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Finora i pazienti sono stati in terapia anticoagulante per un periodo breve (3-6 mesi) per paura delle complicanze emorragiche degli antagonisti della vitamina K. Con l’arrivo dei DOAC, la letteratura è stata rivista e tre studi della serie MARVELOUS and MAJESTIC contribuiscono a gettare luce sul problema.

Con l’introduzione dei DOAC, gli anticoagulanti orali diretti, gravati da un rischio emorragico nettamente inferiore a quello degli antagonisti della vitamina K, è tornato di interesse misurare gli effetti dei primi sui pazienti con TEV idiopatico (o comunque secondario a fattori di rischio minori, che gli orientamenti attuali tendono ad accorpare alle forme ad eziologia indeterminata). Queste persone infatti finora hanno ricevuto una terapia di breve durata, oscillante tra tre e sei mesi, pur essendo chiaro già da alcuni decenni che il rischio di recidiva tromboembolica non si estingue alla sospensione della terapia (attestandosi tra il 30 ed il 40% della totalità degli individui a distanza di 5 anni, del tutto prescindendo dalla durata della terapia stessa). Tuttavia, il timore di complicanze emorragiche imputabili ai soli presidi disponibili fino a una decina di anni fa (gli antagonisti della vitamina K appunto) ha finito per scoraggiare avventurosi proseguimenti della terapia anticoagulante nella maggioranza dei pazienti.

Gli studi MARVELOUS and MAJESTIC

Ora tre studi (della serie MARVELOUS and MAJESTIC) hanno cercato di fare chiarezza nel tentativo di permettere una migliore personalizzazione nella scelta dei farmaci e della loro durata. Si tratta infatti della più completa meta-analisi della letteratura dedicata sin qui disponibile, con l’inclusione di molte migliaia di pazienti con il primo episodio di TVP o EP idiopatico (o associato a fattori di rischio minori) trattato con terapia anticoagulante per almeno tre mesi.

I risultati ottenuti hanno il vantaggio di rendere più solide le attuali conoscenze. Ora non ci sono più dubbi che il TEV idiopatico (o associato a fattori di rischio minori) abbia una storia naturale caratterizzata da una frequenza devastante di recidive tromboemboliche post-sospensione della terapia, sostanzialmente non dissimile da quella attesa in soggetti con TEV associato a fattori di rischio persistenti maggiori, e che la probabilità di morire per effetto della recidiva (4%) sia tutt’altro che trascurabile.

Il rischio di recidiva non è minimamente influenzato dalla durata della terapia anticoagulante, cosicché impartire a un paziente con TEV idiopatico un periodo di anticoagulazione più lungo di quello raccomandato sino a un recente passato (3-6 mesi) sortisce il solo risultato di dilazionare la tempistica della recidiva. Non va poi trascurato il fatto che ogni recidiva aumenta considerevolmente il rischio di sequele a lungo termine (quali la sindrome post-tromboflebitica e l’ipertensione polmonare cronica, per non parlare della ridotta tolleranza allo sforzo, così frequente dopo embolia del polmone). I risultati di studi recenti, che hanno testato il valore di basse dosi di DOAC per questa indicazione, spingono per un’anticoagulazione illimitata per tutti i soggetti con TEV idiopatico o associato a fattori di rischio minori. Non bisogna tuttavia dimenticare che il rischio di emorragie gravi è in agguato, sia pure con frequenza inferiore, anche con l’uso dei DOAC e che il rischio di complicanze emorragiche è scarsamente prevedibile.

Sulla base dei risultati di queste meta-analisi, occorre quindi cautela in almeno in alcune categorie (come pazienti con TVP distale isolata, donne, anziani, le persone con anemia, insufficienza renale cronica, storia di pregresse emorragie e quelli che richiedono la contemporanea somministrazione di farmaci antipiastrinici e i pazienti d’ambo i sessi che hanno trascorso un periodo di almeno due anni indenne da recidiva nonostante la sospensione della terapia).

Quali indicazioni

È presto per trarre conclusioni definitive ed applicabili a tutti i pazienti. Urge l’identificazione di un score di stratificazione complessiva del rischio, che aggreghi cioè quello trombotico con quello emorragico e, sulla base delle informazioni fornite dagli studi MARVELOUS e MAJESTIC, metta a disposizione dei medici uno strumento che li aiuti in una scelta così difficile.

Quello che mi sento di raccomandare allo stato attuale delle conoscenze è il prolungamento della terapia anticoagulante in tutti i soggetti giovani di sesso maschile che hanno sviluppato un episodio di TVP prossimale o EP idiopatico e siano esenti da fattori di rischio emorragico. In tutte le altre categorie suggerisco l’adozione di uno score di rischio per individuare quei soggetti in cui l’attesa di recidiva tromboembolica è tale da giustificare una scelta gravata da rischi.

In attesa di futuri sviluppi, attesi a breve termine (inibitori del fattore XI), plaudo alle iniziative in corso (ne è un esempio lo studio GIASONE promosso dalla Fondazione Arianna di Bologna nei soggetti di età > 75 anni) volte ad esplorare per questa indicazione farmaci destituiti di rischio emorragico (sulodexide o analoghi). E infine ricordo di condividere sempre con i pazienti scelte così importanti per la loro vita.


Bibliografia

  • Khan F et al., Long term risk of symptomatic recurrent venous thromboembolism after discontinuation of anticoagulant treatment for first unprovoked venous thromboembolism event: systematic review and meta-analysis BMJ 2019, https://doi.org/10.1136/bmj.l4363.
  • MARVELOUS 2. Khan F, Tritschler T, Kimpton M, Wells PS, Kearon C, Weitz JI, Büller HR, Raskob GE, Ageno W, Couturaud F, Prandoni P et al. Long-term risk of recurrent venous thromboembolism among patients receiving extended oral anticoagulant therapy for first unprovoked venous thromboembolism. J Thromb Haemost 2021 Aug 11. doi: 10.1111/jth.15491
  • MAJESTIC. Khan F, Tritschler T, Kimpton M, Wells PS, Kearon C, Weitz JI, Büller HR, Raskob GE, Ageno W, Couturaud F, Prandoni P et al. Long-term risk for major bleeding during extended oral anticoagulant therapy for first unprovoked venous thromboembolism: a systematic review and meta-analysis. Ann Intern Med, https://doi.org/10.7326/M21-1094