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Lo stress da lavoro è normalmente considerato uno degli elementi responsabili della diminuzione della qualità di vita, ma non viene annoverato tra i fattori di rischio per malattie cardiovascolari come ictus ischemico o infarto del miocardio.

È invece, associato ad altri fattori di rischio, tra i quali la sindrome metabolica.
Gli anglosassoni lo chiamano “job strain” e si intende le condizioni peggiori in cui lavorare. Ciò che conferisce maggior stress è la pressione che la persona subisce da parte di terzi quali superiori, colleghi e ambiente di lavoro, con scarsa o nessuna possibilità di poter di incidere sulle decisioni finali che vengono poi prese da coloro che esercitano la pressione.
I medici dovrebbero indagare sul tipo di lavoro che i pazienti svolgono per cercare di correggere, quando possibile, le condizioni e abitudini lavorative spesso inaccettabili. A queste si aggiunge il numero di ore impegnate, se si superano le 45-50 ore la settimana, diventano un fattore di rischio. Infine, da ricordare è la mancanza di sicurezza sui luoghi di lavoro e la precarietà del lavoro stesso. Questo comporta anche l’associazione con abitudini di vita non salutari, quali il fumo, l’eccesso di alcol e mancanza di sonno.
Huang e coll. hanno recentemente pubblicato una meta-analisi1, cioè la valutazione complessiva di un insieme di studi sul job strain, che ha messo in evidenza come persone con un elevato grado di stress abbiano un rischio maggiore di avere un ictus ischemico rispetto a chi ha un basso job strain. Il rischio non è particolarmente elevato (RR 1.58, IC 95% 1.12–2.23), ma è risultato statisticamente significativo. Tuttavia, gli autori riconoscono che non è evidente se un marcato miglioramento di una condizione di lavoro particolarmente stressante si traduca in una riduzione del rischio.
Nella valutazione dei fattori di rischio per malattie cardiovascolari credo sarà bene considerare anche il job strain attraverso un’anamnesi accurata del paziente che abbiamo davanti. Conoscere le sue abitudini di vita ed in particolare la sua attività lavorativa è sempre un’occasione per capire meglio se queste possono aver avuto un impatto nella patogenesi di un evento trombotico acuto come l’ictus ischemico.
Mi sembra giusto aggiungere che ascoltare una persona che parla della sua professione è sempre un qualcosa di molto interessante che spesso ci porta a conoscere cose che non avremmo mai immaginato.
Saper ascoltare gli altri è, in generale, una virtù che i medici, ma non solo loro per la verità, dovrebbero cercare di affinare. Oggi invece la fretta, il peggior nemico dei medici, ci porta ad essere superficiali e a trascurare spesso cose che invece sarebbe importante conoscere per arricchire noi, nell’interesse dei nostri pazienti.

Bibliografia

  1. Neurology 2015;85:1648–1654