pesavento R, Bilora F, Fernández Reyes JL, Madridano O, Soler S, Monreal M, and the RIETE Investigators. No difference in outcome between therapeutic and preventive anticoagulation in patients with superficial vein thrombosis involving the saphenous-femoral junction. Vasc Med. 2022 Jan 30:1358863X211066962. doi: 10.1177/1358863X211066962. Online ahead of print.