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La sostituzione della valvola aortica è il solo procedimento definitivo per individui con stenosi aortica severa. Nella scelta tra protesi meccaniche e protesi biologiche è necessario tenere conto dei rispettivi benefici e rischi.

Le protesi meccaniche hanno una durata superiore, ma necessitano dell’anticoagulazione a vita con antagonisti della vitamina K. Le protesi biologiche evitano il ricorso all’anticoagulazione indefinita, ma hanno una durata significativamente inferiore, di cui tenere conto negli individui più giovani.

La letteratura disponibile indica un rischio tromboembolico di entità non sottovalutabile nei primi tre mesi successivi all’impianto di una bioprotesi aortica1, rischio condiviso anche dai più attuali e meno cruenti interventi transcatetere (TAVI) 2. Di conseguenza, le linee guida internazionali più accreditate pongono l’indicazione per un trattamento antitrombotico della durata di (almeno) tre mesi, con l’eccezione di soggetti che hanno indicazioni per una anticoagulazione permanente, come ad esempio la fibrillazione atriale [vedi tabella riportata in Figura 1].


Figura 1. Principali linee guida sulla terapia antitrombotica successiva all’impianto di una bioprotesi della valvola aortica

Nella pratica clinica gli orientamenti sull’impiego di farmaci antipiastrinici o anticoagulanti divergono ampiamente. Ad esempio, da un’inchiesta condotta tra i cardiochirurghi britannici nel 2005 risultava che il 47% raccomandava warfarina, il 16% aspirina, ed i rimanenti non prescrivevano né l’uno né l’altro tipo di trattamento3. E da un’inchiesta internazionale condotta tre anni dopo in 48 centri risultava che il 43% dei cardiochirurghi raccomandava warfarina, il 33% aspirina, il 20% la combinazione di entrambi, e solo il 4% nessun trattamento4. Dal complesso di queste ed altre informazioni emerge una divergenza di entità sorprendente tra i clinici sull’uso e sulla scelta dell’antitrombotico più appropriato nei mesi immediatamente successivi all’impianto di una bioprotesi aortica. Di conseguenza, appariva utile il ricorso a quello strumento insostituibile che è la meta-analisi degli studi disponibili per giungere ad evidenze più solide a sostegno della terapia antitrombotica più adeguata.

È quello che hanno fatto gli autori canadesi di un articolo pubblicato in questi giorni in Thromb Haemost 6. An et al hanno meta-analizzato i risultati di 2 trials clinici randomizzati (per un totale di 397 pazienti) e 5 studi osservazionali (per un totale di 2012 pazienti) da cui si potevano ricavare informazioni utili al confronto tra terapia anticoagulante e terapia antipiastrinica nei mesi successivi all’impianto di una bioprotesi aortica. La durata media del follow-up era di 3 mesi nei trials randomizzati, e 10 mesi negli studi osservazionali. L’incidenza di stroke o di altre complicanze tromboemboliche osservata nei trial randomizzati fu 7.5% nei pazienti assegnati alla terapia antipiastrinica e 6.6% in quelli assegnati alla terapia anticoagulante (RR=1.13; 95% CI: 0.51–2.49); e negli studi osservazionali rispettivamente 2.2% e 3.0% (RR=0.71; 95% CI: 0.38–1.32) [Figura 2].


Figura 2. Rischio relativo di eventi tromboembolici nei gruppi assegnati alla terapia antipiastrinica ed a quella anticoagulante

L’incidenza di complicanze emorragiche maggiori risultò inferiore tra i pazienti assegnati ai farmaci antipiastrinici in entrambe le categorie di studi: RR=0.34; 95% CI: 0.11–1.04 nei trials randomizzati; RR=0.34; 95% CI: 0.20-0.58 negli studi osservazionali [Figura 3].


Figura 3. Rischio relativo di eventi emorragici maggiori nei gruppi assegnati alla terapia antipiastrinica ed a quella anticoagulante

La mortalità fu simile nei pazienti assegnati alla terapia antipiastrinica ed a quella anticoagulante, con un trend a favore della prima negli studi osservazionali. Commento. Pur con il limite della scarsa numerosità degli studi disponibili e della esiguità dei pazienti indagati, la meta-analisi suggerisce un vantaggio per la terapia antipiastrinica (di fatto, aspirina a dosaggi compresi tra 100 e 300 mg/die) nei confronti della terapia anticoagulante in termini di complicanze emorragiche maggiori a sostanziale parità di complicanze tromboemboliche e di mortalità totale.

Se queste conclusioni siano trasferibili ai candidati alla TAVI, il cui rischio appare sovrapponibile a quello di soggetti candidati alla sostituzione bioprotesica tradizionale2, non è chiaro. Sia pure in assenza di evidenze conclusive, nei pazienti sottoposti a TAVI la strategia più diffusa nel corso degli anni è stata quella basata sull’impiego della terapia antipiastrinica piuttosto che anticoagulante orale. In particolare, in considerazione della struttura della protesi e dell’uniformità con i dati ottenuti nei pazienti che ricevono impianto di stent coronarico, empiricamente la doppia antiaggregazione è divenuta la strategia condivisa, almeno per i primi tre mesi; l’orientamento prevalente è quello di proseguire poi l’antiaggregazione con aspirina da sola 6.

In questo contesto si sono inseriti i risultati dello studio GALILEO, comunicati lo scorso mese di agosto7. Lo studio era stato programmato per esplorare il vantaggio di una strategia basata sulla combinazione di 10 mg di rivaroxaban con basse dosi di aspirina (75-100 mg) nei confronti di una duplice terapia antipiastrinica (75 mg di clopidogrel più basse dosi di aspirina) per tre mesi in pazienti candidati alla TAVI. In entrambi i gruppi a partire dalla conclusione dei primi tre mesi i pazienti erano assegnati a ricevere terapia aspirinica da sola. L’end-point primario di efficacia era la combinazione di morte, stroke, infarto miocardico, trombosi sintomatica della valvola, tromboembolismo sistemico ed importante tromboembolismo venoso. Lo studio fu stoppato prematuramente (presto ne vedremo i dati pubblicati) in quanto fra i pazienti assegnati al rivaroxaban + aspirina l’incidenza dell’end-point primario di efficacia era maggiore che fra i pazienti assegnati alla duplice antiaggregazione (11.4 vs 8.8%), e la mortalità più che doppia (6.8 vs 3.3%).

E’ presto per trarre conclusioni trasferibili alla realtà dei pazienti candidati alla sostituzione bioprotesica. Di certo non ne trae sostegno la terapia anticoagulante. E una volta di più sembra di percepire l’inefficacia dei DOAC testati in contesti cardiochirurgici, già emersa per il dabigatran nei pazienti candidati a sostituzioni valvolari cardiache con protesi meccaniche 7. Allo stato attuale la terapia antipiastrinica sembra la scelta preferibile in pazienti candidati alla TAVI od alla sostituzione valvolare con protesi biologica. Ma c’è bisogno di studi più ampi e rigorosi per arrivare a conclusioni solide e condivisibili.


Bibliografia

  1. Heras M, Chesebro JH, Fuster V, et al. High risk of thromboemboli early after bioprosthetic cardiac valve replacement. J Am Coll Cardiol 1995;25(05):1111–9.
  2. Chakravarty T, Søndergaard L, Friedman J, et al; RESOLVE and SAVORY Investigators. Subclinical leaflet thrombosis in surgical and transcatheter bioprosthetic aortic valves: an observational study. Lancet 2017;389(10087):2383–92.
  3. Vaughan P, Waterworth PD. An audit of anticoagulation practice among UK cardiothoracic consultant surgeons following valve replacement/repair. J Heart Valve Dis 2005;14(05):576–82.
  4. Colli A, Verhoye J-PP, Heijmen R, et al; ACTION Registry Investigators. Antithrombotic therapy after bioprosthetic aortic valve replacement: ACTION Registry survey results. Eur J Cardiothorac Surg 2008;33(04):531-6.
  5. An KR, Belley-Cote EP, Um KJ, et al. Antiplatelet therapy versus anticoagulation after surgical bioprosthetic aortic valve replacement: a systematic review and meta-analysis. Thromb Haemost 2019 Jan 7. doi: 10.1055/s-0038-1676816. [Epub ahead of print].
  6. Gargiulo G, Valgimigli M. Terapia antitrombotica nei pazienti sottoposti a impianto transcatetere di valvola aortica. G Ital Cardiol 2016;17(6 Suppl 2):4S-10.
  7. Eikelboom JW, Connolly SJ, Brueckmann M, et al; RE-ALIGN Investigators. Dabigatran versus warfarin in patients with mechanical heart valves. N Engl J Med 2013;369(13):1206-14.