La trombosi venosa cerebrale (CVT), benché rara, è una delle principali cause di ictus nella popolazione giovane-adulta, soprattutto femminile, con un picco di incidenza tra i 18 ed i 50 anni.
La rarità della patologia rende difficile effettuare studi, sia randomizzati controllati che prospettici osservazionali, di dimensioni sufficientemente ampie. Sulla base delle evidenze disponibili (2-8), le recenti indicazioni dell’American Heart Association considerano “ragionevole” l’utilizzo dei DOAC per il trattamento della trombosi venosa cerebrale, pur evidenziando la necessità di ulteriori studi (9).
Lo studio DOAC-CVT, appena pubblicato, è un ampio studio osservazionale, che è stato condotto in ben 23 paesi (tra cui Svezia, Olanda, India, Romania, Messico e Cile), volto a valutare l’efficacia e la sicurezza degli anticoagulanti orali diretti (DOAC), in confronto con gli AVK (ad esempio il warfarin), per il trattamento della CVT (1).
Il lavoro ha incluso 619 pazienti trattati con DOAC (401 soggetti) o AVK (218 soggetti), in base alla scelta del curante (e alla disponibilità del farmaco), entro 30 giorni dalla diagnosi di CVT. L’età mediana era 41 anni (IQR 28–51). Oltre il 90% dei pazienti ha ricevuto una terapia iniziale con anticoagulanti parenterali [eparina a basso peso molecolare (LMWH) o eparina non frazionata] per almeno cinque giorni.
Ad un follow-up di 6 mesi, l’end-point primario costituito dall’insieme di tromboembolismo venoso (TEV) sintomatico (qualsiasi tipo di trombosi venosa profonda o embolia polmonare) ed emorragia maggiore (MB), si è verificato in 12 (3%) dei 401 pazienti in trattamento con DOAC e 7 (3%) dei 218 pazienti in trattamento con AVK, senza significative differenze nei due gruppi (OR 0,99; 95% CI 0,37–3,38). Il DOAC più utilizzato è stato il dabigatran (67% dei casi).
All’esordio dei sintomi, la percentuale di soggetti che presentava un deficit neurologico focale era maggiore nel gruppo assegnato agli AVK (50%) rispetto a quello assegnato ai DOAC( 35%) facendo sorgere il sospetto che i pazienti assegnati ai DOAC fossero meno gravi; tuttavia i principali indicatori prognostici ( età, sesso, coma, trombosi del sistema venoso profondo, emorragia intracranica, infezione del sistema nervoso centrale e cancro) erano simili nei due gruppi. In particolare, la frequenza di emorragia intracranica all’esordio era analoga ( DOAC vs AVK 35% vs 37%; p=0,62).
6/401 (1%) pazienti in trattamento con DOAC e 3/218 (1%) pazienti in trattamento AVK hanno sofferto di un episodio di TEV sintomatico nei sei mesi successivi alla diagnosi (OR 1,45; 95% CI 0,3-9,39); nonostante nel primo gruppo si trattasse più frequentemente di recidiva di CVT (4/6 vs 1/3), la scarsa numerosità del campione non permette di trarre conclusioni.
Le emorragie maggiori (MB) si sono verificate in 6 su 401(1%) pazienti in DOAC e 4 su 2018 (2%) pazienti in AVK; anche in questo caso la differenza non è risultata significativa (OR 0,89; 95% CI 0,24-3,74) ma è utile notare che si trattava di una emorragia intracranica nel 29% dei casi se il paziente era in trattamento DOAC e nel 40% dei casi se in trattamento con AVK.
L’incidenza di episodi emorragici “non maggiori ma clinicamente rilevanti” è stata bassa e non diversa tra i due gruppi trattamento (DAOC vs AVK 2% vs 1%, OR 1,77 [0,50–8,65]), così come la mortalità (%),
Inoltre, vene riportato il dato, disponibile solo in circa i due terzi dei casi, della ricanalizzazione, valutata con l’ imaging a 6 mesi, che è risultata completa nel 38% dei soggetti in trattamento DOAC e nel 58% dei pazienti in trattamento con AVK (p=0·0002); mentre una ricanalizzazione almeno parziale era presente in circa l’80% dei casi in entrambi i gruppi). Tuttavia, i ricercatori mettono in guardia dalla interpretazione affrettata di questi dati, in parziale contrasto con quelli degli studi RESPECT-CVT e ACTION-CVT (2,7), in quanto le informazioni non erano disponibili per tutti i pazienti e gli eventi non sono stati aggiudicati centralmente.
In conclusione, questo studio, sebbene sottodimensionato per dimostrare la non-inferiorità dei DOAC per il trattamento della CVT, non ha individuato differenze nel rischio di trombosi ricorrente o sanguinamento maggiore tra i pazienti trattati con un DOAC rispetto ai pazienti trattati con AVK, fornendo un ulteriore tassello a supporto dell’utilizzo degli anticoagulanti orali diretti per il trattamento della trombosi venosa cerebrale ( dopo un iniziale periodo di terapia parenterale con eparina).
Guarda anche il video: Trombosi dei seni venosi cerebrali e DOAC: a che punto siamo? –Prof. Valerio De Stefano-Università Cattolica-IRCCS Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli -Roma
Bibliografia
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