Un anno fa, intorno alla mezzanotte del 27/12 del 2020 mentre ero seduto sul divano a guardare un film, mi suona l’Apple Watch segnalandomi un’anomalia del battito cardiaco che potrebbe indicare una patologia grave, la fibrillazione atriale.
Faccio qualche prova, il risultato è il medesimo, penso o spero in un errore ma il giorno dopo la situazione non cambia. A quel punto inizia l’iter delle visite che confermano la situazione ed entro subito in terapia farmacologica di salvaguardia tramite iniezioni di eparina da eseguire nella pancia, alternativamente da un lato e dall’altro in attesa di avere un piano terapeutico. Nel frattempo non ho grandi sintomi e continuo a fare tutto normalmente.
Dalla visita con il cardiologo apprendo che la situazione si può risolvere con un’operazione esterna, la cardioversione elettrica – ovvero un “riavvio” con il defibrillatore per vedere se il cuore riparte in maniera corretta – oppure tramite un’operazione chirurgica transcatetere che prende il nome di ablazione, una procedura mini-invasiva che al momento si può fare in radiofrequenza (diciamo “bruciando”) o come crioablazione (“congelando”). Se la cardioversione non dovesse funzionare, bisogna eseguire la seconda. Scelgo ovviamente di affrontare la prima che avrei dovuto fare nel giro di poche settimane. Ma il COVID-19 è presente e ha già messo in crisi molte strutture ospedaliere per cui la situazione delle operazioni “di routine” non è quella, diciamo, standard.
Intanto mi viene assegnato il piano terapeutico e dalle siringhe di eparina si passa a 3 pillole diverse, l’antiaritmico a base flecainide, il betabloccante bisoprololo e l’anticoagulante edoxaban perché, come ben sapranno i lettori, tra i rischi principali di questa patologia c’è l’ictus – con il quale non c’è da scherzare.
Passato 1 mese, un mese e mezzo circa dal primo incontro con la fibrillazione atriale inizio ad avere sintomi più evidenti, estrema stanchezza e cali improvvisi di energia – un piano di scale iniziava ad essere già sfidante. Una cosa abbastanza strana e complicata da affrontare per una persona come me, abbastanza attiva in molti campi, sportiva, sicuramente attenta all’alimentazione, praticamente senza vizi se non quello di fermarsi con difficoltà (mai) tirare la cinghia (troppo), ovvero stressarsi più di quanto dovrebbe fare una persona, non solo di 43 anni.
Passano ben 5 mesi e finalmente mi operano con successo; dal 14/05 la situazione migliora, a settembre il cardiologo ha deciso di ridurre le pillole per capire quale fosse la situazione lasciando solo la dose di betabloccante – che spero di riuscire a eliminare completamente in primavera al prossimo controllo.
Fare dei check up regolarmente, soprattutto dopo una certa età, non è solo consigliato, è necessario. Tuttavia, su suggerimento della redazione ho voluto condividere questa storia poiché ci sono oggi degli strumenti tecnologici che possono aiutarci a prevenire situazioni più gravi. Soprattutto i “wearable devices”, gli strumenti indossabili, stanno rivelandosi utilissimi strumenti diagnostici in quanto vengono indossati durante la maggior parte del tempo. Io, che ero solito utilizzare accessori il meno possibile, ora l’indosso anche mentre dormo così da monitorare il momento del sonno. Addirittura, nel caso della fibrillazione atriale (perché riconosciuta da questo dispositivo) possono essere anche dei salvavita.
Può sembrare un’esagerazione, ma quello che so per certo è che senza il mio wearable (uso da poco più di un anno un orologio smart del famoso brand di Cupertino) avrei iniziato a sospettare qualche anomalia solo dopo un mesetto, ovvero solo quando la situazione si è aggravata, adducendo prima stanchezza, poco allenamento e mille altre motivazioni a quello che sentivo.
Ora è diventato ancora più importante: mi tiene monitorato costantemente e posso presentare al cardiologo vari generi di prospetti: il mio ritmo durante il sonno, durante gli allenamenti… oltre a segnalarmi un’eventuale nuovo episodio di fibrillazione atriale, che potrebbe ripresentarsi.
Nella foto si può vedere l’avviso di possibile fibrillazione atriale così come appare a schermo; Nella seconda foto è possibile invece vedere il crollo del mio tono cardiovascolare nel dicembre 2020 da “sopra la media” a “basso”, fino al livello minimo prima dell’operazione di maggio, dalla quale è iniziata poi una lenta risalita che però fatica a sfondare la soglia minima.
Nella terza foto, come appare un elettrocardiogramma su Apple Watch, equiparabile ad un ECG a derivazione singola, in questo caso di FA. Nella quarta, i miei battiti in questo momento, esattamente mentre salvo quest’articolo.
Ora sto abbastanza bene e da mesi, oltre a fare tutto normalmente, ho ripreso a praticare sia l’arte marziale che pratico da oltre 20 anni, il Kendo, che il Taiko (tamburo giapponese) ma ricorderò il 2021 come l’anno in cui il cuore mi si è rotto – non solo metaforicamente; ora non resta che, mutatis mutandis, ricostruire un giusto bilanciamento vita-lavoro, meno stress in generale, cambiamenti di vita, più strutturali di quelli facili per me tipo smettere di bere caffè, più allenamenti e delle relazioni sane, cambiamenti che verranno, per migliorarsi e andare avanti, decisamente, nel 2022 con l’obiettivo che finisca tutto con un bellissimo “congratulazioni”!
A cura di Lino Palena