Gli emofilici A e B sono affetti da carenza congenita di fattore VIII o IX, fattori della coagulazione che assicurano in condizioni normali l’arresto dell’emorragia in caso di lesione vascolare anche di modesta entità. A causa di questa carenza gli emofilici sono sempre stati considerati “naturalmente anticoagulati” e quindi naturalmente protetti dagli eventi trombotici venosi, arteriosi (e complessivamente dalle più comuni malattie cardiovascolari) che affliggono la restante parte della popolazione.

Nelle ultime due decadi, il trattamento dell’emofilia ha però subito cambiamenti epocali:

  1. L’introduzione della profilassi ha gradatamente affiancato il trattamento a domanda;
  2. Lo sviluppo di concentrati di fattori ricombinanti, al posto di quelli di origine umana;
  3. Lo sviluppo di concentrati di fattori a emivita estesa, rispetto a quelli di origine umana;
  4. Lo sviluppo di farmaci non basati sulla terapia sostitutiva del fattore carente.

Questi cambiamenti comportano un trattamento più adeguato alle condizioni cliniche, stabilendo una risposta emostatica più stabile nel tempo, che riduce la possibilità di sanguinamento intercorrente.

La conseguenza più importante di questa rivoluzione è che l’aspettativa di vita dell’emofilico si è nettamente allungata, raggiungendo (quasi) quella che si osserva nei soggetti non-emofilici. Questo straordinario risultato si scontra però con il fatto che anche gli emofilici possono essere soggetti, al pari della popolazione generale, agli stessi fattori di rischio per malattia cardiovascolare. Emerge, quindi, la necessità di decidere se anche l’emofilico in profilassi necessiti di trattamento antitrombotico, quando ha una trombosi venosa acuta, o di profilassi antitrombotica per prevenire recidive. Più in generale, è importante stabilire se e come un emofilico anziano abbia necessità di trattare o prevenire malattie cardiovascolari.

Uno studio osservazionale (Sood S, et al, Blood Adv 2018; 2; 1295) ha preso in considerazione questo aspetto, prima inedito, e ha studiato la prevalenza di eventi cardiovascolari nel paziente emofilico, rispetto a quello della popolazione non-emofilica, proponendo dei ragionamenti che, sebbene non possano essere considerati conclusivi, rappresentano una pietra miliare nel cambiamento del paradigma, che vede l’emofilia come il prototipo di malattia emorragica.

A partire dall’ottobre 2012, 200 emofilici A e B con malattia lieve o grave di età compresa fra 54 e 73 anni, seguiti in 19 centri americani, sono stati arruolati in uno studio osservazionale con rilevazione della presenza di fattori di rischio per malattia cardiovascolare e di eventi cardiovascolari in paragone a quelli della popolazione generale non-emofilica, derivati da uno dei più importanti studi epidemiologici americani [Atherosclerosis Risk in Communities (ARIC)]. Gli eventi sono stati valutati mediante interviste ai pazienti, prelievi di sangue ed esame centralizzato delle cartelle cliniche. Le malattie cardiovascolari sono state definite come presenza di angina; infarto del miocardio (EGC, o referto medico); eventi (riportati dal paziente, ma verificati dal medico) di ictus non-emorragico o attacco ischemico transitorio; by-pass coronarico o angioplastica.
I fattori di rischio comuni, riscontrati nei pazienti emofilici erano simili a quelli osservati nella popolazione generale. La prevalenza delle malattie cardiovascolari era significativamente inferiore nella popolazione emofilica, rispetto alla popolazione generale (15% vs 25.8%, p<0.001).

Pur considerando i limiti, lo studio permette di considerare che, sebbene la popolazione emofilica sia in qualche misura “naturalmente” protetta dalle malattie cardiovascolari, su base individuale l’emofilico possa, alla pari dell’individuo non-emofilico, essere soggetto ad eventi cardiovascolari e pertanto necessitare di trattamento o profilassi antitrombotica. Secondo l’atteggiamento corrente, pochi pazienti emofilici assumono aspirina per la prevenzione secondaria delle malattie cardiovascolari, nonostante il fatto che questo trattamento sia riconosciuto da molti come efficace e sicuro anche in quella popolazione. Altri aspetti particolari che dovranno essere indagati nei prossimi anni riguardano se e come effettuare la profilassi negli emofilici in corso di interventi chirurgici.

Interessante notare come la ricerca segua molto spesso le stesse vie. Come nel caso dell’emofilia, anche per la cirrosi sono state percorse le stesse strade per il cambio di paradigma, che vedeva quella malattia come uno dei prototipi della malattia emorragica acquisita, rivelando aspetti trombotici non considerati.