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La durata della terapia anticoagulante orale dopo un primo episodio di tromboembolismo venoso idiopatico (senza causa apparente) non è certa.

Sappiamo con sicurezza che questa categoria di pazienti ha un alto rischio di recidive, il 30%, a 5 anni.

Diversi lavori scientifici hanno dimostrato che tale rischio si riduce durante tutto il periodo in cui i pazienti vengono trattati con anticoagulanti orali, ma aumenta di nuovo quando viene sospesa la terapia (1). Recentemente è stato pubblicato su JAMA (The Journal of American Medical Association) un lavoro francese multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, il PADIS-PE, che ha valutato, al termine del periodo di anticoagulazione, l’incidenza delle recidive trombotiche in pazienti con un primo episodio di embolia polmonare idiopatica (2).

I pazienti sono stati inizialmente trattati con antivitamina K (AVK) per 6 mesi, successivamente sono stati selezionati in modo casuale a ricevere warfarin (n=184) con INR compreso tra 2 e 3 e placebo (n=187) con falso INR compreso nello stesso intervallo terapeutico per ulteriori 18 mesi. Al termine della terapia i pazienti sono stati seguiti in follow-up per un periodo medio di 24 mesi con visite programmate e contatti telefonici.

Gli end-point principali erano l’embolia polmonare, la trombosi venosa prossimale e il tromboembolismo fatale, le emorragie maggiori e fatali. Nel braccio trattato con warfarin la percentuale di tempo trascorsa nell’intervallo terapeutico era pari al 69.8% mentre nel braccio con placebo era pari al 75.1%. L’intervallo medio tra le visite è stato di 19.6 giorni per i pazienti trattati con warfarin e di 23.5 giorni per i pazienti trattati con placebo.

I risultati dello studio hanno mostrato una maggiore incidenza di eventi trombotici nel gruppo trattato con placebo (13.5%) rispetto al gruppo trattato con warfarin (3.3%) e nessuna differenza in termini di emorragie maggiori, fatali o di mortalità per altre cause.

Nel periodo di follow-up, in assenza di trattamento, sono stati registrati 9.3 eventi per 100 anni/paziente nel gruppo precedentemente trattato con warfarin e 4.7 eventi per 100 anni/paziente nel gruppo precedentemente trattato con placebo.

Lo studio chiaramente dimostra che l’estensione del trattamento anticoagulante orale è vantaggioso in termini di prevenzione delle recidive tromboemboliche, ma questo vantaggio si perde non appena la terapia viene sospesa con una incidenza di eventi trombotici che ritorna uguale, se non addirittura superiore, a quella dei pazienti non trattati.

Le ultime Linee guida americane sul trattamento del tromboembolismo venoso pubblicate su Chest (3) suggeriscono con un grado di evidenza modesto, una terapia anticoagulante orale indefinita rispetto ad un trattamento per soli 3 mesi, se i pazienti hanno un rischio emorragico basso-moderato. In caso di rischio emorragico alto invece la durata raccomandata è di 3 mesi. Da notare che il sesso maschile e la valutazione dei livelli plasmatici di D-Dimero, dopo un mese dalla fine del trattamento anticoagulante, possono influenzare la decisione di sospendere o di prolungare il trattamento dal momento che il sesso maschile e gli alti livelli di D-Dimero aumentano di circa due volte il rischio di recidive tromboemboliche (3).

La necessità di un’anticoagulazione indefinita è da rivalutare periodicamente (ad esempio ogni anno).

Probabilmente i Nuovi farmaci anticoagulanti (NAO) saranno la scelta migliore per il trattamento a lungo termine dei pazienti con tromboembolismo venoso.

 

A cura di

Doris Barcellona- Università di Cagliari

Francesco Marongiu-Università di Cagliari

 

 

Bibliografia

  1. N Engl J Med. 2001;345:165-9
  2. JAMA 2015; 314: 31-40
  3. CHEST 2015, doi: 10.1016/j.chest.2015.11.026