L’embolia polmonare (EP) è una malattia associata ad un ampio spettro prognostico, che spazia dalla risoluzione rapida e completa dei sintomi dopo poche ore di trattamento fino alla morte improvvisa.
Per questi motivi, la ricerca scientifica si è recentemente focalizzata sull’ottimizzazione della stratificazione del rischio di complicanze avverse associate ad EP e sulla identificazione di validi fattori predittivi di tale rischio.
I pazienti a più alto rischio di mortalità (circa 10% del totale dei pazienti colpiti da EP, con rischio di mortalità a breve termine fino a circa il 15%) sono immediatamente identificabili dalla presenza di shock o ipotensione arteriosa sostenuta, che definiscono uno stato di EP emodinamicamente instabile. Questi pazienti richiedono una terapia trombolitica d’urgenza, al fine di eliminare la compromissione emodinamica.
Dalla parte opposta dello spettro prognostico vi sono i pazienti a rischio di mortalità molto basso (<1% ad un mese), che rappresentano circa il 30% di tutti i pazienti con diagnosi di EP. L’identificazione corretta di questi pazienti a basso rischio di complicanze si basa principalmente sull’utilizzo di score prognostici, tra i quali il Pulmonary Embolism Severity Index (PESI) risulta quello più ampiamente validato e raccomandato dalle linee guida della European Society of Cardiology. Una volta correttamente identificati, questi pazienti possono essere ricoverati per un breve periodo o essere anche trattati interamente a domicilio, qualora le condizioni personali e famigliari lo consentano.
Tra questi due gruppi di pazienti, si pone la più ampia fascia di pazienti (circa 50-60%) con EP a rischio intermedio di complicanze a breve termine (circa 3-10%). L’identificazione di questi pazienti avviene per esclusione dalle categorie ad alto rischio (instabilità emodinamica) e basso rischio (classe PESI I o II oppure PESI semplificato = 0).
Tuttavia, anche all’interno del gruppo di pazienti a rischio intermedio, esiste una differenza prognostica, che ha importanti implicazioni gestionali e terapeutiche. Infatti, i pazienti a rischio intermedio-alto, identificati dalla presenza di disfunzione ventricolare destra agli esami di imaging e tramite biomarcatori (troponina e peptide natriuretico cerebrale, BNP), necessitano di una stretta osservazione ospedaliera e, in alcuni casi, possono beneficiare di un trattamento trombolitico. I pazienti a rischio intermedio-basso (disfunzione ventricolare destra identificata solo tramite imaging oppure tramite biomarcatori oppure assente del tutto) possono beneficiare di un ricovero ospedaliero e trattamento anticoagulante standard.
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