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Un recente studio ha analizzato i mammiferi svedesi per capire meglio il rischio di tromboembolismo venoso (TEV) nei pazienti immobilizzati temporaneamente.

Studiare gli orsi in letargo per capire perché il rischio di trombosi venosa profonda (TVP) cambia. È quanto hanno fatto alcuni ricercatori europei, che hanno poi pubblicato i loro risultati su Science. Il lavoro ha mostrato un legame inedito tra la proteina HSP47 delle piastrine e la formazione di trombosi venosa profonda ed embolia venosa. Questo potrebbe spiegare perché l’immobilità acuta è un fattore di rischio per la trombosi e l’immobilità cronica lo è meno.

Un paradosso della medicina vascolare è infatti che i pazienti che si trovano temporaneamente immobilizzati, per esempio dopo essere stati messi a riposo a letto, o mentre si stanno riprendendo da un intervento chirurgico o da un infortunio, sono a rischio di sviluppare un trombo in una vena profonda, in genere in una gamba. Ma le persone che sono cronicamente immobilizzate dopo una lesione al midollo spinale o un ictus non hanno lo stesso rischio elevato di TVP, superata la fase iniziale.

Ogni anno gli orsi bruni trascorrono dai 4 ai 7 mesi in letargo. Ma nonostante questi lunghi periodi di attività minima, non ci sono prove evidenti di tromboembolismo (TEV) durante questi periodi di quiescenza. L’ipotesi dei ricercatori era che ci fosse un fattore sconosciuto a proteggere gli orsi in letargo dallo sviluppo di coaguli di sangue e che la sua identificazione avrebbe potuto aiutare a proteggere le persone che sono temporaneamente immobilizzate.
Gli esperti hanno rilevato prove di trombosi venosa ed embolia polmonare, dimostrando quindi che la TEV può verificarsi negli orsi bruni. Hanno anche visto che diverse proteine coinvolte nell’attivazione piastrinica sono state ri-regolate quando gli orsi erano in libertà. La differenza maggiore riguardava i livelli di una proteina in particolare, la heat shock protein 47 (HSP47), un recettore espresso sulla superficie delle piastrine.

La sua attività era in media 55 volte inferiore nelle piastrine degli orsi ibernati rispetto a quella degli orsi attivi. Questi risultati iniziali sono stati replicati nell’uomo e nel maiale: si è osservato che la proteina HSP47:

– è ridotta nel plasma di persone con paralisi a lungo termine rispetto al gruppo di controllo;
– è diminuita nel tempo nei partecipanti che erano a riposo a letto, dopo circa 5-7 giorni, e si è ridotta sostanzialmente rispetto al valore di base alla fine dello studio, durato un mese;
– è più bassa nel plasma dei suini che stavano allattando, che si muovono poco durante questo periodo, rispetto ai suini liberi.

Sebbene queste scoperte spieghino in parte solo uno dei fattori di rischio della TEV, la scoperta è un primo passo per capire meglio come aiutare i pazienti immobilizzati in modo transitorio.