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La necessità e l’eventuale durata di un trattamento anticoagulante per una trombosi venosa profonda che coinvolga le vene sotto poplitee (TVP distale) è stata a lungo dibattuta. A causa dell’intrinseco rischio emorragico della terapia e dell’apparente “benignità” di questa condizione, le linee guida internazionali, come quelle dell’American College of Chest Physicians2, suggeriscono un trattamento anticoagulante solo in caso di sintomi severi o fattori di rischio per la progressione della trombosi, mentre nei casi a basso rischio viene suggerita una sorveglianza tramite controllo eco-doppler (raccomandazioni “deboli” basate su un basso livello di evidenza). Nel caso venga intrapresa una terapia anticoagulante, le stesse linee guida2 suggeriscono la sua prosecuzione per tre mesi, ma studi osservazionali3 hanno evidenziato che nella pratica clinica la durata della terapia è spesso inferiore, anche alla luce di precedenti studi che hanno utilizzato con efficacia schemi terapeutici più brevi (4 o 6 settimane)4,5. Quest’ultima strategia è prevista, per le TVP distali “a basso rischio”, anche dal recente documento di consenso
pubblicato dalla Società Europea di Cardiologia (ESC)6.

Al fine di valutare quale sia la durata ottimale della terapia in pazienti con trombosi venosa distale isolata, i ricercatori di 28 centri ospedalieri italiani hanno confrontato, in uno studio randomizzato controllato in doppio cieco (studio RIDTS), gli effetti di 3 mesi di trattamento anticoagulante con rivaroxaban rispetto a sole 6 settimane di terapia1.

La ricerca ha coinvolto 448 pazienti adulti con diagnosi di TVP distale isolata, indipendentemente dal fatto che fosse “provocata” (ad esempio da trauma o chirurgia) o non provocata (questi ultimi erano il 40% dei casi). Sebbene non fosse richiesto al fine di essere inclusi nello studio, la quasi totalità (93%) dei pazienti presentava dei fattori di rischio per l’estensione della trombosi. I criteri utilizzati per valutare questo rischio erano sostanzialmente analoghi a quelli ESC6, come la presenza di trombosi non provocata o estesa a più di una vena distale o alla triforcazione, di una malattia infiammatoria cronica sottostante, di una condizione di immobilizzazione protratta o di trombofilia associata, un precedente episodio di tromboembolismo venoso.

Sono stati esclusi invece i pazienti che avevano già una indicazione ad un trattamento prolungato, come quelli affetti da neoplasia, e coloro i quali avevano una controindicazione all’anticoagulante (come la presenza di un disordine emorragico).

A tutti i pazienti arruolati è stata prescritta una terapia con rivaroxaban a dose piena per sei settimane, al termine delle quali è stata effettuata una visita con eco-doppler di controllo. I 402 pazienti che non avevano avuto eventi clinici nel primo periodo di terapia (o che non si erano ritirati dallo studio per altri motivi) sono stati casualmente assegnati a uno dei due trattamenti:200 hanno continuato rivaroxaban 20 mg per altre 6 settimane e 202 hanno continuato con placebo. I pazienti sono stati sottoposti ad ulteriore controllo ecodoppler a 3 mesi e a 24 mesi. Al termine dei 3 mesi, 15 pazienti (7%) in trattamento con placebo e 3 (1%) in trattamento anticoagulante hanno avuto una recidiva, definita come ricorrenza di trombosi venosa distale (anche asintomatica), trombosi venosa prossimale o embolia polmonare (p=0.004; rischio relativo 0.20, 95% CI 0.06 to 0.69). Anche ad un follow up di due anni si è confermata una riduzione del 40 % del rischio di recidiva nel gruppo in trattamento (11% vs 19%, rischio relativo 0.59, 95% CI 0.36 – 0.95; P=0.03). Durante il periodo di studio si sono verificate tre emorragie maggiori (MB), tutte nelle prime sei settimane di trattamento. Prolungare la terapia per altre sei settimane non ha condotto ad ulteriori episodi di MB.

Va osservato che le recidive sono state prevalentemente TVP distali (16 nel gruppo in trattamento contro 31 nel gruppo in placebo, l’8% vs 15 % p=0.02). “Tuttavia – ha spiegato il Prof. Walter Ageno dell’Università degli Studi dell’Insubria, coordinatore dello studio – una nuova diagnosi di trombosi distale costituisce un nuovo pericolo per il paziente che rischia inoltre, non infrequentemente, di essere “bollato” come un soggetto con trombosi recidivanti ed essere messo in terapia molto più a lungo”. “Se aggiungo sei settimane di trattamento, che non mi hanno dato problemi emorragici, anche se prevengo principalmente trombosi distali, ho un ritorno clinicamente importante” – ha concluso Ageno.

Inoltre, di particolare importanza è risultato il fatto che, all’analisi dei sottogruppi, non si è osservata differenza nel vantaggio di una terapia più prolungata tra chi aveva una trombosi non provocata o provocata (ad esempio da chirurgia o trauma), suggerendo come tre mesi di terapia possano essere necessari anche nel caso di evento “secondario”, se è presente almeno un fattore di rischio. Che i tre mesi siano inoltre “sufficienti” è indicato anche dal fatto che il vantaggio in termini di recidiva si è mantenuto a due anni di follow-up, suggerendo che una durata più prolungata della terapia, non giustificata dalla persistenza di condizioni di rischio (come l’immobilizzazione protratta o una nuova diagnosi di neoplasia), non costituisca un benefico (ma soltanto un rischio) per il paziente.

Va inoltre notata l’alta percentuale di ricanalizzazione del distretto venoso interessato al termine dei tre mesi di trattamento nel gruppo in rivaroxaban (86% vs 69% in placebo), aspetto importante anche per gli esiti a lungo termine di una mancata ricanalizzazione del vaso sanguigno, come la sindrome post-trombotica.

Le nostre conclusioni – ha spiegato Ageno – sono che, per i pazienti che hanno almeno un fattore di rischio (che sono quelli che abbiamo incluso noi) va fatta la stessa terapia delle prossimali (3 mesi n.d.r.), se invece un paziente senza fattori di rischio (ad esempio un giovane con una piccola TVP distale post traumatica) debba fare una terapia e per quanto tempo non si può evincere dallo studio”. “Tuttavia – ha continuato Ageno – bisogna riconoscere che, nella pratica clinica, è molto difficile incontrare pazienti che non abbiamo nemmeno un fattore di rischio“.

 


Bibliografia

  1. Ageno W, Bertù L, Bucherini E, et al. Rivaroxaban treatment for six weeks versus three months in patients with symptomatic isolated distal deep vein thrombosis: randomised controlled trial BMJ 2022;379:e072623, doi: https://doi.org/10.1136/bmj-2022-072623
  2. Stevens SM, Woller SC, Baumann Kreuziger L, et al. Antithrombotic therapy for VTE disease: second update of the CHEST Guideline and Expert Panel Report. Chest 2021;160:2247-59. doi:10.1016/j. chest.2021.07.056
  3. Schellong SM, Goldhaber SZ, Weitz JI, et al. Isolated Distal Deep Vein Thrombosis: Perspectives from the GARFIELD-VTE Registry. Thromb Haemost 2019;119:1675-85. doi:10.1055/s-0039-1693461
  4. Donadini MP, Dentali F, Pegoraro S, et al. Long-term recurrence of venous thromboembolism after short-term treatment of symptomatic isolated distal deep vein thrombosis: A cohort study. Vasc Med 2017;22:518-24. doi:10.1177/1358863X17720531
  5. Righini M, Galanaud JP, Guenneguez H, et al. Anticoagulant therapy for symptomatic calf deep vein thrombosis (CACTUS): A randomised, double-blind, placebo-controlled trial. Lancet Haematol 2016; 3: e556–e562
  6. Mazzolai L, Ageno W, Alatri A, et al. Second consensus document on diagnosis and management of acute deep vein thrombosis: updated document elaborated by the ESC Working Group on aorta and peripheral vascular diseases and the ESC Working Group on pulmonary circulation and right ventricular function. Eur J Prev Cardiol. 2022;29(8):1248-1263. doi:10.1093/eurjpc/zwab088