L’inibitore del fattore XI della coagulazione abelacimab ha mostrato un’efficacia e sicurezza analoghe a enoxaparina per la prevenzione del tromboembolismo venoso nella chirurgia protesica del ginocchio. Secondo gli esperti questo aggiunge evidenze a favore dell’utilizzo degli anticorpi monoclonali anti-fattore XI per limitare il rischio di sanguinamento.
È noto come il principale problema di tutte le terapie anticoagulanti, a fronte di una comprovata efficacia, sia il rischio emorragico. L’introduzione nella pratica clinica degli anticoagulanti orali diretti (DOAC) ha sicuramente ridotto le emorragie maggiori, in particolar modo endocraniche, connesse alla terapia. Tuttavia, il rischio di sanguinamento, anche con questi farmaci, non è azzerato, soprattutto a carico del tratto gastrointestinale. Da qui la necessità di sviluppare nuovi farmaci che idealmente siano in grado di superare gli attuali limiti delle terapie in uso.
Negli ultimi anni, osservazioni su modelli animali e umani hanno dimostrato con sempre maggiore evidenza come l’inibizione del fattore XI della coagulazione possa essere una buona strategia per prevenire o trattare la trombosi, senza deprimere eccessivamente il processo emostatico, riducendo così il rischio emorragico. Infatti, i pazienti con deficit congenito del fattore XI sono a minor rischio di tromboembolismo venoso (TEV) rispetto a pazienti con normali livelli di fattore XI, ma raramente sviluppano emorragie spontanee, a differenza di quanto si osserva nell’emofilia A o B.
Tra tutte le molecole in studio, grande interesse stanno rivestendo gli anticorpi monoclonali anti-fattore XI: il loro meccanismo d’azione consiste nel legame con il fattore XI che viene bloccato nella conformazione dello zimogeno (precursore inattivo), e reso, quindi, incapace di attivare la cascata coagulativa attraverso la via intrinseca.
Recentemente, sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine i risultati di uno studio di fase II 1 in cui abelacimab, un anticorpo monoclonale anti-fattore XI, è stato confrontato con lo standard of care, rappresentato da enoxaparina, per la prevenzione del TEV nella chirurgia protesica di ginocchio. Si tratta di uno studio multicentrico, prospettico, randomizzato in cui Peter Verhamme e collaboratori hanno confrontato tre regimi di abelacimab (30 mg, 75 mg o 150 mg) con enoxaparina a dosaggio profilattico. Il trial ha coinvolto 412 pazienti: la randomizzazione al braccio enoxaparina o abelacimab è stata condotta in modo aperto, mentre l’assegnazione ai tre regimi di abelacimab è avvenuta in cieco. Sono stati esclusi dall’arruolamento i pazienti con sanguinamento attivo o ad alto rischio di sanguinamento, con anamnesi di TEV, con insufficienza renale (velocità di filtrazione glomerulare stimata inferiore a 60 ml al minuto per 1,73 m2 di superficie corporea) e con epatopatia grave. Abelacimab è stato somministrato per via endovenosa lenta (30-60 minuti) 4-8 ore dopo l’intervento chirurgico mentre enoxaparina è stata assunta dai pazienti a dosaggio profilattico la sera prima o al massimo 12 ore dopo la chirurgia. In tutti i pazienti arruolati sono stati inoltre eseguiti l’APTT, il dosaggio dell’attività del fattore XI, quello di abelacimab e dei livelli di fattore XI libero (ovvero non legato al farmaco) prima e dopo l’intervento.
L’endpoint primario dello studio è stato rappresentato dall’incidenza di TEV, ovvero un composito di trombosi venosa profonda (TVP) sintomatica o asintomatica (rilevata mediante venografia ascendente unilaterale eseguita dopo l’intervento chirurgico, tra i giorni 8 e 12), embolia polmonare (EP) non fatale o fatale o morte da causa non nota per la quale non poteva tuttavia essere esclusa l’EP. Il principale endpoint di sicurezza è stato rappresentato dall’incidenza di sanguinamento maggiore o non maggiore ma clinicamente rilevante.
Dai risultati emerge come un evento trombotico si sia verificato nel 13% (13/102) dei pazienti del braccio abelacimab 30 mg, nel 5% (5/99) dei soggetti trattati con abelacimab 75 mg e nel 4% (4/98) dei pazienti che assumevano abelacimab 150 mg, rispetto al 22% (22/ 101) dei soggetti in terapia con enoxaparina.
Tutti e tre i regimi terapeutici di abelacimab hanno soddisfatto il criterio di non inferiorità e addirittura i dosaggi di 75 mg e 150 mg del farmaco si sono rivelati superiori in termini di efficacia nel confronto con enoxaparina. Per quanto riguarda la sicurezza, un sanguinamento clinicamente rilevante si è verificato nel 2% (2/102) dei pazienti del braccio abelacimab 30 mg, nel 2% (2/104) dei soggetti trattati con abelacimab 75 mg, in nessuno dei 99 pazienti nel gruppo abelacimab 150 mg e in nessuno dei 104 in terapia con enoxaparina, senza differenze statisticamente significative.
Dal punto di vista del laboratorio, i ricercatori hanno inoltre potuto constatare come abelacimab incrementi l’APTT in modo dose-dipendente mentre, l’attività del fattore XI e i livelli di fattore XI libero circolante siano inversamente correlati con le concentrazioni plasmatiche del farmaco.
In conclusione, abelacimab ha dimostrato di avere un profilo di efficacia e sicurezza equiparabile (se non addirittura superiore) ad enoxaparina per la prevenzione del TEV nella chirurgia protesica di ginocchio. Questo trial, insieme al precedente FOXTROT2 che aveva valutato un altro anticorpo monoclonale anti-fattore XI, osocimab, e ai numerosi studi ancora in corso, aggiunge ulteriori evidenze a favore della possibilità di utilizzare inibitori della via intrinseca della coagulazione per la profilassi, e in futuro anche per la terapia del TEV. Ma soprattutto è un necessario passaggio nello sviluppo di questi farmaci prima di affrontare altre potenziali indicazioni.
Bibliografia
- Verhamme P, Yi A, Segers A, et al. Abelacimab for Prevention of Venous Thromboembolism. N Engl J Med 2021; 385:609-617.
- Weitz JI, Bauersachs R, Becker B, et al. Effect of Osocimab in Preventing Venous Thromboembolism Among Patients Undergoing Knee Arthroplasty: The FOXTROT Randomized Clinical Trial. JAMA 2020; 323:130-139.